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Memnoch mi prese con sé e c’incamminammo sulla sabbia, che non era profonda come avevo immaginato, ma calda e piena di ciottoli. Ci addentrammo in canyon, risalimmo pendii e infine raggiungemmo una sorta di radura dove erano stati disposti or­dinatamente dei sassi, come se qualcuno avesse l’abitudine di recarsi lì di tanto in tanto. Aveva un aspetto del tutto naturale co­me l’altro luogo in cui avevamo scelto di restare così a lungo.

Un punto di riferimento nel deserto, per così dire, un impre­cisato monumento, forse.

Aspettai nervosamente che Memnoch ricominciasse a parlare. Il mio senso di disagio si stava acuendo. Lui rallentò finché non ci trovammo a poca distanza dal piccolo cumulo di sassi.

Solo allora parlò. «Mi avvicinai sempre più a quei segnali che vedi laggiù e coi miei occhi angelici, potenti quanto i tuoi, spiai da un’enorme distanza un essere umano solitario. I miei occhi mi dissero subito che non era un umano, bensì colmo del fuoco di Dio. Non ci credevo, eppure continuai ad avvicinarmi, sempre più, incapace di fermarmi; mi bloccai in questo punto esatto, fissando la figura seduta su quel masso di fronte a me, intenta a guardarmi. Era Dio! Non c’erano dubbi in proposito. Era rive­stito di carne, cotto dal sole, bruno, e aveva gli occhi scuri della gente del deserto, ma era Dio! Il mio Dio! Ed eccolo, seduto lì con quel corpo di carne, che mi guardava con occhi umani e gli occhi di Dio. Vidi la luce che lo riempiva tutto ed era racchiusa dentro di lui, nascosta al mondo esterno dalla carne di Dio, come se quest’ultima fosse la più resistente membrana tra il paradiso e la terra. Se qualcosa di più terribile di quella rivelazione esisteva, era il fatto che Lui mi stesse guardando, mi conoscesse e mi stes­se aspettando, e che tutto ciò che provavo per Lui, mentre lo fis­savo, fosse amore. Noi angeli cantiamo continuamente canzoni d’amore. È quella la canzone dedicata a tutto il creato? Lo guar­dai, assalito dal terrore per le sue parti mortali — la carne bruciata dal sole, la sete, il vuoto nello stomaco e la sofferenza dei suoi oc­chi nella calura — e per la presenza di Dio Onnipotente dentro di lui; ciò che provai non fu altro che un amore soverchiante.

«‘Ecco, Memnoch, sono venuto’,disse con la lingua e la voce di un uomo.

«Mi prostrai dinanzi a Lui. Fu un gesto istintivo. Mi limitai a restare steso lì, allungando le braccia e toccando la punta della fascetta di pelle del suo sandalo. Sospirai e il mio corpo tremò per il sollievo provocato dalla fine della solitudine, per l’attrazio­ne verso Dio e la soddisfazione che suscitava. Cominciai a piangere di gioia per il semplice fatto di stargli vicino e vederlo, e mi meravigliai per ciò che questo doveva significare.

«‘Alzati, vieni a sederti accanto a me’,disse Dio. ‘Adesso so­no un uomo e sono Dio, ma ho paura.’ La sua voce mi sembrò indescrivibilmente commovente, umana eppure colma della sag­gezza del divino. Lui parlava col linguaggio e l’accento di Geru­salemme.

«‘Oh, Signore, cosa posso fare per alleviare la tua pena?’ chiesi, perché la pena era evidente. Mi alzai. ‘Cosa hai fatto e perché?’

«‘Ho fatto esattamente quello che tu mi hai sfidato a fare, Memnoch’,rispose, e il suo volto ostentava il più sognante e ac­cattivante dei sorrisi. ‘Mi sono incarnato. Solo che ti ho supera­to. Sono nato da una donna mortale, piantando io stesso il seme dentro di lei; per trent’anni ho vissuto su questa terra prima co­me bambino, poi come uomo, e per lunghi periodi ho dubitato — no, persino dimenticato e cessato di credere — di essere davvero Dio!’

«‘Ti vedo, ti riconosco. Sei il Signore mio Dio’,sussurrai. Ero così colpito dal suo viso, dal fatto di riconoscerlo nella maschera di pelle che ricopriva le ossa del suo cranio. In un attimo treman­te rievocai la sensazione provata quando avevo intravisto il suo viso nella luce, e allora notai la stessa espressione in quel viso umano. M’inginocchiai. ‘Sei il mio Dio’,ripetei.

«‘Adesso lo so, Memnoch, ma cerca di capire che ho permes­so a me stesso d’immergermi completamente nella carne, di di­menticarlo, così da poter scoprire, come hai detto tu, cosa signi­fichi essere umano e cosa soffrano gli umani, cosa temano e cosa desiderino, e cosa siano in grado d’imparare qui o lassù. Ho fatto ciò che mi hai detto di fare, e l’ho fatto meglio di te, Memnoch: l’ho fatto come deve farlo Dio, portandolo alle estreme conse­guenze!’

«‘Signore, a stento posso sopportare la visione della tua soffe­renza’,proruppi, non riuscendo a staccare gli occhi da Lui eppu­re sognando acqua e cibo da offrirgli. ‘Lascia che ti asciughi il su­dore. Lascia che ti prenda dell’acqua. Lascia che ti porti fino all’acqua in un istante angelico. Lascia che ti conforti, ti lavi e ti aiuti a indossare una veste consona al Dio sulla terra.’

«‘No’,rifiutò. ‘Nei giorni in cui mi credevo pazzo, in cui ri­cordavo a malapena di essere Dio, in cui avevo rinunciato volutamente alla mia onniscienza per soffrire e conoscere i limiti, for­se saresti riuscito a convincermi che la strada era quella. Avrei potuto accettare la tua offerta. Sì, fa’ di me un re. Fa’ che sia quello il modo in cui Io mi manifesto a loro. Ma non adesso, non più. So Chi sono e Cosa sono, e so cosa succederà. E hai ragione, Memnoch, a Sheol ci sono anime pronte per il paradiso e Io stes­so le accompagnerò là. Ho appreso ciò che mi hai sfidato ad ap­prendere.’

«‘Signore, stai morendo di fame. Stai soffrendo una sete terri­bile. Ecco, col tuo potere trasforma queste pietre in pane, così da poter mangiare. Oppure lascia che io ti procuri del cibo.’