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«Niente affatto.»

Si tolse qualche altro filo d’erba dall’abito, una tunica sottile che appariva semplice e neutra, un indumento che avrebbe po­tuto essere indossato il giorno prima come un milione di anni prima. La figura di Memnoch era poco più grande della mia, e forse più grande di quella della maggior parte degli umani; man­teneva ogni mitica promessa sulle caratteristiche di un angelo, solo che le ali bianche restavano diafane, conservando la loro foggia sotto un’imprecisata cappa d’invisibilità, apparentemente più per comodità che per altro.

«Non ci troviamo all’interno del tempo», mi svelò. «Non preoccuparti degli uomini e delle donne nella foresta. Non pos­sono vederci. Nessuno qui può vederci, ecco perché posso man­tenere la mia forma attuale. Non devo ricorrere allo scuro corpo diabolico che Dio ritiene appropriato alle manovre terrene, né all’Uomo Comune che rappresenta la mia scelta più discreta.»

«Vuoi dire che non avresti potuto apparirmi sulla terra nella tua forma angelica?»

«Non senza parecchie discussioni e suppliche, e, francamen­te, preferivo evitarlo, perché è troppo opprimente. Avrebbe fatto pendere troppo la bilancia in mio favore. In questa forma sem­bro troppo intrinsecamente buono; non posso entrare in paradi­so senza questa forma; Lui non vuole vedere l’altra, e non posso biasimarlo. E poi, sulla terra, è più facile andarsene in giro come l’Uomo Comune», spiegò.

Mi alzai vacillando, accettando la mano che mi offriva, salda e tiepida. In realtà il suo corpo sembrava solido com’era apparso quello di Roger poco prima che la sua visita terminasse. Avevo la sensazione che il mio corpo fosse completo, integro.

Non mi stupì scoprire che avevo i capelli molto aggrovigliati. Mi pettinai frettolosamente per rincuorarmi e mi spazzolai gli abiti... il completo scuro indossato a New Orleans, adesso pieno di minuscoli granelli di polvere e di fili d’erba, ma altrimenti im­peccabile. Il colletto della camicia era strappato, come se lo aves­si lacerato aprendolo concitatamente nel tentativo di respirare meglio. Per il resto, sembravo il solito dandy, fermo nel bel mez­zo di un giardino folto e lussureggiante, quasi una foresta, diver­sa da qualunque altra io avessi mai visto. Persino un esame su­perficiale dimostrava che non era una foresta pluviale ma qual­cosa di meno denso, benché altrettanto primitivo.

«Non all’interno del tempo», mormorai.

«Be’,lo attraversiamo a nostro piacimento, precediamo solo di qualche migliaio di anni la tua epoca, se proprio vuoi saper­lo», spiegò. «Ma, te lo ripeto, gli uomini e le donne che vagano qui nei paraggi non ci vedranno. Quindi non preoccuparti. E gli animali non possono farci del male. Noi qui siamo osservatori e non possiamo influire su niente. Vieni, conosco a menadito la zo­na e, se mi segui, scoprirai un comodo sentiero attraverso que­st’area selvaggia. Ho parecchio da dirti. Le cose intorno a noi co­minceranno a cambiare.»

«E questo tuo corpo? Non è un’illusione? È completo.»

«Noi angeli siamo invisibili per natura, cioè siamo immate­riali in termini di materia terrena o materia dell’universo fisico, o comunque tu voglia definirla. Ma la tua precedente ipotesi era esatta: abbiamo un corpo vero e proprio; e da una vastissima gamma di fonti possiamo trarre materia sufficiente per crearci un corpo completo, perfettamente funzionante, che in seguito possiamo frantumare e disperdere, come riteniamo più oppor­tuno.»

Avanzammo agevolmente sull’erba. I miei stivali, adatti all’in­verno newyorkese, non incontravano ostacoli sul terreno scon­nesso.

«Ciò che voglio dire è che questo non è un corpo preso in prestito né, a rigor di termini, un corpo artificiale. È il mio corpo quando è circondato e permeato di materia. In altre parole, rap­presenta il logico risultato della capacità della mia essenza di atti­rare a sé tutti i vari elementi che le servono», continuò Mem­noch, fissandomi dall’alto — mi superava di sette centimetri — coi suoi enormi occhi a mandorla.

«Vuoi dire che hai questo aspetto perché hai questo aspet­to.»

«Precisamente. Il corpo diabolico è una punizione, mentre l’Uomo Comune è un sotterfugio; invece il mio vero aspetto è questo. C’erano angeli identici a me in tutto il paradiso. La tua attenzione si è concentrata sulle anime umane, lassù, ma c’erano anche gli angeli.»

Cercai di ricordare. C’erano stati esseri più imponenti, alati? Pensavo di sì, ma non ne ero sicuro. Il beatifico tuono del paradi­so mi rimbombò all’improvviso nelle orecchie. Provai la gioia, il senso di sicurezza e soprattutto la soddisfazione di tutti coloro che vi prosperavano. Ma angeli, no, non ne avevo notati.

«Assumo la mia forma attuale quando mi trovo in paradiso o al di fuori del tempo», continuò Memnoch. «Quando sono da solo, per così dire, e non diretto verso la terra. Altri angeli, Mi­chele, Gabriele, chiunque di loro può apparire sulla terra nella propria forma glorificata, volendo. Ancora una volta, sarebbe naturale. La materia attratta dalla loro forza magnetica li forgia in modo che appaiano all’apice della bellezza, come Dio li ha creati. Tuttavia non permettono quasi mai che ciò accada. Se ne vanno in giro come Uomini Comuni e Donne Comuni, semplice­mente perché è molto più facile. Sopraffare di continuo gli esseri umani non serve ai nostri scopi; né a quello del Signore né al mio.»

«È questa la domanda cruciale. Qual è lo scopo? Cosa stai fa­cendo, se non sei malvagio?»

«Lasciami cominciare dalla creazione. Voglio dirti subito che non so da dove sia venuto Dio, o perché, o come. Nessuno lo sa. Gli scrittori mistici, i profeti della terra, induisti, zoroastriani, ebrei, egiziani... tutti hanno riconosciuto l’impossibilità di com­prendere l’origine di Dio. Per me, non è questo il problema e non lo è mai stato, anche se sospetto che alla fine del tempo lo scopriremo.»

«Vuoi dire che Dio non ha promesso che scopriremo da dove è venuto?»

«Sai una cosa?» ribattè lui, sorridendo. «Non credo che lo sappia. Penso che sia questo il vero scopo dell’universo fisico. Dio è convinto che, osservando l’evolversi dell’universo, lo sco­prirà. Ciò che ha messo in moto, capisci, è un gigantesco giardi­no selvaggio, un ciclopico esperimento, per vedere se il risultato finale produce esseri come Lui. Siamo fatti a sua immagine, tutti noi; è antropomorfo, senza alcun dubbio, ma non è materiale.»

«E quando in paradiso è arrivata la luce, quando ti sei ripara­to gli occhi, quello era Dio.»

Lui annuì. «Dio, il Padre, Allah, l’Essenza, Brahma, Aten, il Buon Dio, En Sof, Yahweh, Dio!»

«Allora come può essere antropomorfo?»

«La sua essenza ha una forma, proprio come la mia. Noi, le sue prime creazioni, siamo state fatte a sua immagine. Così ci ha detto. Ha due gambe, due braccia, una testa. Ci ha reso immagi­ni invisibili di questa struttura. E poi ha messo in moto l’univer­so per analizzare lo sviluppo di quella forma attraverso la mate­ria, capisci?»

«Non completamente.»

«Credo che Dio abbia lavorato a ritroso, partendo dall’imma­gine di se stesso. Creò un universo fisico le cui leggi avrebbero prodotto l’evoluzione di creature che gli somigliavano. Sarebbe­ro state fatte di materia. Ma con una notevole, importante diffe­renza. Oh, ma poi ci furono così tante sorprese. Sai già come la penso. Il tuo amico David lo ha scoperto per caso quando era un uomo. Credo che il piano di Dio sia miseramente fallito.»

«Sì, David ha detto così, ha detto che secondo lui gli angeli consideravano gravemente sbagliato il piano di Dio per la crea­zione.»

«Sì. Penso che in origine lo abbia fatto per scoprire cosa sa­rebbe successo se Lui fosse stato fatto di materia. E inoltre credo che stesse cercando un indizio su come fosse arrivato lì dov’è, e sul perché avesse la forma che ha, cioè simile alla mia o alla tua. Osservando l’evoluzione dell’uomo, spera di comprendere la propria, ammesso che una cosa simile si sia davvero verificata. E se ciò abbia funzionato o no come Lui desiderava, be’,soltanto tu puoi giudicarlo.»