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Io ricominciai a citare sommessamente dal libro di Enoch. «‘E ora, guardate, le anime di coloro che sono morti stanno gri­dando e appellandosi alle porte del paradiso.’»

«Sì, conosci le Scritture come un buon Diavolo», dichiarò con amarezza, eppure il suo viso era talmente stravolto dalla tri­stezza e dalla compassione e questa frase beffarda fu pronuncia­ta con un tale sentimento che io non percepii nessuna acredine. «E chissà cosa sarebbe potuto succedere!» aggiunse. «Chi po­teva saperlo? Sì, sì, avrei rafforzato Sheol finché quelle grida non avessero colpito le porte del paradiso, abbattendole. Se hai delle anime e queste sono capaci di crescere, puoi essere come gli an­geli! Quella era la mia unica speranza, la speranza di regnare tra i dimenticati da Dio.»

«Ma Dio non ha permesso che accadesse, vero? Non ti ha la­sciato morire in quel corpo.»

«No. E neanche ha mandato il diluvio. Tutto quello che ave­vo insegnato non fu spazzato via da un’inondazione. Ciò che è ri­masto, ciò che ha trovato posto nel mito e nelle Scritture, è che io ero stato là, quelle cose erano state insegnate ed era alla portata di un uomo insegnarle; lo si poteva fare grazie alla logica, non al­la magia, e persino i segreti del paradiso rappresentavano ciò che forse le anime sarebbero arrivate a capire da sole. Presto o tardi, avrebbero capito.»

«Ma come te ne sei andato? Che ne è stato di Lilia?»

«Lilia? Ah, Lilia. Morì venerata come la moglie di un dio. Li­lia.» Il suo viso s’illuminò e lui rise. «Lilia», ripetè, la memoria che estrapolava la donna dalla storia per portarla vicino a lui. «La mia Lilia. Bandita, e pronta a legare la sua sorte a quella di un dio.»

«A quel punto Dio ti aveva già ripreso con sé? Aveva messo fine alla tua vita tra gli uomini?» domandai.

Ci fissammo per un istante.

«Non è così semplice», mormorò. «Mi trovavo là da circa tre mesi quando mi svegliai per scoprire che Michele e Raffaele era­no venuti da me; dissero con chiarezza: ‘Dio ti vuole’.

«E io, essendo Memnoch l’irriducibile, risposi: ‘Davvero? Al­lora perché non mi prende e mi porta fuori di qui, oppure fa ciò che desidera?’

«A quel punto, Michele sembrò dispiaciuto per me e disse: ‘Memnoch, per l’amor di Dio, riprendi spontaneamente la tua debita forma. Senti il tuo corpo aumentare di statura; lascia che le tue ali ti riconducano in paradiso. Dio ti desidera solo se vuoi venire! Ora, Memnoch, rifletti prima di...’

«‘No, non hai bisogno di mettermi in guardia, mio caro’,lo prevenni. ‘Vengo, con le lacrime agli occhi, vengo.’ M’inginoc­chiai per baciare Lilia, ancora addormentata. Lei alzò gli occhi su di me. ‘Questo è un addio, mia compagna, mia maestra’,sussur­rai. La baciai e poi, voltandomi, divenni angelo per lei visibile, la­sciando che la materia mi delineasse in modo che Lilia, appoggia­ta ai gomiti e piangente, avesse quest’ultima visione di me e ma­gari se la stringesse al cuore quando ne avesse avuto bisogno. In­fine, invisibile, mi unii a Michele e Raffaele, e tornai in paradiso. Nei primi istanti non riuscii quasi a crederci; mentre attraversavo Sheol, le anime gridarono di dolore e io allungai le mani per con­solarle. ‘Non vi dimenticherò! Lo giuro. Porterò in paradiso il vostro appello’,e poi salii sempre più su, la luce che scendeva ad accogliermi e ad avvilupparmi, e il caldo amore di Dio — non sa­pevo se rappresentasse un preludio al giudizio o al castigo — mi circondò e mi sostenne. Le grida di gioia in paradiso risultarono assordanti persino alle mie orecchie. Tutti gli angeli del bene ha elohim erano riuniti. La luce di Dio pulsava in mezzo a loro.

«‘Devo essere punito?’ chiesi. Tutto ciò che riuscivo a sentire era la gratitudine per aver potuto vedere ancora una volta, sep­pure per pochi istanti, questa luce. Non riuscivo a guardare al suo interno. Dovetti alzare le mani. E, come sempre succede in occasione di una riunione plenaria in paradiso, i serafini e i che­rubini si strinsero intorno a Dio in modo che la luce arrivasse suddivisa in raggi da dietro le loro spalle, gloriosa, e trasformata in una radiosità che potevamo sopportare.

«La voce di Dio risuonò immediata e totale. ‘Ho qualcosa da dirti, mio audace, arrogante Memnoch. Ho da comunicarti un concetto su cui potrai riflettere nella tua saggezza angelica. È il concetto della Gehenna, dell’inferno.’ Questa parola mi si spa­lancò davanti con tutte le sue implicazioni. ‘Fuoco e tormento eterno, il contrario del paradiso’,disse Dio. ‘Memnoch, rispon­dimi ascoltando il tuo cuore. Sarebbe il castigo adatto a te, l’esat­to contrario della gloria cui hai rinunciato per le figlie degli uo­mini? Sarebbe la condanna appropriata, una sofferenza perenne o che duri finché il tempo non cessa di esistere?’»

14

«Mi occorse meno di un secondo per rispondere», raccontò Memnoch e, mentre mi guardava, inarcò le sopracciglia. «Dissi: ‘No, Signore, non potresti mai fare una cosa simile. Siamo tutti tue creature. Quello è un orrore troppo grande per chiunque o per qualunque torto ti sia stato arrecato deliberatamente. No, Si­gnore. Quando gli uomini e le donne della terra mi dissero di aver sognato simili tormenti per quanti erano stati malvagi e ave­vano causato loro dolore e infelicità, ho assicurato che un posto del genere non esisteva né mai sarebbe esistito’. Le risate echeg­giarono in paradiso, da un capo all’altro dei cieli. Ogni angelo stava ridendo; le risate erano melodiose e colme di delizia e me­raviglia come sempre, però erano risate, non canti. Solo un esse­re non stava ridendo. Memnoch. Io. Rimasi fermo lì, avendo par­lato in tutta serietà e sbalordito di sentirli ridere delle mie parole. Ma si era verificato il più strano dei fenomeni: anche Dio aveva riso e stava ridendo, sommessamente, insieme con gli angeli, al­l’unisono o dando il ritmo, e solo quando la sua risata si placò cessarono anche le loro.