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Non udii urla. Non udii nulla. Lei non era stata assalita dall’i­steria, non stava correndo come una pazza in giro per l’edificio. Non aveva attivato nessun allarme. Intrepida, era rimasta in si­lenzio dopo aver visto un intruso. A parte un vampiro, cosa esi­ste al mondo che sia altrettanto pericoloso di un giovane umano, per una donna sola?

Mi accorsi che mi battevano i denti. Strinsi a pugno la mano destra e la picchiai sul palmo sinistro. Demone o uomo, chi dia­mine sei? Aspettarmi, dirmi di non parlarle, che stratagemmi, non parlarle, non le avrei mai parlato; Roger, cosa diamine devo fare adesso? Non avevo mai desiderato che lei mi vedesse così!

Non sarei mai e poi mai dovuto venire qui senza David. Mi occorreva il sostegno di un testimone. E l’Uomo Comune avreb­be osato salire, se David fosse stato lì? Lo odiavo. Ero prigionie­ro in un gorgo. Non sarei sopravvissuto.

E questo cosa significava? Cosa mi avrebbe ucciso?

All’improvviso, mi resi conto che lei stava salendo le scale. Stavolta camminava lenta e silenziosa. Un mortale non sarebbe riuscito a sentirla. Aveva con sé la torcia elettrica; prima non l’avevo notata, ma adesso l’aveva, e il fascio di luce entrò dalla porta aperta del solaio e corse sulle scure assi inclinate della parte in­terna del tetto.

Lei entrò nel solaio e spense la torcia. Si guardò intorno con estrema cautela, gli occhi inondati dalla luce bianca proveniente dalle finestre rotonde. Si potevano vedere le cose piuttosto distintamente grazie a quelle finestre e alla vicinanza dei lampioni stradali.

Infine il suo sguardo mi scovò. Lei mi fissò in modo diretto, lì nell’angolo.

«Perché hai paura?» chiese. Il suo tono era rassicurante.

Mi resi conto di essere schiacciato nell’angolo, le gambe in­crociate, le ginocchia sotto il mento, le braccia serrate intorno al­le gambe, guardandola dal basso.

«Mi... mi dispiace. Temevo... di averti spaventata. Mi vergo­gnavo di averti sconvolta. Sentivo di essere stato imperdonabil­mente goffo», mi scusai.

Si avvicinò a me, senza mostrare nessuna paura. Il suo odore riempì lentamente il solaio, come il vapore di un pizzico d’incen­so che brucia.

Sembrava alta e flessuosa nell’abito a fiori coi polsini orlati di pizzo. I corti capelli neri le coprivano la testa come un berretto, formando dei riccioli sulle guance. I suoi occhi erano grandi e scuri, e mi fecero pensare a Roger. Il suo sguardo era decisamen­te straordinario; sarebbe riuscita a innervosire un predatore, con quello sguardo, la luce che le colpiva le gote, la bocca rilassata e priva di qualsiasi emozione.

«Posso andarmene subito, se vuoi. Posso alzarmi con molta lentezza e andarmene senza farti del male. Lo giuro. Non devi aver paura», dissi con voce tremula.

«Perché tu?» chiese.

«Non capisco la domanda», dissi. Stavo piangendo? Stavo solo rabbrividendo e tremando? «Cosa intendi dire con: ‘Perché tu’?»

Si avvicinò ancora e abbassò lo sguardo su di me. Riuscivo a distinguerla molto chiaramente.

Forse vide una zazzera di capelli biondi e lo scintillio della lu­ce sui miei occhiali, e che sembravo giovane.

Io vidi le arcuate ciglia nere, il mento minuto ma deciso, e il modo in cui le spalle s’inclinavano così bruscamente sotto l’abito merlettato e a fiori che sembravano sparire; quasi una sagoma raffigurante una ragazza, una donna di sogno, pura come un giglio. Il suo minuscolo vitino sotto il tessuto dell’ampio vestito diritto sarebbe parso inesistente, tra le braccia di qualcuno.

Nella sua presenza c’era qualcosa di quasi glaciale. Non appa­riva fredda né malvagia, ma intimoriva come se lo fosse stata! Era questa la santità? Mi chiesi se mi fossi mai trovato davanti un vero santo. Avevo una peculiare concezione del termine, vero?

«Perché sei venuto tu a dirmelo?» chiese dolcemente.

«A dirti cosa, tesoro?» domandai.

«Di Roger. Che è morto.» Inarcò le sopracciglia con un gesto quasi impercettibile. «È per questo che sei venuto, vero? L’ho capito non appena ti ho visto, ho capito che Roger era morto. Ma perché sei venuto tu?» S’inginocchiò davanti a me.

Emisi un gemito prolungato. Così, me l’aveva letto nel pensie­ro! Il mio grande segreto. La mia importante decisione. Parlare con lei? Discutere con lei? Spiarla? Ingannarla? Consigliarla? E la mia mente l’aveva schiaffeggiata bruscamente con la bella no­tizia: Ehi, tesoro, Roger è morto!

Si spostò vicino a me. Troppo vicino. Non avrebbe dovuto farlo. Di lì a un attimo avrebbe cominciato a urlare. Sollevò la torcia elettrica spenta.

«Non accenderla», intimai.

«Perché non vuoi? Non te la punterò in faccia, lo prometto. Voglio soltanto vederti.»

«No.»

«Senti, non mi fai paura, se è questo che stai pensando», spiegò con semplicità, senza drammi, i pensieri che turbinavano disordinatamente sotto le parole, la mente che abbracciava ogni dettaglio.

«Come mai?»

«Perché Dio non permetterebbe mai a un essere come te di farmi del male. Ne sono sicura. Sei un demone o uno spirito ma­ligno? Sei uno spirito benevolo? Non lo so, non posso saperlo. Se mi faccio il segno della croce, forse sparirai, ma ne dubito. Quello che voglio sapere è perché hai tanta paura di me. Non si tratta sicuramente della virtù, vero?»

«Aspetta solo un secondo, torna indietro. Vuoi dire che sai che non sono umano?»

«Sì. Riesco a vederlo. Lo sento! Ho già visto esseri come te. Li ho visti a frotte nelle grandi città, solo visioni fugaci. Ho visto pa­recchie cose. Non ho intenzione di dire che mi dispiace per te perché sarebbe molto stupido, ma non ho paura di te. Sei legato alla terra, vero?»

«Decisamente, sì. E spero di rimanerlo a tempo indetermina­to. Senti, non intendevo scioccarti con la notizia. Volevo bene a tuo padre», risposi.

«Davvero?»

«Sì. E... e lui ti amava profondamente. Voleva che ti dicessi alcune cose. Ma soprattutto desiderava che mi prendessi cura di te.»

«Non ne sembri capace. Somigli a un elfo spaventato. Guar­dati.»

«Non sei tu a terrorizzarmi, Dora!» esclamai, improvvisa­mente spazientito. «Non so cosa stia succedendo! Sono vincola­to alla terra, sì, questo è vero. E ho... ho ucciso io tuo padre. Ho preso la sua vita. Sono stato io a fargli una cosa simile. E in segui­to lui mi ha parlato. ‘Prenditi cura di Dora’,mi ha detto. È venu­to da me per chiedermi di badare a te. Ecco tutto. Non sei tu a spaventarmi. È piuttosto la situazione, il fatto di non essermi mai trovato in circostanze analoghe, di non aver mai affrontato simili domande!»

«Capisco!» Era sbalordita. Tutto il suo viso bianco scintillava come se stesse sudando. Il suo cuore batteva all’impazzata. Chinò il capo. Era impossibile leggerle nel pensiero. Non ci riu­scivo. Ma era addolorata, questo era evidente, e adesso le lacrime le stavano solcando le guance. Non riuscivo a sopportarlo.

«Oh, Dio, è come se mi trovassi all’inferno. Non avrei dovuto ucciderlo. L’ho... l’ho fatto per i motivi più banali. Lui era sem­plicemente... Si è trovato sulla mia strada. È stato un terribile er­rore. Ma poi è venuto da me. Dora, abbiamo parlato per ore, il suo fantasma e io. Mi ha raccontato tutto di te, delle reliquie e di Wynken», mormorai.

«Wynken?» Mi guardò.

«Sì, Wynken de Wilde, sai, i dodici libri. Senti, Dora, se ti tocco la mano per cercare di consolarti, forse funzionerà, ma non voglio che tu urli.»

«Perché hai ucciso mio padre?» chiese. Tuttavia non inten­deva solo quello, mi stava domandando perché qualcuno che parlava come me avesse potuto fare una cosa simile.

«Volevo il suo sangue. Mi nutro del sangue altrui. Ecco come rimango giovane e vivo. Credi negli angeli? Allora puoi credere anche nei vampiri. Credi in me. Ci sono cose peggiori sulla ter­ra.»