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Erano proprio quelle a cui Galad dava la caccia.

Sollevò la spada, indicando un terzetto di donne sharane che difendevano la cima delle Alture. Lui e i suoi uomini erano a più di metà strada su per il pendio.

Tre. Tre sarebbero state difficili. Quelle indirizzarono la loro attenzione su una piccola banda di uomini che portavano la Fiamma di Tar Valon. Un fulmine colpì quei soldati sventurati.

Galad alzò quattro dita. Piano quattro. Balzò fuori dalla conca e scattò verso le tre donne. I suoi uomini contarono fino a cinque, poi lo seguirono.

Le donne lo videro. Se fossero rimaste voltate, Galad avrebbe ottenuto un vantaggio. Una alzò una mano ed evocò Fuoco, scagliandolo verso di lui. La fiamma lo colpì e, anche se poté avvertire il calore, il flusso si sfilacciò e si dissipò, lasciandolo bruciacchiato ma pressoché indenne.

Gli occhi della Sharana si sgranarono dallo stupore. Quel lo sguardo… Quello sguardo ormai stava diventando familiare per Galad. Era lo sguardo di un soldato la cui spada si era spezzata in battaglia, lo sguardo di qualcuno che avesse visto qualcosa che non sarebbe dovuto accadere. Cosa facevi quando falliva l’Unico Potere, la cosa su cui facevi affidamento perché ti elevasse sopra la gente comune?

Morivi. La spada di Galad decapitò la donna mentre una delle sue compagne cercava di afferrarlo con Aria. Lui avvertì il metallo raffreddarsi contro il petto e percepì l’impeto di Aria muoversi attorno a lui.

Una pessima scelta, pensò Galad, conficcando la spada nel petto di una seconda donna. La terza si dimostrò più scaltra e gli scagliò contro una grossa roccia. Galad riuscì a stento a sollevare lo scudo prima che la pietra gli sbattesse contro il braccio, gettandolo all’indietro. La donna sollevò un’altra pietra proprio mentre la squadra di Galad la colpiva. Cadde sotto colpi delle loro spade.

Galad riprese fiato, la testa all’indietro, il dolore che si irradiava per l’impatto della roccia. Gemette e si mise a sedere. Lì vicino i suoi uomini colpivano ripetutamente il corpo della terza donna sharana. Non era necessario che fossero così accurati, ma alcuni Figli avevano strane idee su ciò che le Aes Sedai potevano fare. Lui aveva visto Laird tagliar via le teste delle donne sharane per seppellirle separatamente dal corpo. Affermava che, senza quell’accorgimento, sarebbero tornate in vita la luna piena successiva.

Mentre gli uomini macellavano gli altri due cadaveri, Golever andò da Galad e gli offrì una mano. «Che la Luce mi folgori,» disse Golever, con un ampio sorriso che separava il suo volto barbuto «se questo non è il lavoro migliore che abbiamo mai fatto, Lord Capitano Comandante, non so cosa lo è!»

Galad si alzò in piedi. «È ciò che dev’essere fatto, Figlio Golever!»

«Vorrei che dovesse essere fatto più spesso! Questo è ciò che i Figli hanno atteso per secoli. Tu sei il primo a renderlo realtà. Che la Luce ti illumini, Galad Damodred. Che la Luce ti illumini!»

«Possa la Luce illuminare un giorno in cui gli uomini non avranno alcun bisogno di uccidere» disse Galad in tono stanco. «Non è consono provare gioia per la morte.»

«Ma certo, mio Lord Capitano Comandante.» Golever continuò a sogghignare.

Galad guardò quel sanguinoso pandemonio sul pendio occidentale delle Alture. Volesse la Luce che Cauthon potesse trarre un qualche senso da questa battaglia, poiché Galad non ci riusciva proprio.

«Lord Capitano Comandante!» gridò una voce spaventata.

Galad si girò, la mano sulla spada. Era Alhanra, uno dei suoi esploratori.

«Cosa c’è, Figlio Alhanra?» chiese Galad mentre l’uomo allampanato accorreva. Niente cavalli. Erano su un declivio e gli animali non avrebbero reagito bene ai fulmini. Meglio affidarsi ai propri piedi.

«Occorre che tu veda questo, mio signore» disse Alhanra, col fiatone. «È… è tuo fratello.»

«Gawyn?» Impossibile. No, pensò. Non impossibile. Doveva essere con Egwene, a combattere sul loro fronte. Galad corse dietro ad Alhanra, con Golever e gli altri che lo attorniavano.

Il corpo di Gawyn giaceva con il volto terreo in un varco tra due rocce sulla cima delle Alture. Lì vicino un cavallo stava brucando dell’erba e una striscia di sangue gli colava lungo il fianco. All’apparenza, non era sangue del cavallo. Galad si inginocchiò accanto al cadavere di suo fratello.

Gawyn non era morto senza combattere. Ma che ne era stato di Egwene?

«Pace, fratello» disse Galad, posando una mano sul corpo. «Che la Luce possa…»

«Galad…» mormorò Gawyn, i suoi occhi che si aprivano tremolando.

«Gawyn?» chiese Galad sconcertato. Gawyn aveva una tremenda ferita al ventre. Indossava degli anelli molto strani. C’era sangue dappertutto. La mano, il petto… Il suo intero corpo.

Come poteva essere ancora vivo?

Il legame da Custode, si rese conto Galad. «Dobbiamo portarti da una Guaritrice! Una delle Aes Sedai.» Allungò una mano nella depressione, raccogliendo Gawyn.

«Galad… ho fallito.» Gawyn fissava il cielo, gli occhi vuoti.

«Hai agito bene.»

«No. Ho fallito. Avrei dovuto… avrei dovuto stare con lei. Ho ucciso Hammar. Lo sapevi? L’ho ucciso. Luce. Avrei dovuto scegliere da che parte stare…»

Galad cullò suo fratello e cominciò a correre giù per il pendio verso le Aes Sedai. Cercò di tenere Gawyn al riparo tra gli attacchi degli incanalatori. Dopo pochi istanti, la terra esplose tra i Figli, scagliandoli via e facendo ruzzolare a terra Galad. Lasciò cadere Gawyn mentre crollava sul terreno accanto a lui.

Gawyn tremava, i suoi occhi fissi in lontananza.

Galad strisciò da lui e cercò di raccoglierlo di nuovo, ma Gawyn lo afferrò per il braccio e incontrò il suo sguardo. «Io l’ho amata, Galad. Diglielo.»

«Se siete davvero vincolati, lo sa.»

«Questo le farà del male» disse Gawyn attraverso labbra pallide. «E alla fine ho fallito. Non l’ho ucciso.»

«Ucciso?»

«Demandred» sussurrò Gawyn. «Ho cercato di ucciderlo, ma non ero abbastanza bravo. Non sono mai… stato abbastanza… bravo…»

Galad si ritrovò a provare molto freddo. Aveva visto uomini morire. Aveva perso amici Questo faceva più male. Luce, quanto faceva male. Aveva amato suo fratello, lo aveva amato intensamente… E Gawyn, a differenza di Elayne, aveva ricambiato il sentimento.

«Ti porterò in salvo, Gawyn» disse Galad raccogliendolo, stupito di trovare lacrime nei propri occhi. «Non rimarrò senza un fratello.»

Gawyn tossì. «Non succederà. Hai un altro fratello, Galad. Uno che non conosci. Un figlio di… Tigraine… che andò nel Deserto… Figlio di una Fanciulla. Nato su Montedrago…»

Oh, Luce.

«Non odiarlo, Galad» sussurrò Gawyn. «Io l’ho sempre odiato, ma ho smesso. Ho… smesso…»

Gli occhi di Gawyn smisero di muoversi.

Galad cercò un battito, poi si sedette, guardando suo fratello morto. La benda che Gawyn aveva improvvisato sul fianco trasudava sangue sul terreno asciutto, che lo assorbiva avidamente.

Golever lo raggiunse, aiutando Alhanra, il cui volto annerito e i vestiti bruciati puzzavano di fumo per via del fulmine. «Porta i feriti in salvo, Golever» disse Galad alzandosi. Allungò una mano e tastò il medaglione che aveva al collo. «Prendi tutti gli uomini e andate.»

«E tu, Lord Capitano Comandante?» chiese Golever.

«Farò quel che va fatto» disse Galad, freddo dentro. Freddo come acciaio in inverno. «Porterò Luce all’Ombra. Porterò giustizia ai Reietti.»

Il filo di vita di Gawyn scomparve.

Egwene si arrestò di colpo sul campo di battaglia. Qualcosa si ruppe dentro di lei. Fu come se un coltello le si fosse conficcato dentro all’improvviso e le avesse strappato via il pezzo di Gawyn che aveva in sé, lasciando solo un vuoto.

Urlò, cadendo in ginocchio. No. No, non poteva essere. Poteva percepirlo, poco più avanti! Stava correndo verso di lui. Poteva… Poteva…

Se n’era andato.