«Capisco. Be’, suppongo che il fatto che sia un nobile non costituisca una grossa sorpresa.»
«Uno che ha esperienza con le Aes Sedai,» continuò Androl «e che le tratta con rispetto, malgrado o forse proprio come conseguenza di quello che hanno fatto per la sua famiglia. Un nobiluomo tairenese che fa questo, bada. Uno che non disdegna servire sotto quelli che definiresti braccianti e che simpatizza con popolani ribelli. Se posso dirlo, amico mio, questo non è un atteggiamento prevalente fra i tuoi compatrioti. Non esiterei a ipotizzare che tu stesso hai avuto un passato interessante.»
Emarin sorrise. «Concesso. Saresti eccellente nel Gioco delle Casate, Androl.»
«Oh, non direi proprio» disse Androl con una smorfia. «L’ultima volta che ci ho provato, ho quasi...» Si fermò.
«Cosa?»
«Preferirei non dirlo» rispose Androl, arrossendo. Non aveva intenzione di spiegare quel periodo della sua vita. Luce, pensò, la gente penserà che sono un ciarlatano come Nalaam se continuo così.
Emarin si voltò per osservare la pioggia che colpiva la finestra. «La Ribellione di Knoks ebbe successo solo per breve tempo, se ben ricordo. Nel giro di due anni, la dinastia nobile si era reinsediata e i dissidenti furono cacciati o giustiziati.»
«Sì» disse Androl piano.
«Perciò qui vediamo di far meglio» disse Emarin. «Sono con te, Androl. Lo siamo tutti.»
«No» disse Androl. «Siamo tutti con la Torre Nera. Io vi guiderò, se devo, ma qui non si tratta di me, di te o di ciascuno di noi individualmente. Sono al comando solo fino al ritorno di Logain.»
Se mai tornerà, pensò Androl. I passaggi non funzionano più all’interno della Torre Nera. Forse sta cercando di tornare ma si trova chiuso fuori?
«Molto bene» disse Emarin. «Cosa facciamo?»
Il tuono rimbombò all’esterno. «Lasciami pensare» disse Androl, raccogliendo il pezzo di cuoio e gli attrezzi. «Dammi un’ora.»
«Sono spiacente» disse Jesamyn piano, in ginocchio accanto a Talmanes. «Non c’è nulla che possa fare. Questa ferita va ben oltre le mie capacità.»
Talmanes annuì, rimettendo a posto la fasciatura. Tutta la pelle lungo il fianco era diventata nera come per una tremenda ustione da freddo.
La donna della Famiglia lo fissò accigliata. Aveva capelli dorati e un aspetto giovanile, anche se con le incanalatrici l’età poteva essere molto ingannevole. «Mi stupisce che tu riesca ancora a camminare.»
«Non sono certo che si possa definire camminare» disse Talmanes, zoppicando di nuovo verso i soldati. Poteva ancora andarsene in giro da solo zoppicando, perlopiù, ma adesso era colto più di frequente da capogiri.
Guybon stava discutendo con Dennel, che continuava a indicare la sua mappa e a gesticolare. Nell’aria era sospeso tanto di quel fumo che molti degli uomini si erano legati fazzoletti alla faccia. Assomigliavano a una banda di maledetti Aiel.
«...Perfino i Trolloc stanno ripiegando da quel quartiere» insisteva Guybon. «C’è troppo fuoco.»
«I Trolloc stanno ripiegando verso le mura tutt’intorno alla città» replicò Dennel. «Hanno intenzione di lasciare che la città bruci tutta la notte. L’unico settore non in fiamme è quello dove si trova la Porta delle Vie. Hanno abbattuto tutti gli edifici lì per creare una muraglia di fuoco.»
«Hanno usato l’Unico Potere» disse Jesamyn da dietro Talmanes. «L’ho percepito. Sorelle Nere. Suggerisco di non andare in quella direzione.»
Jesamyn era l’unica donna della Famiglia rimasta: l’altra era caduta. Jesamyn non era abbastanza potente da creare un passaggio, ma non era nemmeno inutile. Talmanes l’aveva osservata incendiare sei Trolloc che avevano fatto irruzione attraverso il suo fronte.
Aveva trascorso quella schermaglia standosene in disparte, sopraffatto dal dolore. Per fortuna, Jesamyn gli aveva dato alcune erbe da masticare. Gli facevano sentire la testa più confusa, ma gli permettevano di sopportare il dolore. Sembrava come se il suo corpo fosse in una morsa, schiacciato lentamente, ma almeno poteva stare in piedi.
«Prediamo l’itinerario più rapido» disse Talmanes. «Il quartiere che non sta bruciando è troppo vicino ai Draghi; non voglio rischiare che la Progenie dell’Ombra scopra Aludra e le sue armi.» Sempre che non l’abbiano già fatto, si disse.
Guybon lo guardò torvo, ma questa era un’operazione della Banda. Guybon era il benvenuto, ma non faceva parte della struttura di comando.
L’unità di Talmanes continuava ad attraversare la città buia, in guardia contro le imboscate. Anche se conoscevano l’ubicazione approssimativa del magazzino, arrivarci era problematico. Molte strade ampie erano bloccate da macerie, fuoco o nemici. La sua truppa dovette arrancare per vicoli e stradine così contorti che perfino Guybon e gli altri di Caemlyn avevano difficoltà a seguire la direzione pianificata.
Il loro itinerario costeggiava parti della città che bruciavano con un calore tanto intenso che probabilmente stava fondendo le pietre del selciato. Talmanes fissò quelle fiamme finché non si sentì gli occhi asciutti, poi condusse gli uomini per ulteriori deviazioni.
Pollice dopo pollice, si avvicinavano al magazzino di Aludra. Due volte incontrarono dei Trolloc che si aggiravano furtivi in cerca di profughi da uccidere. Li eliminarono, con i balestrieri rimanenti che abbattevano oltre la metà di ciascun gruppo prima che i Trolloc avessero il tempo di reagire.
Talmanes rimase a guardare, ma non se la sentiva più di combattere. Quella ferita lo aveva indebolito troppo. Luce, perché aveva lasciato indietro il suo cavallo? Una mossa sciocca, quella. Be’, i Trolloc lo avrebbero fatto fuggire comunque.
Sto cominciando a pensare sempre le stesse cose, si disse. Indicò l’imboccatura di un vicolo con la spada. Gli esploratori si precipitarono a ispezionarlo e guardarono in entrambe le direzioni prima di dare il via libera. Riesco a malapena a pensare, rifletté. Ormai non manca molto prima che l’oscurità mi prenda.
Ma prima si sarebbe assicurato che i Draghi fossero protetti. Doveva.
Talmanes uscì barcollando dal vicolo su una strada familiare. Erano vicini. Da un lato della strada, gli edifici bruciavano. Lì le statue parevano povere anime intrappolate tra le fiamme. I fuochi infuriavano attorno a esse e il loro marmo bianco stava per essere sopraffatto lentamente dal nero.
L’altro lato della strada era silenzioso: non c’era nulla che bruciasse lì. Ombre gettate dalle statue danzavano e giocavano, come persone che gozzovigliavano vedendo bruciare i propri nemici. L’aria aveva un odore opprimente di fumo. Quelle ombre — e le statue in fiamme — parevano muoversi, nella mente offuscata di Talmanes. Creature danzanti fatte d’ombra. Meraviglie morenti, consumate da una malattia sulla pelle, che la anneriva, la divorava, uccideva l’anima...
«Siamo vicini ora!» disse Talmanes. Si spinse avanti in una corsa arrancante. Non poteva permettersi di rallentarli. Se quell’incendio raggiunge il magazzino...
Arrivarono a un appezzamento di terreno consumato dalle fiamme; a quanto pareva, lì c’era stato il fuoco e poi se n’era andato. Un tempo lì sorgeva un grande magazzino di legno, ma era crollato. Ora c’erano solo tizzoni fumanti, ammassati con macerie e cadaveri di Trolloc semibruciati.
Gli uomini si radunarono attorno a lui, silenziosi. L’unico suono era quello delle fiamme scoppiettanti. Sudore freddo colò lungo il volto di Talmanes.
«Siamo arrivati troppo tardi» sussurrò Melten. «Li hanno presi, vero? I Draghi avrebbero causato delle esplosioni, se fossero bruciati. La Progenie dell’Ombra è arrivata, ha preso i Draghi e ha raso al suolo questo posto con il fuoco.»
Attorno a Talmanes, membri esausti della Banda si afflosciarono in ginocchio. Mi dispiace, Mat, pensò Talmanes. Abbiamo tentato. Abbiamo...
Un suono improvviso come tuono crepitò attraverso il cielo. Scosse Talmanes fino alle ossa, e l’uomo alzò lo sguardo.