Non era dissimile da un circolo. L’estrazione di energia fece tremolare M’Hael, lo fece sudare mentre era trattenuto dai flussi degli Ayyad di Demandred. Questa sottrazione poteva consumare M’Hael, se non fosse stata tenuta sotto controllo: poteva scorticare la sua anima con l’impeto del Vero Potere, come un fiume che esondava. La massa contorta di fili nelle mani di Demandred pulsò e sfrigolò, deformando l’aria e iniziando a sfilacciare il Disegno.
Un reticolo di minuscole fratture si diffuse sul terreno attorno a lui. Crepe sul nulla.
Si avvicinò a M’Hael. L’uomo iniziò ad avere una crisi, della schiuma gli colava dalle labbra.
«Tu mi ascolterai, M’Hael» disse Demandred piano. «Io non sono come gli altri Prescelti. Non m’importa un fico secco dei vostri giochi politici. Non m’interessa quale di voi gode della benevolenza del Sommo Signore, a quale di voi Moridin dà pacche sulla testa. M’importa solo di Lews Therin.
«Questo è il mio scontro. Tu sei mio. Io ti ho portato all’Ombra e io posso distruggerti. Se interferisci con ciò che faccio qui, ti spegnerò come una candela. Mi rendo conto che ti ritieni forte, con i Signori del Terrore e gli incanalatori non addestrati che hai rubato. Sei un bambino, un neonato. Prendi i tuoi uomini, crea tutto il caos che vuoi, ma sta’ lontano dalla mia strada. E sta’ lontano dal mio premio. Il generale nemico è mio.»
Gli occhi di M’Hael erano pieni di odio, non paura, anche se il suo cuore lo tradiva con dei palpiti. Sì, costui era sempre sembrato promettente.
Demandred girò la mano e lanciò un torrente di Fuoco Malefico con il Vero Potere che aveva accumulato. La linea incandescente di distruzione liquida attraversò bruciando gli eserciti al fiume lì sotto, vaporizzando ogni uomo o donna che toccava. Le forme divennero punti di luce, poi polvere, e scomparvero a centinaia. Lasciò una lunga linea di terra arsa, come un solco tagliato da una mannaia enorme.
«Lasciatelo andare» disse Demandred, permettendo allo schermo del Vero Potere di dissiparsi.
M’Hael barcollò all’indietro, tenendosi in piedi, con il sudore che gli colava dalla faccia. Annaspò, la mano sollevata al petto.
«Rimani vivo nel corso di questa battaglia» gli disse Demandred voltandogli le spalle e iniziando un flusso per evocare di nuovo il falcone. «Se ci riuscirai, forse ti mostrerò come fare ciò che ho appena fatto. Potresti pensare che desideri uccidermi ora, ma sappi che il Sommo Signore osserva. Inoltre, considera questo. Puoi avere cento Asha’man come tuoi seguaci. Io ho oltre quattrocento Ayyad. Sono io il salvatore di questo mondo.»
Quando si guardò alle spalle, M’Hael se n’era andato, Viaggiando via con il Vero Potere. Era sorprendente che fosse riuscito a radunare la forza dopo quello che Demandred aveva appena fatto. Sperava di non doverlo uccidere. Si sarebbe potuto dimostrare utile.
Alla fine io vincerò.
Rand stava in piedi saldo davanti alle folate di vento, anche se gli lacrimavano gli occhi mentre fissava l’oscurità. Da quanto tempo era in questo posto? Mille anni? Diecimila?
Per il momento, si preoccupava solo di opporsi. Non si sarebbe piegato davanti a questo vento. Non poteva cedere nemmeno per una frazione di secondo.
Il tempo è giunto, finalmente.
«Il tempo non è nulla per te» disse Rand.
Era vero, e non lo era. Rand poteva vedere i fili mulinare attorno a lui, formando il Disegno. Mentre si delineava, vide i campi di battaglia sotto di lui. Quelli che amava combattevano per le loro vite. Queste non erano possibilità; questa era la verità, ciò che stava accadendo realmente.
Il Tenebroso si avvolse attorno al Disegno, incapace di distruggerlo, ma in grado di toccarlo. Tentacoli di tenebra, aculei toccavano il mondo in vari punti per tutta la sua lunghezza. Il Tenebroso giaceva come un’ombra sul Disegno.
Quando il Tenebroso toccava il Disegno, per lui il tempo esisteva. E così, mentre per il Tenebroso il tempo non era nulla, lui — o esso, poiché il Tenebroso non aveva sesso — poteva solo operare entro i suoi limiti. Come… come uno scultore che aveva visioni e sogni meravigliosi ma era comunque limitato dalla realtà dei materiali con cui lavorava.
Rand fissò il Disegno, resistendo all’attacco del Tenebroso. Non si mosse o respirò. Non c’era bisogno di respirare qui.
Lì sotto la gente moriva. Rand udiva le loro urla. Così tanti cadevano.
Alla fine vincerò, avversario. Guardali urlare. Guardali morire. I morti sono miei.
«Menzogne» disse Rand.
No. Ti mostrerò.
Il Tenebroso filò nuovamente una possibilità, radunando ciò che poteva essere, e gettò Rand in un’altra visione.
Juilin Sandar non era un comandante. Era un cacciatore di ladri, non un nobile. Di certo non un nobile. Lavorava per conto suo.
Tranne che, a quanto pareva, quando finiva su un campo di battaglia, e veniva messo al comando di una squadra di uomini perché era riuscito a catturare pericolosi malfattori in qualità di cacciatore di ladri. Gli Sharani premevano contro i suoi uomini, mirando alle Aes Sedai. Combattevano sul lato occidentale delle Alture, e il compito della sua squadra era proteggere le Aes Sedai dalla fanteria sharana.
Aes Sedai. Come era rimasto invischiato con le Aes Sedai? Lui, un buon Tairenese.
«Difendete!» urlò Juilin ai suoi uomini. «Difendete!» Lo gridava anche a proprio beneficio. La sua squadra teneva strette lance e picche, costringendo la fanteria sharana a risalire il pendio. Juilin non era certo del perché si trovasse qui perché stessero combattendo in questo settore. Voleva solo restare in vita!
Gli Sharani urlavano e imprecavano in una lingua sconosciuta. Avevano molti incanalatori, ma il gruppo che lui fronteggiava era composto da truppe regolari che usavano una varietà di armi da mischia, perlopiù spade e scudi. Il terreno era disseminato di cadaveri e rendeva combattere difficoltoso per entrambi gli schieramenti mentre Juilin e i suoi uomini seguivano gli ordini, spingendo contro le truppe sharane mentre le Aes Sedai e gli incanalatori nemici si scambiavano flussi.
Juilin impugnava una lancia, un’arma con cui aveva poca familiarità. Una squadra di Sharani in armatura si fece strada a forza tra le picche di Myk e Cham. Gli ufficiali indossavano corazze, stranamente avvolte in stoffa variopinta, mentre soldati semplici portavano cuoio con strisce di metallo. Tutti quanti avevano la schiena dipinta con strani motivi.
Il capo delle truppe sharane impugnava una mazza terribile, che calò con forza su un picchiere e poi su un altro. L’uomo urlò a Juilin imprecazioni che non comprese.
Juilin fece una finta e lo Sharano sollevò il suo scudo, così gli conficcò la lancia nell’armatura, nel varco tra la corazza e il braccio. Luce, non trasalì neanche! Sbatté lo scudo contro Juilin, costringendolo a indietreggiare.
La lancia scivolò via dalle dita sudate di Juilin. Lui imprecò, allungando la mano verso il frangilama, un’arma che conosceva bene. Myk e gli altri combattevano lì vicino, impegnando il resto della squadra sharana. Cham tentò di aiutare Juilin, ma lo Sharano forsennato gli calò la mazza sulla testa, spaccandola in due come una noce.
«Muori, mostro maledetto!» urlò Juilin, balzando avanti e conficcando il frangilama nel collo dell’uomo appena sopra la gorgiera. Altri Sharani si stavano muovendo rapidi verso la sua posizione. Juilin arretrò mentre l’uomo di fronte a lui cadeva e moriva. Appena in tempo, poiché uno Sharano alla sua sinistra cercò di staccargli la testa con un ampio fendente della sua spada. La punta dell’arma gli passò accanto all’orecchio e Juilin alzò per istinto la propria lama. L’arma del suo avversario si spezzò in due e lui eliminò rapidamente l’uomo con un taglio di rovescio alla gola.
Juilin si precipitò a raccogliere la sua lancia. Tutt’intorno cadevano palle di fuoco, attacchi delle Aes Sedai dietro e degli Sharani sulle Alture più avanti. I capelli di Juilin erano pieni di terra, addensata a grumi sul sangue sulle sue braccia.