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Lo scopo è tutto quando si tratta di soldi. Immaginazione e scopo. Se ti manca una di queste due cose non puoi prendere de­cisioni morali, o almeno così ho sempre creduto. Potrebbe sem­brare meschino, ma, pensateci bene, non lo è. Il denaro è il pote­re di nutrire gli affamati, di vestire i poveri. Ma è necessario sa­perlo. Dora disponeva di numerosi fondi, e di fondi per pagare le tasse su ciascun fondo.

Ripensai, in preda a un momentaneo rammarico, a come ave­vo progettato di aiutare la mia amata Gretchen — sorella Marguerite — e a come la mia mera apparizione aveva rovinato tutto, tan­to che ero uscito per sempre dalla sua vita, con tutto il mio oro ancora nei forzieri. Non finiva sempre così? Non ero un santo, io. Non nutrivo gli affamati.

Ma Dora! Tutt’a un tratto me ne resi conto: era diventata mia figlia! Era diventata la mia santa così com’era stata quella di Ro­ger. Adesso aveva un altro padre ricco. Aveva me!

«Cosa c’è? Hai visto di nuovo lo spettro?» chiese David, al­larmato, interrompendo l’esame di uno scatolone zeppo di do­cumenti.

Per un attimo fui quasi assalito da uno dei miei tremiti più violenti, ma riuscii a controllarmi. Non dissi nulla, però vidi tut­to ancora più chiaramente. Badare a Dora! Certo che avrei bada­to a lei, e in qualche modo l’avrei convinta ad accettare ogni co­sa. Forse Roger non aveva usato le argomentazioni appropriate. E adesso era un martire, nonostante tutti i suoi tesori. Sì, que­st’ultimo argomento era quello giusto, lui aveva riscattato i suoi tesori. Forse, fornendo a Dora spiegazioni adeguate...

Fui distratto. Eccoli lì, i dodici libri. Ognuno avvolto in una sottile pellicola di cellofan, tutti allineati sullo scaffale più alto di un piccolo scrittoio, proprio accanto allo schedario. Capii subito cosa fossero. Lo capii subito. E poi recavano le etichette di Ro­ger, la sua calligrafia elegante che spiccava su un piccolo adesivo bianco, W. DE W.

«Guarda, questi sono tutti documenti legali riguardanti gli acquisti, apparentemente si tratta di denaro pulito oppure rici­clato; ci sono dozzine di ricevute, certificati di autenticità... Se­condo me, dovremmo portare tutto fuori di qui, adesso», disse David, alzandosi e togliendosi la polvere dai pantaloni.

«Sì, ma come? E dove dovremmo sistemarlo?»

«Rifletti. Qual è il posto più sicuro? Il tuo appartamento di New Orleans no di certo. Né possiamo affidare questi oggetti al deposito di una città come New York.»

«Giusto. Ho delle stanze qui, in un alberghetto di fronte al parco, ma...»

«Sì, ricordo, è là che ti ha seguito il Ladro di Corpi. Vuoi dire che non hai cambiato indirizzo?»

«Non ha importanza. Non sono abbastanza ampie per conte­nere tutto questo materiale.»

«Ma sai benissimo che il nostro vasto appartamento all’Olympic Tower lo è», propose lui.

«Dici sul serio?»

«Certo. Cosa potrebbe esserci di più sicuro? Adesso abbiamo del lavoro da fare. Non possiamo coinvolgere nessun mortale. Faremo questa faticaccia da soli.»

«Ah !» Emisi un sospiro disgustato. «Ti riferisci alla necessità d’imballare tutto e portarlo fuori di qui?»

Scoppiò a ridere. «Sì! Ercole doveva fare queste cose, e devo­no farle anche gli angeli. Come pensi che si sentisse Michele quando ebbe l’incarico di andare di porta in porta, in Egitto, per uccidere il primogenito di ogni famiglia? Avanti. Non sai quant’è facile proteggere tutti questi oggetti con i materiali moderni d’imballaggio. Penso che dovremmo trasferirli altrove da soli. Sarà un’impresa rischiosa. Perché non passare dai tetti?»

«Ah, non c’è niente di più irritante dell’energia di un vampiro novizio!» esclamai stancamente; eppure sapevo che aveva ragio­ne. La nostra forza era incommensurabilmente superiore a quel­la di qualsiasi aiutante mortale. Forse saremmo riusciti a svuota­re l’appartamento prima del mattino.

Che nottata!

Posso dire, col senno di poi, che la fatica rappresenta un anti­doto alla rabbia, all’infelicità generale e al timore che il Diavolo possa prenderti per il collo da un momento all’altro per condurti giù nel pozzo di fuoco!

Radunammo un’enorme quantità di materiale isolante costi­tuito da fogli di polietilene a bolle d’aria, capace di cingere in un abbraccio innocuo persino la più fragile reliquia. Presi i docu­menti finanziari e i libri di Wynken, esaminandoli con attenzione per assicurarmi che fossero ciò che sembravano, e poi ci dedi­cammo al lavoro pesante.

Sacco dopo sacco, portammo fuori tutti i manufatti più picco­li, passando dai tetti come aveva suggerito David, senza farci ve­dere da nessun mortale, due figure furtive e nere che volavano, simili a streghe dirette a un sabba. Fummo costretti a trattare con maggiore delicatezza gli oggetti più ingombranti, traspor­tandoli fuori uno alla volta. Evitai volutamente il grande angelo di marmo bianco. Ma David lo adorava e gli parlò lungo tutto il tragitto, finché non arrivammo a destinazione. Portammo le opere nelle sicure stanze dell’Olympic Tower, tramite le scale di ser­vizio, con l’obbligatoria andatura mortale.

I nostri piccoli orologi perdevano la carica non appena tocca­vamo il mondo mortale, nel quale c’infilavamo rapidamente, co­me gentiluomini impegnati ad arredare il loro nuovo apparta­mento con tesori imballati in modo adeguato e sicuro.

Ben presto, le stanze linde e coperte di moquette sopra San Patrizio ospitarono una caterva di spettrali colli bianchi, alcuni decisamente troppo simili a mummie o a cadaveri imbalsamati con poca cura. L’angelo di marmo bianco con l’acquasantiera a forma di conchiglia era forse il più grande. I libri di Wynken, av­volti nella plastica e legati, giacevano sul tavolo da pranzo orien­tale. Non avevo ancora avuto la possibilità di esaminarli, ma quello non era il momento adatto.

Mi lasciai cadere in una poltrona nella stanza anteriore, ansi­mando per la noia e per l’irritazione di aver dovuto svolgere un compito tanto umile.

David era trionfante. «Qui sono al sicuro», esclamò con en­tusiasmo. Il suo giovane corpo sembrava infiammato dallo spiri­to del David anziano. Quando lo guardavo, talvolta li vedevo emergere entrambi... il David che avevo conosciuto vivo e la gio­vane, robusta forma maschile anglosassone. Era assolutamente perfetto. Senza dubbio, il vampiro più forte che avessi mai crea­to. Non dipendeva solo dalla forza del mio sangue o dalle soffe­renze e tribolazioni che avevo patito prima di renderlo uno di noi. Quando lo avevo creato, gli avevo dato più sangue che a chiunque altro, mettendo a repentaglio la mia stessa sopravvi­venza. Ma non importava...

Rimasi fermo lì ad amarlo, ad amare la mia creazione. Ero co­perto di polvere.

Mi resi conto che avevamo sistemato tutto. Avevamo portato lì persino i tappeti, per ultimi, arrotolati. Anche quello impre­gnato del sangue di Roger. Una reliquia del Roger martirizzato. Avrei risparmiato quel dettaglio a Dora.

«Devo andare a caccia», annunciò David con un sussurro, scuotendomi dalle mie elucubrazioni.

Non risposi.

«Vieni con me?»

«Vuoi che lo faccia?» chiesi.

Rimase immobile a osservarmi con un’espressione stranissi­ma, il viso olivastro e giovanile privo della benché minima traccia di condanna e men che meno di disgusto. «Perché non mi ac­compagni? Non ti piace guardare, anche se non vuoi cacciare?»