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Inspirò ed espirò, poi raccolse il cuoio. Questo sarebbe stato il pezzo più raffazzonato che faceva da anni, ma l’avrebbe terminato. Lasciare qualcosa incompiuto era sbagliato quanto fare pasticci con i dettagli.

«Curioso» disse la Aes Sedai. Si chiamava Pevara, dell’Ajah Rossa. Androl poteva sentire i suoi occhi sulla schiena.

Una Rossa. Be’, destinazioni comuni richiamavano insoliti compagni di viaggio, come diceva il vecchio adagio tairenese. Forse avrebbe dovuto usare invece il proverbio saldaeano: Se la sua spada è alla gola del tuo nemico, non perdere tempo a ricordare quando era alla tua.

«Allora,» disse Pevara «mi stavi raccontando della tua vita prima di arrivare alla Torre Nera.»

«Non mi pare proprio» disse Androl, iniziando a cucire. «Perché? Cosa volevi sapere?»

«Sono semplicemente curiosa. Sei stato uno di quelli giunti qui per conto loro, per essere messi alla prova, oppure uno di quelli che hanno trovato mentre erano in giro a caccia?»

Androl tirò forte un filo. «Sono venuto per conto mio, come credo che Evin ti abbia detto ieri, quando gli hai chiesto di me.»

«Mmm» disse lei. «Sono tenuta sotto controllo, vedo.»

Lui la guardò, abbassando il cuoio. «È qualcosa che ti insegnano?»

«Cosa?» domandò Pevara in tono innocente.

«A rigirare una conversazione. Eccoti lì seduta, ad accusare me di spiarti, quando sei stata tu quella che è andata in giro a chiedere di me ai miei amici.»

«Voglio sapere quali sono le mie risorse.»

«Vuoi sapere perché un uomo sceglierebbe di venire alla Torre Nera. Di apprendere a incanalare l’Unico Potere.»

Pevara non rispose. Andrai poteva vedere che stava cercando una risposta che non entrasse in conflitto con i Tre Giuramenti. Parlare con una Aes Sedai era come cercare di seguire un serpente verde che strisciava tra l’erba umida.

«Sì» disse lei.

Androl sbatté le palpebre dalla sorpresa.

«Sì, voglio saperlo» continuò. «Siamo alleati, che ciascuno di noi lo desideri o no. Voglio sapere con che genere di persona mi sono infilata a letto.» Lo squadrò. «In senso figurato, naturalmente.»

Lui prese un respiro profondo, costringendosi a calmarsi. Odiava parlare con le Aes Sedai: distorcevano tutto quanto. Quello, unito alla tensione della notte e all’incapacità di realizzare quella sella per bene...

Sarebbe rimasto calmo, che la Luce lo folgorasse!

«Dovremmo esercitarci a creare un circolo» disse Pevara. «Sarà un vantaggio per noi — per quanto piccolo — contro gli uomini di Taim, se dovessero cercare di catturarci.»

Androl scacciò dalla mente la sua antipatia per quella donna — aveva altre cose di cui preoccuparsi — e si impose di pensare in maniera oggettiva. «Un circolo?»

«Non sai di cosa si tratta?»

«Temo di no.»

Lei increspò le labbra. «A volte dimentico quanto siete ignoranti tutti voi...» Si interruppe, come rendendosi conto di aver detto troppo.

«Tutti gli uomini sono ignoranti, Aes Sedai» disse Androl. «Gli argomenti della nostra ignoranza possono cambiare, ma la natura del mondo prevede che nessun uomo possa sapere tutto.»

Nemmeno quella parve essere la risposta che lei si era aspettata. Quegli occhi duri lo esaminarono. Non le piacevano gli uomini in grado di incanalare — questo valeva per buona parte della gente — ma nel suo caso era ancora di più. Aveva passato a vita a dare la caccia a uomini come Androl.

«Un circolo» disse Pevara «si crea quando donne e uomini uniscono le loro forze nell’Unico Potere. Dev’essere fatto in un modo specifico.»

«Il M’Hael lo conoscerà, allora.»

«Gli uomini hanno bisogno delle donne per formare un circolo» disse Pevara. «In effetti, un circolo deve contenere più donne che uomini tranne in casi molto limitati. Un uomo e una donna possono collegarsi, così come possono fare una donna e due uomini, oppure due donne e due uomini. Perciò il massimo che potremmo creare è un circolo di tre, con me e due di voi. Tuttavia, potrebbe esserci utile.»

«Ti troverò due degli altri con cui esercitarti» disse Androl. «Tra quelli di cui mi fido, direi che Nalaam è il più forte. Anche Emarin è molto potente, e non penso che abbia ancora raggiunto l’apice della sua forza. Lo stesso vale per Jonneth.»

«Loro sono i più forti?» chiese Pevara. «Non tu?»

«No» disse lui, tornando al suo lavoro. Fuori la pioggia si intensificò di nuovo e dell’aria fredda si insinuò sotto la porta. Lì vicino una delle lampade della stanza ardeva bassa, creando ombre. Androl osservò l’oscurità con inquietudine.

«Lo trovo difficile da credere, Mastro Androl» disse lei. «Tutti fanno riferimento a te.»

«Credi quello che vuoi, Aes Sedai. Sono il più debole tra loro. Forse il più debole in tutta la Torre Nera.»

Questo la zittì, e Androl si alzò per ricaricare quella lampada tremolante. Mentre tornava a sedersi, dei colpi alla porta annunciarono l’ingresso di Emarin e Canler. Sebbene entrambi fossero fradici a causa della pioggia, per il resto erano quanto di più opposto esistesse. Uno era alto, raffinato e accorto, l’altro irritabile e incline ai pettegolezzi. Avevano trovato un punto di incontro da qualche parte e parevano gradire la reciproca compagnia.

«Ebbene?» chiese Androl.

«Potrebbe funzionare» disse Emarin, togliendosi la giacca zuppa di pioggia e appendendola a un gancio accanto alla porta. Sotto indossava abiti ricamati secondo lo stile tairenese. «Dovrebbe essere un temporale molto forte. Le guardie sorvegliano con attenzione.»

«Mi sento come il toro in palio a una fiera» borbottò Canler, sbattendo via dagli stivali un po’ di fango dopo aver appeso la sua giacca. «Ovunque andiamo, i preferiti di Taim ci controllano con la coda dell’occhio. Sangue e ceneri, Androl. Lo sanno. Sanno che proveremo a fuggire.»

«Avete trovato qualche punto debole?» chiese Pevara, sporgendosi in avanti. «Qualche parte in cui le mura siano meno sorvegliate?»

«Pare che dipenda dalle guardie scelte, Pevara Sedai» disse Emarin, rivolgendole un cenno con il capo.

«Mmm... suppongo sia così. Ho mai detto come trovo affascinante che quello di voi a trattarmi con più rispetto è un tairenese?»

«Essere cortesi verso una persona non è indice di rispetto nei suoi confronti, Pevara Sedai» replicò Emarin. «E semplicemente un segno di una buona educazione e una natura equilibrata.»

Androl sorrise. Emarin era un’assoluta meraviglia con gli insulti. Buona parte delle volte, la persona non si rendeva conto di essere stata presa in giro finché non si erano congedati.

Pevara increspò la bocca. «Bene, allora. Osserviamo la rotazione delle guardie. Quando giungerà il prossimo temporale, lo useremo come copertura e fuggiremo scavalcando le mura vicino alle guardie che ci sembreranno meno vigili.»

I due uomini si voltarono verso Androl, assorto a osservare l’angolo della stanza dove cadeva l’ombra di un tavolo. Si stava ingrandendo? Si allungava verso di lui...

«Non mi piace lasciare indietro degli uomini» disse, costringendosi a distogliere lo sguardo dall’angolo. «Qui ci sono dozzine e dozzine di uomini e ragazzi che non sono ancora sotto il controllo di Taim. Non possiamo plausibilmente condurli via tutti quanti senza attirare l’attenzione. Se li lasciamo indietro, rischiamo...»

Non riusciva a dirlo. Non sapevano cosa stava accadendo, non proprio. Le persone stavano cambiando. Alleati una volta affidabili diventavano nemici nell’arco di una notte. Parevano le stesse persone, eppure allo stesso tempo erano diversi. Diversi in fondo agli occhi. Androl rabbrividì.

«Le donne mandate dalle Aes Sedai ribelli sono ancora fuori dai cancelli» disse Pevara. Erano accampate là fuori da un po’ di tempo, sostenendo che il Drago Rinato aveva promesso loro dei Custodi. Taim non ne aveva ancora fatta entrare nessuna. «Se riusciamo a raggiungerle, possiamo fare irruzione nella Torre e salvare quelli lasciati indietro.»