«È quello che sei sempre tentato di fare», mormorò. La sua voce mi scioccò; se conservava l’accento francese o italiano, non riuscii a capirlo. Il tono era malinconico e assolutamente privo di malizia. «Quando mi hai trovato sotto il Cimitero degli Innocenti, volevi farmi il bagno nel profumo e infilarmi in un abito di velluto con ampie maniche ricamate», continuò.
«Sì, e pettinarti i capelli, quei bellissimi capelli fulvi», replicai. Il mio tono era irato. «Ti trovo in gran forma, maledetto piccolo diavolo, perfetto da abbracciare e da amare.»
Ci guardammo per un istante. E poi lui mi sorprese, alzandosi e avvicinandosi a me proprio mentre mi muovevo per prenderlo tra le braccia. Il suo gesto non fu esitante, ma estremamente gentile. Avrei potuto indietreggiare. Non lo feci. Ci stringemmo per un attimo. Il freddo che abbracciava il freddo. Il duro che abbracciava il duro.
«Cherubino», dissi. Feci una mossa audace, forse addirittura insolente: allungai una mano e gli scompigliai i riccioli arruffati. Fisicamente era più piccolo di me, ma non mi sembrò che questo gesto gli dispiacesse. In realtà sorrise, scosse il capo e reclamò i suoi capelli passandovi un paio di volte le dita, con disinvoltura. Improvvisamente, le sue guance divennero perfette e la sua bocca si rilassò, e poi lui sollevò il pugno destro e mi colpì al petto, in modo scherzoso ma con forza. Con molta forza. Esibizionista. Adesso toccava a me sorridere e lo feci.
«Non ricordo che sia successo niente di sgradevole tra noi», dissi.
«Ti verrà in mente, e verrà in mente anche a me. Ma che importanza ha ciò che ricordiamo?» ribattè lui.
«Già, siamo entrambi ancora qui», risposi.
Lui scoppiò a ridere apertamente, benché in modo assai sommesso, e scosse il capo, scoccando a David un’occhiata che suggeriva che si conoscevano molto bene, forse troppo. Non mi andava la loro confidenza. David era il mio David, e Armand era il mio Armand.
Mi sedetti sulla panchina. «Così David ti ha raccontato tutta la storia», dissi, alzando gli occhi per guardare Armand e poi David.
David fece un cenno di diniego con la testa. «Non senza il tuo permesso, principino viziato», rispose, un po’ sdegnosamente. «Non mi sarei mai preso questa libertà. L’unica cosa che ha condotto qui Armand è la preoccupazione per te.»
«Davvero?» chiesi. Inarcai le sopracciglia. «Allora?»
«Sai dannatamente bene che è così», disse Armand. Tutto il suo atteggiamento era improntato alla disinvoltura; aveva imparato parecchio, vagando per il mondo, immagino. Non somigliava più tanto a una statua ornamentale da chiesa. Teneva le mani in tasca. Un ragazzino robusto.
«Sei di nuovo in cerca di guai», aggiunse, con la stessa lentezza, senza rabbia né cattiveria. «Il mondo intero non ti basta e non ti basterà mai. Stavolta ho deciso di provare a parlare con te prima che la ruota giri.»
«Non sei forse il più premuroso degli angeli custodi?» chiesi con sarcasmo.
«Sì, infatti», rispose senza battere ciglio. «Allora, cos’hai intenzione di fare? Vuoi dirmelo?»
«Venite, voglio addentrarmi ancora di più nel parco», proposi, ed entrambi mi seguirono mentre raggiungevamo con andatura mortale un boschetto formato dalle querce più antiche, una zona in cui l’erba era alta e trascurata, e dove nemmeno il più disperato senzatetto avrebbe cercato un posto in cui riposare.
Ci creammo una piccola radura, tra le nere radici vulcaniche e il fresco terriccio invernale. La brezza che arrivava dal lago vicino era pungente e tersa, e per un attimo sembrò che vi fosse ben poca traccia dell’aroma di New Orleans o di qualunque altra città; noi tre eravamo insieme, e Armand chiese di nuovo: «Vuoi dirmi che intenzioni hai?» Si piegò verso di me e all’improvviso mi baciò, in modo molto puerile e anche un po’ europeo. «Sei nei guai fino al collo. Avanti, lo sanno tutti.» I bottoni metallici della sua giacca di denim erano gelidi, come se fosse giunto solo pochi istanti prima da un inverno molto più rigido.
Non siamo mai del tutto sicuri riguardo ai poteri degli altri. È tutto un gioco. Non gli avrei mai chiesto com’era arrivato fin lì o in che modo, così come non avrei mai chiesto a un mortale come faceva l’amore con sua moglie.
Lo fissai a lungo, consapevole del fatto che David era sdraiato sull’erba, facendo leva su un gomito, e ci stava studiando.
Alla fine parlai: «Il Diavolo è venuto a chiedermi di andare con lui a vedere il paradiso e l’inferno».
Armand tacque, poi si accigliò quasi impercettibilmente.
«È lo stesso Diavolo in cui ti ho confessato di non credere, quando tu credevi in lui, secoli fa. Avevi ragione almeno su una cosa: esiste. L’ho incontrato», aggiunsi. Guardai David. «Mi vuole come assistente. Mi ha concesso stanotte e domani notte per chiedere consiglio ad altri. Mi accompagnerà in paradiso e poi all’inferno. Sostiene di non essere malvagio.»
David distolse lo sguardo da me per fissare il buio. Armand si limitò a osservarmi, assorto e silenzioso.
Ripresi a parlare. Raccontai tutto. Ripetei la storia di Roger e del suo fantasma a beneficio di Armand, e poi riferii a entrambi, in modo dettagliato, la mia goffa visita a Dora, il mio colloquio con lei, e come l’avessi lasciata, e come il Diavolo mi avesse inseguito e infastidito, e come ci fossimo azzuffati. Non tralasciai nessun particolare. Aprii la mia mente, senza premeditazione, lasciando che Armand vedesse autonomamente qualunque cosa potesse vedere. Alla fine mi appoggiai allo schienale della panchina. «Non dirmi cose umilianti. Non chiedermi perché sono scappato via da Dora o perché mi sono lasciato sfuggire di bocca tutte quelle informazioni su suo padre. Non riesco a liberarmi dalla presenza di Roger, dalla sensazione che mi sia amico e che ami profondamente sua figlia. E questo Memnoch il Diavolo è un individuo ragionevole e dai modi gentili, molto convincente. Quanto alla zuffa, non so cosa sia successo, so solo che gli ho fornito qualcosa su cui riflettere. Fra due notti tornerà e, se la memoria non m’inganna — cosa che non fa mai —, ha detto che verrà a prendermi ovunque io mi trovi in quel momento.»
«Sì, questo è chiaro», commentò Armand sottovoce.
«Non stai godendo della mia infelicità, vero?» domandai con un lieve sospiro amareggiato.
«No, certo che no, solo che, come al solito, non sembri davvero infelice. Stai per dare inizio a una nuova avventura, e sei solo un po’ più cauto, stavolta, di quando hai permesso a quel mortale di svignarsela col tuo corpo e poi hai preso il suo.»
«No, non più cauto, terrorizzato. Credo che questa creatura, Memnoch, sia il Diavolo. Se anche tu avessi avuto simili visioni, saresti dello stesso avviso. Non sto parlando di incantesimi. Tu li sai fare, Armand, li hai fatti su di me. Io ho lottato con quella Cosa. Ha un’imprecisata essenza capace di dimorare in corpi reali! È oggettiva e incorporea, ne sono sicuro. E il resto? Forse si è trattato di semplici incantesimi. Lui ha insinuato di poterli lanciare e che anch’io ne sono capace.»
«Stai descrivendo un angelo, naturalmente, e questo sostiene di essere un angelo caduto», dichiarò David all’improvviso.
«Il Diavolo in persona», mormorò Armand in tono meditabondo. «Cosa ci stai chiedendo, Lestat? Vuoi il nostro consiglio? Se fossi in te, non seguirei questo spirito di mia spontanea volontà.»