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Era agitato, come sul punto di torcersi le mani. Mi fissò con intensità, come se volesse guardare dentro e attraverso di me.

«E dopo breve tempo si manifestò la Tredicesima Rivelazione dell’evoluzione», rivelò. «I maschi si accoppiavano con le fem­mine più attraenti e flessuose, con la pelle liscia e la voce soave. E questi accoppiamenti produssero maschi belli tanto quanto le femmine. Apparvero umani con carnagioni diverse; apparvero capelli rossi e biondi, così come capelli neri e riccioli castani, persino di un bianco sorprendente; apparvero occhi di una va­rietà illimitata... grigi, marroni, verdi, azzurri. L’uomo aveva per­so la fronte aggrottata, il volto peloso e l’andatura scimmiesca, e pure lui brillava di una bellezza angelica, proprio come la sua compagna.»

Rimasi in silenzio.

Lui distolse lo sguardo da me, ma non c’era niente di persona­le. Sembrava che avesse bisogno di una pausa per rinnovare la propria energia. Mi ritrovai a fissare le alte ali arcuate, accostate l’una all’altra, con le estremità inferiori che sfioravano il terreno su cui ci trovavamo, ogni piuma iridescente. Lui si voltò a guar­darmi e, sgusciando fuori della forma angelica, il suo viso mi provocò un leggero turbamento.

«Erano lì, Lestat, maschio e femmina; Lui li creò e, a parte il fatto, a parte il fatto... che uno era maschio e l’altra era femmina, erano fatti a immagine e somiglianzà di Dio e dei suoi angeli! A questo si era arrivati! A questo! Dio diviso in due! Angeli divisi in due! Non so per quanto tempo mi trattennero gli altri angeli, ma alla fine non ci riuscirono più e io salii in paradiso, infiamma­to da pensieri, dubbi e congetture. Conoscevo l’ira. Me l’aveva­no insegnata le grida di sofferenza dei mammiferi. Me l’avevano insegnata le urla e i ruggiti delle guerre tra gli esseri scimmieschi. Il decadimento e la morte mi avevano insegnato la paura. In realtà, l’intera creazione di Dio mi aveva insegnato tutto ciò di cui avevo bisogno per poter correre davanti a Lui e prorompere: ‘È questo che volevi? La tua stessa immagine suddivisa in ma­schio e femmina! La scintilla di vita che adesso brilla enorme quando uno dei due muore! Questa cosa grottesca; questa divi­sione impossibile; questo mostro! Era questo il piano?’ Mi senti­vo oltraggiato. La consideravo una catastrofe! Ero furibondo. Allargai le braccia, invitando Dio a ragionare con me, a perdo­narmi, e a salvarmi con rassicurazioni e saggezza, ma da Lui non giunse nulla. Nulla. Nessuna luce. Nessuna parola. Nessun casti­go. Nessun giudizio. Mi resi conto di trovarmi in paradiso cir­condato da angeli, tutti intenti a osservare e ad aspettare. Da Dio Onnipotente non giunse nulla se non la luce più quieta. Stavo piangendo. ‘Guardate, lacrime come le loro’,urlai agli altri, ben­ché naturalmente le mie fossero immateriali. E mentre piangevo e loro mi guardavano, mi resi conto che non stavo piangendo da solo. Chi piangeva con me? Ruotai più volte su me stesso, osser­vandoli: vidi tutti i cori degli angeli, gli osservatori, i cherubini, i serafini, gli ophanim, tutti. Il loro volto era estatico e misterioso, eppure sentivo qualcuno che piangeva! ‘Da dove arriva questo pianto?’ gridai. E poi capii. E anche loro capirono. Ci riunimmo, con le ali ripiegate e a capo chino, e restammo in ascolto; sentim­mo levarsi dalla terra le voci di quegli spiriti invisibili, quelle in­dividualità celate; erano loro — gli esseri immateriali — a piangere! E il loro pianto raggiunse il paradiso mentre la luce di Dio conti­nuava a brillare eterna, senza produrre in noi nessun mutamento.

«‘Vieni e sii testimone, adesso’,disse Raffaele. ‘Vieni a osser­vare, come ci è stato detto di fare’.

«‘Sì, devo vedere di che si tratta!’ convenni e scesi nell’atmo­sfera terrestre. Lo stesso fecero tutti gli altri, trasformando in una tromba d’aria quei minuscoli esseri gemebondi che non riu­scivamo nemmeno a vedere! Poi fummo distratti dalle grida umane! Grida umane mescolate a quelle degli invisibili! Giun­gemmo a terra insieme, condensati ma restando comunque una moltitudine, circondando invisibilmente un accampamento di esseri umani. In mezzo a loro giaceva un giovane moribondo, che si contorceva in preda all’agonia sul letto che gli avevano preparato con erba e fiori. Era stato il morso di un insetto letale a provocare la sua febbre; faceva tutto parte del ciclo, come ci avrebbe detto Dio se glielo avessimo chiesto. I lamenti degli es­seri invisibili aleggiavano su quella vittima in agonia e i gemiti degli esseri umani si levavano più terribili di quanto potessi sop­portare. Ricominciai a piangere.

«‘Zitto, ascolta’,mi ammonì Michele, l’angelo paziente. M’in­dicò di guardare dietro il minuscolo accampamento, dietro il corpo agitato dell’uomo febbricitante, per vedere nell’aria rare­fatta gli spiriti che si radunavano e piangevano! E per la prima volta coi nostri occhi riuscimmo a vedere questi spiriti! Li ve­demmo raggrupparsi e disperdersi, vagare, riunirsi e indietreg­giare, ognuno conservando la vaga forma essenziale di un essere umano. Deboli, confusi, smarriti, insicuri di sé, nuotavano nel­l’atmosfera, allargando le braccia verso l’uomo sdraiato sul giaci­glio e in punto di morte. E quell’uomo morì.»

Silenzio. Stasi.

Memnoch mi guardò come se dovessi essere io a concludere il racconto.

Lo feci: «E uno spirito si levò dall’uomo morente. La scintilla di vita sfavillò e non si spense, ma divenne un essere invisibile che si unì a tutti gli altri. Lo spirito dell’uomo si sollevò, con la forma dell’uomo, e si unì agli altri spiriti, venuti per portarlo via».

«Sì!» Fece un profondo sospiro e poi allargò di scatto le braccia. Inspirò rumorosamente, come se volesse urlare. Guardò verso il cielo tra i giganteschi alberi.

Ero paralizzato.

Intorno a noi la foresta sospirò nella sua pienezza. Riuscivo a sentire il tremito di Memnoch, a sentire il grido che aleggiava dentro di lui e poteva sgorgare in un terribile richiamo, ma che invece si spense, mentre lui chinava il capo.

La foresta era cambiata di nuovo. Adesso era la nostra foresta. Le querce e gli alberi scuri erano quelli della nostra epoca; come i fiori selvatici, e il muschio che conoscevo, e gli uccelli e i minu­scoli roditori che sfrecciavano nell’ombra.

Rimasi in attesa.

«L’aria era addensata da questi spiriti. Infatti, dopo averli vi­sti, dopo essere riusciti a distinguere il loro tenue contorno e la loro voce incessante, non avremmo mai più potuto non vederli: circondavano la terra come una ghirlanda! Gli spiriti dei morti, Lestat! Gli spiriti degli umani morti», riprese lui.

«Anime, Memnoch?»

«Anime.»

«Anime che si erano sviluppate dalla materia?»

«Sì. A immagine di Dio. Anime, essenze, individualità invisi­bili, anime!»

Aspettai di nuovo, in silenzio.

Lui si ricompose. «Vieni con me», m’invitò. Si asciugò il viso col dorso della mano e, mentre la allungava per prendere la mia, sentii, per la prima volta in modo distinto, la sua ala sfiorarmi da capo a piedi: questo provocò in me un brivido che sembrava di paura ma non lo era.

«Le anime erano uscite da questi esseri umani», spiegò. «Erano integre e vive, e aleggiavano intorno ai corpi materiali degli umani dalla cui tribù provenivano. Non potevano vederci; non potevano vedere il paradiso. Chi potevano vedere se non co­loro che li avevano seppelliti, coloro che li avevano amati in vita e rappresentavano la loro progenie, coloro che spargevano il rosso ocra sopra i loro corpi prima di deporli accuratamente, rivolti verso est, in tombe ornate dagli oggetti che avevano posseduto in vita?»