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«Luce» disse Guybon. «La Progenie dell’Ombra sta usando i Draghi?»

«Forse no» disse Talmanes. Una scarica di forza lo attraversò e partì nuovamente di corsa. Gli uomini si radunarono attorno a lui.

Ciascun passo gli mandava una scarica di dolore al fianco. Passò per la strada con le statue, fiamme sulla destra, fredda immobilità sulla sinistra.

Boom.

Quelle esplosioni non parevano abbastanza fragorose per essere i Draghi. Osava forse sperare in una Aes Sedai? Jesamyn sembrava aver drizzato le orecchie a quei suoni, e stava correndo accanto agli uomini tenendosi le gonne. Il gruppo si precipitò, svoltando a un angolo a due strade di distanza dal magazzino, e si imbatté nelle retrovie di un drappello ringhiante di Progenie dell’Ombra.

Talmanes lanciò un urlo di una ferocia sconcertante e sollevò la spada a due mani. Il fuoco della ferita si era diffuso per l’intero corpo; gli faceva bruciare perfino le dita. Si sentiva come se fosse diventato una di quelle statue, destinate a bruciare assieme alla città.

Decapitò un Trolloc prima che si accorgesse della sua presenza, poi si gettò contro la creatura successiva sulla sua strada. Quella si ritrasse con una grazia quasi melliflua, voltando verso di lui una faccia senza occhi e un mantello che non si agitava al vento. Labbra pallide si ritirarono in un ringhio.

Talmanes si ritrovò a ridere. Perché no?, si chiese. E gli uomini dicevano che non aveva il senso dell’umorismo. Talmanes si mosse in ‘i fiori di melo nel vento’, menando colpi all’impazzata con una forza e una furia tali da eguagliare il fuoco che lo stava uccidendo.

Era evidente che si trovava in svantaggio contro il Myrddraal. Nella migliore delle ipotesi, Talmanes avrebbe avuto bisogno di aiuto per combatterne uno. Quella cosa si muoveva come un’ombra, passando con fluidità da una forma all’altra, la sua lama terribile che schizzava verso Talmanes. Era evidente che immaginava di doverlo soltanto graffiare.

Il Myrddraal mise a segno un colpo sulla sua guancia, la punta della spada che si agganciava alla pelle e incideva un nastro netto nella carne. Talmanes rise e colpì l’arma con la sua spada, cosa che indusse il Fade a spalancare la bocca dalla sorpresa. Non era così che gli uomini avrebbero dovuto reagire. Avrebbero dovuto barcollare per la vampata ardente di dolore, urlare nel sapere che la loro vita era terminata.

«Sono già stato trapassato da una delle vostre maledette spade, figlio di una capra» urlò Talmanes, attaccando più e più volte. ‘Il fabbro colpisce la lama’. Una forma tanto inelegante. Si adattava perfettamente al suo umore.

Il Myrddraal barcollò. Talmanes si ritrasse con un fluido movimento, portando la spada da un lato e staccando via il braccio bianco pallido della creatura al gomito. L’arto roteò in aria, con la lama del Fade che cadeva dalle dita percorse da spasmi. Talmanes ruotò per lo slancio e calò la spada a due mani, spiccando la testa del Fade dal collo.

Sprizzò sangue scuro e quella cosa cadde, la sua mano rimasta che artigliava il moncherino insanguinato mentre crollava. A Talmanes, in piedi sopra di essa, tutt’a un tratto parve che la sua spada fosse troppo pesante. Gli scivolò dalle dita, sferragliando sulle pietre del selciato. Si inclinò e perse l’equilibrio, cadendo a faccia avanti, ma una mano lo afferrò da dietro.

«Luce!» esclamò Melten, guardando il corpo. «Un altro?»

«Ho scoperto il segreto per sconfiggerli» sussurrò Talmanes. «Devi solo essere già morto.» Ridacchiò fra sé, anche se Melten si limitò a guardarlo con aria perplessa.

Attorno a loro, dozzine di Trolloc crollarono a terra, contorcendosi. Erano stati collegati al Fade. La Banda si radunò attorno a Talmanes, alcuni di loro feriti; altri erano a terra morti. Erano esausti, sfiniti; questo drappello di Trolloc sarebbe potuto essere la loro fine.

Melten recuperò la spada di Talmanes e la ripulì, ma Talmanes scoprì di avere problemi a stare in piedi, perciò la rinfoderò e mandò un uomo a prendere una lancia trolloc a cui potesse appoggiarsi.

«Ehi, in fondo alla strada!» chiamò una voce da lontano. «Chiunque siate, grazie!»

Talmanes avanzò zoppicando. Filger e Mar andarono a esplorare più avanti senza bisogno che fosse loro ordinato. La strada lì era buia e ingombra dei Trolloc che erano caduti solo pochi momenti prima, perciò ci volle qualche momento prima che Talmanes potesse passare sopra i cadaveri e vedere chi li aveva chiamati.

Qualcuno aveva costruito una barricata al termine della via. C’erano delle persone in piedi sopra di essa, inclusa una che teneva in alto una torcia. Aveva i capelli acconciati in trecce e indossava un semplice abito marrone con un grembiule bianco. Era Aludra.

«Soldati di Cauthon» disse Aludra, in tono indifferente. «Sicuramente ve la siete presa comoda a venire.» In una mano teneva un tozzo cilindro di pelle più grosso del pugno di un uomo, con una corta miccia scura attaccata. Talmanes sapeva che quelle cose esplodevano dopo che lei le aveva accese e tirate. La Banda le aveva usate in precedenza, scagliandole con delle frombole. Non erano devastanti quanto i Draghi, ma erano comunque potenti.

«Aludra,» disse a gran voce Talmanes «hai i Draghi? Ti prego, dimmi che li hai salvati.»

Lei sbuffò, facendo cenno ad alcune persone di spostare un lato della barricata per far accedere gli uomini della Banda. Pareva che lì dietro ci fossero diverse centinaia — forse diverse migliaia — di abitanti, che riempivano la strada. Quando gli aprirono quel varco, Talmanes poté vedere uno spettacolo stupendo. Circondati dalla gente, lì c’erano un centinaio di Draghi.

I tubi di bronzo erano stati montati su appositi carretti di legno a formare una sola unità, tirata da due cavalli. Erano davvero piuttosto maneggevoli, tutto sommato. Talmanes sapeva che quei carretti potevano essere ancorati al terreno per sopportare il rinculo, e i Draghi sparavano una volta staccati i cavalli. E lì c’erano persone a sufficienza per fare quel lavoro al posto dei cavalli.

«Pensi che li abbandonerei?» chiese Aludra. «Questa marmaglia, loro non hanno l’addestramento per usarli. Ma possono tirare un carretto come chiunque altro.»

«Dobbiamo portarli fuori» disse Talmanes.

«Ma che rivelazione hai avuto» replicò Aludra. «Come se io non stessi cercando di fare proprio quello. La tua faccia, cos’ha che non va?»

«Una volta ho mangiato un formaggio piuttosto piccante e non l’ho mai digerito del tutto.»

Aludra lo guardò inclinando la testa. Forse se ridessi di più quando faccio delle battute, pensò lui oziosamente, appoggiato contro il lato della barricata, magari capirebbero cosa intendo. Naturalmente quello sollevava una domanda: voleva che la gente capisse? Spesso era più divertente il contrario. Inoltre sorridere era così vistoso. Dov’era la sottigliezza? E...

E aveva davvero problemi a concentrarsi. Sbatté le palpebre verso Aludra, il cui volto era diventato preoccupato alla luce della torcia.

«Cos’ha la mia faccia?» Talmanes si portò una mano alla guancia. Sangue. Il Myrddraal. Giusto. «Solo un taglio.»

«E le vene?»

«Vene?» chiese lui, poi notò la mano. Viticci neri, come edera che cresceva sotto la pelle, erano serpeggiati lungo il suo polso fino al dorso della mano, verso le dita. Parevano diventare più scuri mentre li osservava. «Oh, quello. Sto morendo, purtroppo. Una tragedia terribile. Non è che avresti un po’ d’acquavite, vero?»

«Io...»

«Mio signore!» chiamò una voce.

Talmanes sbatté le palpebre, poi si costrinse a voltarsi, appoggiandosi alla lancia. «Sì, Filger?»

«Altri Trolloc, mio signore. Parecchi! Stanno arrivando dietro di noi.»

«Stupendo. Preparate la tavola. Spero che abbiamo abbastanza posate. Sapevo che avremmo dovuto mandare la cameriera a prendere quel completo per cinquemilasettecentotrentuno persone.»

«Ti... ti senti bene?» chiese Aludra.

«Sangue e maledette ceneri, donna, ho forse l’aria di sentirmi bene? Guybon! La ritirata è bloccata. Quanto siamo lontani dai cancelli orientali?»