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Il traffico su Napoleon Avenue produceva rumori fiochi, pre­vedibili e vagamente confortanti. Be’,confortanti per me.

Sentii Dora sospirare, e poi sentii la sua mano sul mio braccio, una stretta delicata, solo per un attimo, dita che premevano sui miei abiti, bramando la consistenza sottostante, e infine le sue di­ta mi sfiorarono il viso.

Per qualche strano motivo i mortali fanno un gesto del genere quando vogliono accertarsi della nostra presenza, piegano le dita e passano le nocche sul nostro viso. Rappresenta forse un modo per toccare qualcuno senza dare l’impressione di farlo? Immagi­no che il palmo della mano, il morbido cuscinetto delle dita, sia troppo intimo.

Non mi mossi. La lasciai fare come se fosse stata cieca e la mia disponibilità rappresentasse una cortesia. Lasciai che le sue dita si spostassero sui miei capelli. Sapevo che c’era abbastanza luce perché apparissero selvaggi e leggiadri come speravo, conside­rando che ero un essere sfacciato, vanitoso, che amava pavoneggiarsi, egoista, e momentaneamente confuso e disorientato.

Lei si fece di nuovo il segno della croce, ma non aveva mai avuto davvero paura. Stava semplicemente confermando qualco­sa, immagino. Anche se l’identificazione di quel qualcosa rimane opinabile, a ben pensarci. Pregò in silenzio.

«Anch’io posso farlo», dissi. Lo feci. «Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.» Ripetei l’intera proce­dura, stavolta usando il latino.

Lei mi osservò con un’espressione fissa, meravigliata, poi si la­sciò sfuggire una risatina gentile.

Sorrisi. Il letto e la sedia — dove sedevamo così vicini l’uno al­l’altra — si trovavano nell’angolo. C’era una finestra sopra la sua spalla, e una dietro di me. Finestre, finestre, era una reggia di finestre. Il soffitto in legno scuro doveva essere alto quattro metri e mezzo. Adoravo le armoniche proporzioni di quella stanza. Era tipicamente europea. Nulla era stato sacrificato alle più ri­dotte dimensioni moderne.

«Sai», dissi, «la prima volta che sono entrato a Notre-Dame, dopo essere stato trasformato in ciò che sono, in un vampiro cioè, e comunque non fu una mia idea, ero completamente umano e più giovane di quanto tu non sia adesso; l’intera faccenda fu for­zata, davvero, non ricordo di preciso se pregai mentre successe, ma lottai, questo lo ricordo con chiarezza e l’ho messo per iscrit­to. Ma... come stavo dicendo, la prima volta che sono entrato a Notre-Dame ho pensato: be’,perché Dio non m’incenerisce?»

«Perché hai sicuramente un tuo posto nell’ordine delle co­se.»

«Credi? Lo credi davvero?»

«Sì. Non avevo mai immaginato di potermi ritrovare a faccia a faccia con qualcosa come te, ma non l’ho mai neppure giudica­to impossibile o improbabile. Per tutti questi anni ho aspettato un segno, una conferma. Avrei potuto vivere tutta la vita senza questo segno, ma ho sempre avuto la sensazione che sarebbe ar­rivato.»

La sua voce era fioca e tipicamente femminile, cioè il timbro era inconfondibilmente femminile, ma adesso lei stava parlando con un’incredibile sicurezza, così che le sue parole sembravano colme di autorità, più o meno come quelle di un uomo.

«E ora arrivi tu, e annunci di aver ucciso mio padre. E dici che lui ti ha parlato. No, non sono il tipo da liquidare sbrigativa­mente cose simili. C’è un certo fascino in ciò che dici, un che di elaborato. Sai, quando ero bambina, la primissima ragione per cui credetti nella Sacra Bibbia era che aveva un che di elaborato! Ho percepito altri schemi nella vita. Voglio svelarti un segreto. Una volta ho desiderato che mia madre morisse, e sai che quello stesso giorno, dopo meno di un’ora, lei scomparve per sempre dalla mia vita? Potrei raccontarti molte altre cose. Quello che de­vi capire è che voglio imparare da te. Sei entrato a Notre-Dame e Dio non ti ha incenerito.»

«Voglio raccontarti una cosa che ho trovato divertente. Suc­cesse due secoli fa, a Parigi, prima della rivoluzione. All’epoca a Parigi, nel vasto Cimitero degli Innocenti, scomparso ormai da tempo, nelle catacombe sotto i sepolcri, vivevano alcuni vampiri che non avevano il coraggio di entrare a Notre-Dame. Quando me l’hanno visto fare, anche loro hanno pensato che Dio mi avrebbe incenerito.»

Lei mi stava guardando con aria serena.

«Ho distrutto la loro fede, la loro fede in Dio e nel Diavolo. Ed erano vampiri, creature legate alla terra come me, mezzi de­moni e mezzi uomini, stupidi, inclini a sbagliare, e credevano che Dio li avrebbe inceneriti», spiegai.

«E prima del tuo arrivo avevano davvero una fede?»

«Sì, un’intera religione, sul serio», risposi. «Si consideravano servitori del Diavolo. Lo consideravano un onore. Vivevano co­me vampiri, ma la loro esistenza era miserabile e volutamente pe­nitenziale. Io ero un principe, si potrebbe dire. Attraversavo Pa­rigi con passo spavaldo, coperto da un mantello rosso foderato di pelliccia di lupo. Ma rappresentava la mia vita umana, il man­tello. T’impressiona il fatto che dei vampiri fossero credenti? Ho rivoluzionato tutto, per loro. Credo che non me lo abbiano mai perdonato, i pochi rimasti. Non siamo molto numerosi, a propo­sito...»

«Aspetta un attimo», m’interruppe lei. «Voglio ascoltarti, ma prima devo chiederti una cosa.»

«Cosa?»

«Mio padre: com’è successo, è stata una cosa rapida e...»

«Assolutamente indolore, te lo assicuro. Me l’ha confermato lui stesso. Nessun dolore», ribadii, voltandomi verso di lei, guar­dandola.

Col viso così bianco e i grandi occhi scuri sembrava un gufo, e incuteva un certo timore. Voglio dire che avrebbe potuto spa­ventare un altro mortale, col suo aspetto, con la forza del suo aspetto.

«Quando è morto, tuo padre era in preda al deliquio», spie­gai. «Forse estatico e colmo d’immagini disparate, seguito da una perdita di conoscenza. Il suo spirito ha lasciato il corpo pri­ma che il cuore cessasse di battere. Qualunque dolore fisico io gli abbia inflitto, non l’ha mai sentito; una volta che il sangue viene succhiato, una volta che io... no, non ha sofferto.» Mi voltai per fissarla in modo più diretto. Aveva ripiegato le gambe sotto di sé, rivelando ginocchia bianche sotto l’orlo del vestito. «In seguito ho parlato con Roger per due ore. Due ore. È tornato per un mo­tivo ben preciso, per assicurarsi che avrei badato a te. E per assi­curarsi che i suoi nemici non potessero prenderti, né il governo né tutti i tizi ai quali lui è, o era, collegato. E per fare in modo che la sua morte... non ti ferisse più del necessario.»

«Perché mai Dio dovrebbe fare una cosa simile?» sussurrò.

«Cosa c’entra Dio? Ascolta, tesoro, non so niente di Dio. Te l’ho già detto. Sono entrato a Notre-Dame e non è successo nien­te, né allora né...»

Ora, quella era una bugia, vero? E lui? Venire lì travestito da Uomo Comune, lasciar sbattere quella porta, bastardo arrogan­te, come osava?

«Com’è possibile che questo sia il piano di Dio?» chiese lei.

«Dici sul serio, vero? Senti, potrei raccontarti parecchie cose. Voglio dire che la storia sui vampiri di Parigi che credevano nel Diavolo è solo l’inizio! Ascolta, c’è... c’è...» M’interruppi bruscamente.

«Cosa c’è?»

Quel suono. Quei passi lenti, misurati! Non appena avevo pensato a lui, in modo offensivo e furibondo, i passi erano ini­ziati.

«Stavo... stavo dicendo...» Mi sforzai d’ignorarli, ma li senti­vo avvicinarsi. Il rumore era fioco, eppure si trattava del passo inconfondibile dell’essere alato, che m’informava della sua pre­senza, un pesante passo dopo l’altro, come se echeggiassero in un’immensa sala in cui esistevo separatamente dalla mia esisten­za in questa stanza.