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«La discussione è davvero semplice», disse. «Hai qualche difficoltà a comprenderla, adesso?»

Le sue ali nere si accostarono al corpo, abbracciandolo, le estremità inferiori arcuate, accanto agli zoccoli, per non striscia­re sul terreno. Si avvicinò a me, con orribile incedere animalesco che trasportava torace e testa perfetti, un essere zoppicante, inse­rito a forza in una concezione umana del male.

«Hai ragione», ammise, sedendosi con lentezza, quasi dolo­rosamente, le ali che ancora una volta svanivano perché altri­menti non avrebbe potuto sedersi; e lì rimase, il dio con sem­bianze caprine che mi guardava in cagnesco, i capelli arruffati ma il viso sereno come sempre, non certo più severo, non più dolce, non più saggio o più crudele, perché era scolpito nel nero anziché nell’immagine scintillante della carne. Riprese a parlare: «Vedi, ecco cosa ha fatto Lui, in realtà. Ha continuato a ripeter­mi: ‘Memnoch, nell’universo tutto viene usato... utilizzato... ca­pisci?’ Ed è sceso sulla terra, ha sofferto, è morto ed è risorto per consacrare la sofferenza umana, per serbarla come un mezzo verso un fine; il fine era l’illuminazione, la superiorità dell’anima. Ma il mito del Dio sofferente e morente — che si parli del Tammuz sumero o del Dioniso greco o di qualsiasi altra divinità del mondo, la cui morte e smembramento precedettero la Creazione — fu un’idea umana! Un’idea concepita da umani che non riusci­vano a immaginare una Creazione dal nulla, una Creazione che non comportasse un sacrificio. Il Dio Morente che partorisce l’uomo fu un’idea precoce nelle menti di quelli troppo primitivi per poter concepire qualcosa di assoluto e perfetto. Così Lui — Dio Incarnato — s’innestò su miti umani che tentavano di spiega­re le cose come se avessero un significato, quando forse non è af­fatto così.»

«Sì.»

«Dove fu il suo sacrificio nel creare il mondo?» chiese Mem­noch. «Lui non è Tiamat assassinato da Marduk, non è Osiride fatto a pezzi! A cosa ha rinunciato Dio Onnipotente per creare l’universo materiale? Non ricordo che gli sia stato tolto niente. È vero, l’universo scaturì da Lui, ma non ricordo che Lui sia stato sminuito o menomato o reso inferiore dall’atto della creazione fi­sica! Dopo la creazione dei pianeti e delle stelle era lo stesso Dio! Semmai ne venne accresciuto, o almeno così sembrò agli angeli, mentre cantavano di nuovi e variegati aspetti della sua Creazio­ne. La sua vera natura come Creatore crebbe e si espanse nelle nostre percezioni, mentre l’evoluzione imboccava la strada di Dio. Ma quando Lui venne come Dio Incarnato emulò dei miti che gli uomini avevano inventato per cercare di santificare la sof­ferenza, per cercare di dire che la storia non è orrore ma ha un si­gnificato. S’immerse nella religione creata dall’uomo e portò la sua grazia divina, santificò la sofferenza con la sua morte, mentre non era stata santificata nella sua Creazione, capisci?»

«Fu una creazione senza sangue e senza sacrificio», considerai. La mia voce era soffocata, ma la mia mente non era mai stata più pronta. «Ecco cosa stai dicendo. Tuttavia Lui crede che la sofferenza sia sacrosanta o possa esserlo. Niente va sprecato. Tutto viene usato.»

«Sì. Però il mio punto di vista è che Lui prese l’orribile difetto nel suo cosmo — dolore umano, infelicità, la capacità di patire in­dicibili ingiustizie — e gli trovò un posto, sfruttando le peggiori superstizioni degli uomini.»

«Ma quando la gente muore cosa succede? Chi crede in Lui trova il tunnel, la luce e i suoi cari?»

«Nei luoghi in cui hanno vissuto in pace e prosperità, di soli­to sì. Salgono direttamente in paradiso senza odio né rancore. Così come alcuni che non credono affatto in Lui o nei suoi insegnamenti.»

«Perché anche loro sono illuminati.»

«Sì. E ciò lo gratifica ed espande il suo paradiso; il paradiso è di continuo accresciuto e arricchito da queste nuove anime pro­venienti da ogni parte del mondo.»

«Ma anche l’inferno è pieno di anime.»

«L’inferno supera talmente le dimensioni del paradiso da ri­sultare grottesco. Esiste forse una zona del pianeta da Lui gover­nata in cui non ci siano stati sacrificio di sé, ingiustizia, persecu­zione, tortura e guerra? I miei allievi confusi e amareggiati au­mentano di giorno in giorno. Ci sono epoche caratterizzate da tali privazioni e orrori che ben poche anime ascendono a Lui in pace.»

«E a Lui non importa.»

«Precisamente. Dice che la sofferenza di esseri senzienti è co­me la decomposizione: fertilizza la crescita delle loro anime! Dalla sua altezza imponente Lui osserva un massacro e vede la magnificenza. Vede uomini e donne che non amano mai così tan­to come quando perdono i loro cari, non amano mai così tanto come quando si sacrificano per gli altri in nome di un’astratta nozione di Dio, non amano mai così tanto come quando un eser­cito conquistatore scende a devastare il focolare, dividere il greg­ge e infilzare i corpi dei neonati sulla punta delle lance. La sua giustificazione? Fa parte della natura. È ciò che Lui ha creato. E se le anime colpite e amareggiate devono prima finire nelle mie mani e sottoporsi al mio insegnamento all’inferno, diventeranno ancora più grandi!»

«E il tuo incarico diventa sempre più gravoso.»

«Sì e no. Sto vincendo, ma devo vincere alle condizioni di Dio. L’inferno è un luogo di sofferenza. Esaminiamo però la que­stione attentamente. Guarda cosa ha fatto Lui. Quando ha spalancato le porte di Sheol ed è sceso nella tristezza di quel luogo come il dio Tammuz nell’inferno sumero, le anime sono corse da Lui e hanno visto la sua redenzione, le ferite sulle mani e sui pie­di, e hanno capito che doveva morire perché loro potessero dare un punto focale alla loro confusione, e naturalmente si sono ri­versate con Lui oltre le porte del paradiso... perché d’un tratto tutto quello che avevano sofferto sembrò avere un significato. Ma aveva davvero un significato? Puoi attribuire un significato sacro al ciclo della natura immergendovi semplicemente il tuo io divino? È sufficiente? E cosa dire delle anime che indietreggiano amareggiate, che non fioriscono mai, mentre i talloni dei guerrie­ri le calpestano; cosa dire delle anime deformate e contorte da un’indicibile ingiustizia che entrano nell’eternità imprecando, di un intero mondo moderno che è arrabbiato con Dio, abbastanza arrabbiato per maledire Gesù Cristo e Dio stesso come ha fatto Luterò, come ha fatto Dora, come hai fatto tu, come hanno fatto tutti? La popolazione del tardo XX secolo non ha mai smesso di credere in Lui, è solo che lo odia; prova rancore nei suoi con­fronti; è furibonda con Lui. Si sente... si sente...»

«Superiore a Lui», dichiarai in tono pacato, acutamente con­sapevole del fatto che lui stava dicendo alcune delle parole che io stesso avevo detto a Dora. Odiamo Dio. Lo odiamo.

«Sì», convenne lui. «Sì, ti senti superiore a Lui.»

«Anche tu

«Sì. All’inferno non posso mostrare loro le sue ferite. Questo non riuscirebbe a persuadere queste vittime, tutti coloro che, af­flitti e furibondi, soffrono pene che vanno al di là dell’immagina­zione di Dio. Non posso semplicemente dire loro che sono stati i padri domenicani a bruciarle vive in nome di Dio, considerando­le streghe. O che, quando le loro famiglie e clan e villaggi sono stati annientati dai soldati spagnoli, era tutto giustificato perché le mani e i piedi sanguinanti di Dio erano raffigurati sul vessillo che quegli uomini portavano nel Nuovo Mondo. Pensi che fa­rebbe uscire qualcuno dall’inferno, scoprire che Lui ha lasciato che succedesse? E che lascia ascendere altre anime senza che sof­frano una sola stilla di dolore? Se dovessi iniziare il loro ammae­stramento con quell’immagine — Cristo è morto per voi —, quanto credi che durerebbe l’educazione infernale di un’anima?»