Aveva a malapena lo spazio sufficiente per avanzare col suo carico, la tunica lacera, le ginocchia livide e sanguinanti, ma continuò a camminare. Il tanfo di urina proveniente dai muri vicini era terribile. Arrancò verso di noi, il viso nascosto, poi cadde, un ginocchio che piombava sui sassi della strada. Alle sue spalle vidi altri che trasportavano il lungo palo della croce che sarebbe stato piantato nel terreno.
I soldati accanto a Lui lo tirarono in piedi e gli risistemarono la croce sulle spalle. Il suo viso era ben visibile, a meno di un metro da noi, e Lui ci guardò. Bruciato dal sole, le guance scavate, la bocca aperta e tremolante, gli occhi scuri sgranati e fissi su di noi, ci guardò, senza nessuna espressione, senza lanciare nessun appello. Il sangue colava dalle spine nere conficcate nella fronte; formava minuscoli rivoletti sulle palpebre e lungo le guance. Il petto era nudo sotto la veste stracciata e aperta che indossava, e coperto dalle striature gonfie e rosse lasciate dalla frusta!
«Mio Dio!» Avevo di nuovo perso ogni volontà. Memnoch mi sorresse mentre fissavamo entrambi il volto di Dio. E la folla, la folla continuava a urlare e imprecare, e strepitare e spingere; alcuni bambinetti sbirciavano attraverso le gambe degli adulti; molte donne gemevano. Altri ridevano; un’enorme, orrida e puzzolente moltitudine sotto il sole implacabile che insinuava i suoi raggi tra i muri ravvicinati e macchiati di urina!
Lui si avvicinò ancora! Ci riconosceva? Fremette nell’agonia, il sangue gli colò sul viso, fino alle labbra tremanti. Emise un rantolo, come se stesse soffocando, e vidi che la tunica sulle sue spalle, sotto il legno grezzo del braccio della croce, era impregnata di sangue per la flagellazione. Lui era al limite della sopportazione, ma lo spinsero in avanti e si ritrovò proprio di fronte a noi, gli occhi bassi, il viso madido di sudore in cui nuotava il sangue, e si voltò a guardarmi.
Stavo piangendo senza nessun controllo. A cosa stavo assistendo? A una brutalità indescrivibile in qualunque tempo e luogo, ma le leggende e le preghiere della mia infanzia ardevano con grottesca vitalità; riuscivo a sentire l’odore del sangue. Lo sentiva il vampiro dentro di me. Riuscii a sentire i miei singhiozzi, allargai le braccia. «Mio Dio !»
Il silenzio calò sul mondo intero. La gente gridava e spingeva, ma non nel reame in cui ci trovavamo. Lui si fermò a guardare me e Memnoch, si astrasse dal tempo e fermò l’istante nella sua pienezza, nella sua atroce sofferenza, mentre ci fissava.
«Lestat», disse, la voce così flebile e straziata, che la sentii a malapena. «Vuoi assaggiarlo, vero?»
«Signore, cosa stai dicendo?» gridai, le mie parole talmente piene di lacrime che riuscivo a stento a controllarle.
«Il sangue. Assaggialo. Assaggia il sangue di Cristo.» E un terribile sorriso di rassegnazione apparve sul suo volto, quasi una smorfia, il suo corpo che si contorceva sotto l’immensa trave, e il sangue fresco che colava mentre, con ogni respiro, Lui si conficcava più a fondo le spine nella fronte, e le striature sul suo petto cominciarono a gonfiarsi diventando piaghe da cui colava il sangue.
«No, mio Dio!» urlai, e allungai una mano e sentii le sue braccia fragili, legate alla gigantesca asse orizzontale della croce, le sue braccia doloranti e magre sotto le maniche lacere, e il sangue sfavillò davanti a me.
«Il sangue di Dio, Lestat», sussurrò. «Pensa a tutto il sangue umano che è fluito nelle tue labbra. Il mio sangue non ne è degno? Hai paura?»
Singhiozzando, gli cinsi il collo con le mani, le mie nocche contro la croce, e gli baciai la gola, e poi la mia bocca si aprì senza volontà né lotta e i miei denti penetrarono nella carne. Lo sentii gemere, un lungo gemito echeggiante che parve levarsi e riempire il mondo col suo suono, e il sangue m’inondò la bocca.
La croce, i chiodi conficcati nei suoi polsi, non nelle mani, il suo corpo che si contorceva e si dimenava come negli ultimi istanti, voleva fuggire, e la sua testa piombò violentemente sul braccio orizzontale della croce, tanto che le spine gli si piantarono nello scalpo, e poi i chiodi conficcati nei suoi piedi, e i suoi occhi che si alzavano verso il cielo, il ritmico picchiare del martello, e poi la luce, l’immensa luce che saliva com’era salita al di sopra della balaustrata del paradiso, e riempiva il mondo, e cancellava persino questo tiepido, denso, squisito sorso di sangue che scendeva dentro di me. La luce, la luce stessa e l’essere al suo interno, a sua immagine! La luce si ritrasse, rapida, silenziosa, e lasciandosi dietro un lungo tunnel o sentiero, e sapevo che il sentiero portava direttamente dalla terra alla luce.
Dolore! La luce stava scomparendo. La separazione era indescrivibile! Un colpo repentino si abbattè su tutto il mio corpo con enorme violenza.
Venni scagliato all’indietro, tra la folla. La sabbia mi punse gli occhi. Le urla si levarono tutt’intorno a me. Il sangue mi era rimasto sulla lingua. Mi colò dalle labbra. Il tempo incalzava con un calore soffocante. E Lui era davanti a noi, fissandoci, e le lacrime scesero dai suoi occhi, solcando il sangue che già lo copriva.
«Oh, mio Dio, mio Dio, mio Dio!» gridai, deglutendo le ultime gocce di sangue. Cominciai a singhiozzare.
La donna sul lato opposto della strada diventò visibile, sfolgorante. All’improvviso la sua voce sovrastò il mormorio e le imprecazioni, l’orrenda cacofonia prodotta dagli umani rozzi e insensibili che cercavano di vedere la scena.
«Mio Dio!» urlò lei, e la sua voce fu come uno squillo di tromba. Si parò davanti a Cristo. Si fermò di fronte a Lui, si tolse il sottile velo bianco dai capelli, e lo tenne sollevato con entrambe le mani davanti al viso di Cristo. «Signore, Dio, sono Veronica», gridò. «Ricorda Veronica. Per dodici anni ho sofferto di un’emorragia, ma quando ho toccato l’orlo della tua veste sono guarita.»
«Impuro, sudicio!» urlarono i presenti.
«Criminale, blasfemo!»
«Figlio di Dio? Come osi?»
«Immondo, immondo, immondo!»
Le grida divennero frenetiche. La gente protese le braccia verso di lei, eppure sembrava restia a toccarla. Sassi e pietre piovvero dall’alto, verso di lei. I soldati apparivano indecisi, sconcertati e ostili.
Ma Dio Incarnato, le spalle curve sotto la croce, si limitò a guardarla e poi disse: «Sì, Veronica, delicatamente, il tuo velo, mia cara, il tuo velo».
Lei gli posò il velo candido, virginale e sottile sul viso, per tamponare il sangue e il sudore, per calmare, per confortare, il profilo di Cristo visibile sotto il suo biancore per un attimo, e poi, mentre la donna faceva per spostarlo gentilmente, i soldati la tirarono indietro e lei si fermò, sollevando il tessuto con entrambe le mani perché tutti potessero vederlo.
Il viso di Dio era impresso sul velo!
«Memnoch, guarda! Guarda il velo di Veronica!» gridai.
Il volto era stato trasferito, era stato impresso nel tessuto così come nessun pittore avrebbe saputo raffigurarlo, come se il velo avesse catturato la copia perfetta del viso di Cristo come una moderna macchina fotografica, ma in modo addirittura più vivido, come se un sottile strato di pelle avesse creato la pelle nell’immagine, e il sangue avesse creato il sangue, e gli occhi avessero stampato nel tessuto il loro duplicato, e anche le labbra vi avessero lasciato la loro impronta di carne.
Tutti gli astanti più vicini videro l’immagine. La gente spingeva e premeva contro di noi per guardarla. Si levarono delle grida.
La mano di Cristo si liberò dalla fune che la legava alla croce, si allungò e prese il velo di Veronica, e lei cadde in ginocchio piangendo, coprendosi il viso con le mani. I soldati erano sbalorditi, confusi, respingevano la folla coi gomiti, ringhiavano contro quelli che incalzavano.