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«Cosa significava? Cosa significava il fatto che seppellissero i loro morti?» insistetti, impaziente e ansioso di capire.

«Molte cose», sussurrò, agitando enfaticamente l’indice. «Perché questo rituale della sepoltura era abbinato ad aspetti che raramente avevamo notato in qualsiasi altra specie per più di un istante: i forti che curavano i deboli, i sani che aiutavano e nu­trivano gli storpi, e infine la sepoltura con fiori. Lestat, fiori! Dei fiori venivano posati sul defunto, coprivano dalla testa ai piedi il corpo depositato sul terreno, tanto che l’Undicesima Rivelazione dell’evoluzione fu che l’uomo moderno aveva cominciato a esi­stere. Irsuto, curvo, goffo, coperto di peli scimmieschi, ma con un viso più simile che mai al nostro, l’uomo moderno cammina­va sulla terra! E conosceva l’affetto come solo gli angeli lo aveva­no conosciuto nell’universo, gli angeli e Dio che li aveva creati; l’uomo moderno riversava quell’affetto sui suoi parenti, e amava i fiori come li avevamo amati noi, e si affliggeva mentre — con ghirlande di fiori — seppelliva i suoi morti.»

Rimasi a lungo in silenzio, riflettendo, e considerando soprat­tutto il punto di partenza di Memnoch: la certezza che lui, Dio e gli angeli rappresentassero l’ideale verso il quale questa forma umana si stava evolvendo davanti ai loro stessi occhi. Non avevo mai esaminato la faccenda da una simile angolazione. E ancora tornò l’immagine di Dio che, accanto alla balaustrata, si voltava verso di me e mi chiedeva con tanta convinzione: Non saresti mai mio nemico, vero?

Memnoch mi fissava. Distolsi lo sguardo, perché nei suoi con­fronti provavo già la più profonda lealtà, scaturita dalla storia che mi stava narrando e dalle emozioni che la impregnavano, e insieme ero confuso dalle parole di Dio Incarnato.

«E ne hai ben donde», disse Memnoch. «Perché la domanda che devi porti è questa: conoscendoti, Lestat, come di sicuro Lui ti conosce, perché non ti considera già un suo nemico? Riesci a indovinarlo?»

Sbalordito. Ammutolito.

Lui aspettò che fossi pronto a sentire il resto, e ci furono mo­menti in cui dubitai che lo sarei mai stato. Attratto com’ero da lui, che tanto mi affascinava, sentii un desiderio tutto mortale di fuggire da qualcosa di soverchiante, qualcosa che minacciava le fondamenta stesse della mia mente raziocinante.

«Quando ero con Dio, vedevo come vede Dio», continuò Memnoch. «Vidi gli umani con le loro famiglie; vidi gli umani che si riunivano per assistere alla nascita e agevolarla; vidi gli umani coprire le tombe con pietre cerimoniali. Vedevo come ve­de Dio, e vidi come se vedessi in eterno e in ogni direzione; vidi la mera complessità di ogni aspetto del creato, ogni molecola di umidità e ogni sillaba sonora che usciva da becchi di uccelli o da bocche umane, e tutto ciò non sembrava altro che il prodotto dell’assoluta grandezza di Dio. Dal mio cuore si levarono canti che non ho mai più eguagliato.

«E Dio mi disse di nuovo: ‘Memnoch, resta accanto a me in paradiso. Adesso osserva da lontano’.

«‘Devo proprio, Signore?’ chiesi. ‘Desidero così ardentemente osservarli e vegliare su di loro. Voglio toccare con le mie mani invisibili la loro pelle morbida.’

«‘Sei il mio angelo, Memnoch. Va’ e osserva, dunque, e ricor­da che tutto ciò che vedi è creato e voluto da me.’

«Guardai giù una volta prima di lasciare il paradiso — e ades­so sto parlando metaforicamente, lo sappiamo entrambi —, guar­dai giù e vidi il creato brulicare di angeli osservatori, li vidi dap­pertutto, assorbiti dalle cose che più li incantavano e che ho già descritto, dalla foresta alla vallata, al mare. Ma sembrava che l’at­mosfera terrestre contenesse qualcosa che l’aveva cambiata; lo potremmo chiamare un nuovo elemento; un sottile mulinello di minuscole particelle? No, questo farebbe pensare a qualcosa di più grande di ciò di cui parlo. Ma era là. Raggiunsi la terra, e su­bito gli altri angeli mi confermarono che anche loro avevano per­cepito un nuovo elemento nell’atmosfera terrestre, anche se non dipendeva dall’aria come qualunque altro essere vivente.

«‘Com’è possibile?’ chiesi.

«‘Ascolta’,mi disse l’angelo Michele. ‘Ascolta semplicemen­te. Puoi sentirlo.’

«E Raffaele precisò: ‘È qualcosa d’invisibile ma di vivo! E co­sa mai esiste sotto il paradiso che sia invisibile e vivo, a parte noi?’

«Centinaia di altri angeli si radunarono per discuterne, per raccontare come avevano percepito questo nuovo elemento, questa nuova presenza d’invisibilità che sembrava brulicare in­torno a noi, ignara della nostra presenza eppure intenta a pro­durre una vibrazione, o, meglio, un suono inudibile, che noi ci sforzavamo di captare.

«‘Ci sei riuscito!’ mi rampognò uno degli angeli, di cui tacerò il nome. ‘Hai deluso Dio, con tutte le tue accuse e i tuoi scoppi d’ira, e Lui ha creato qualcos’altro, oltre a noi, che è invisibile e dotato dei nostri poteri! Memnoch, devi andare da Lui per sco­prire se intende sbarazzarsi di noi e lasciare che sia questo nuovo essere invisibile a dominare.’

«‘Com’è possibile?’ chiese Michele, che è, tra gli angeli, uno dei più pacati e ragionevoli. Lo afferma la leggenda, così come l’angelologia, il folklore e tutto il resto; ed è vero, Michele è ragionevole. E in quell’occasione fece presente agli angeli afflitti che quelle minuscole presenze invisibili di cui eravamo consape­voli non potevano certo eguagliare il nostro potere. Riuscivano a stento a manifestarsi a noi, e noi eravamo angeli, ai quali niente, sulla terra, poteva sfuggire!

«‘Dobbiamo scoprire di cosa si tratta’,dichiarai. ‘È legato alla terra e ne fa parte; non è un essere celeste, è qui, vive vicino alle foreste e alle colline.’ Erano tutti d’accordo. Eravamo esseri che conoscevano la composizione di qualunque cosa. Potresti impie­gare migliaia di anni a comprendere i cianobatteri o il nitrogeno, invece noi li capivamo! Eppure non capivamo questo. O, me­glio, non riuscivamo a riconoscerlo per ciò che era.»

«Sì, capisco.»

«Restammo in ascolto; protendemmo le braccia. Percepim­mo che era incorporeo e invisibile, sì, ma che possedeva una con­tinuità, un’individualità, anzi; captavamo una moltitudine d’in­dividualità che stava piangendo, e molto gradualmente quel suo­no venne sentito all’interno del nostro stesso reame d’invisibilità, dalle nostre orecchie spirituali.» S’interruppe ancora. «Capisci la distinzione che sto facendo?» chiese poi.

«Erano individui spirituali», affermai.

«Mentre riflettevamo, allargavamo le braccia, cantavamo e cercavamo di consolarli, mentre ci facevamo strada in modo in­visibile e con maestria tra la materia della terra, qualcosa d’im­portante si manifestò a noi, turbandoci e costringendoci a inter­rompere le nostre esplorazioni. La Dodicesima Rivelazione si ab­battè su di noi! Ci colpì come la luce proveniente dal paradiso; distolse la nostra attenzione dal pianto dell’invisibile celato! Mandò in frantumi la nostra ragione e trasformò i nostri canti in risate e gemiti.

«La Dodicesima Rivelazione dell’evoluzione fu che la femmi­na della specie umana, fìsicamente, aveva cominciato a differen­ziarsi in modo più netto dal maschio, con uno scarto tale da non poter essere eguagliato da nessun altro antropoide! La femmina divenne graziosa e seducente ai nostri occhi; i peli scomparvero dal suo viso e le membra si fecero aggraziate; il suo contegno tra­scendeva le esigenze della sopravvivenza; divenne bella come lo sono i fiori, come lo sono le ali degli uccelli! Dall’accoppiamento della scimmia antropoide pelosa era sorta una femmina dalla pelle morbida e dal volto radioso. E benché noi non avessimo il seno e lei non avesse le ali, somigliava A NOI!»

Memnoch e io rimanemmo l’uno di fronte all’altro, immobili.

Nemmeno per un istante il senso delle sue parole mi risultò oscuro. Nemmeno per un istante dovetti sforzarmi di compren­dere. Già sapevo. Guardai Memnoch, il viso stupendo e i capelli fluenti, le membra dalla serica pelle, l’espressione gentile, e seppi che aveva ragione, naturalmente. Non era necessario aver studia­to l’evoluzione per rendersi conto che un simile momento era sicuramente arrivato col perfezionamento della specie, e lui, Memnoch, incarnava il femminino dotato di pieni poteri più di quanto avrebbe potuto fare qualunque altra creatura. Era come gli angeli di marmo, come le statue di Michelangelo; il suo fisico rivelava compiutamente la perfetta armonia del femminino.