«Un mondo senza Ombra.»
Mat si allontanò a grandi passi, calmando la rabbia. Tuon era sembrata davvero adirata con lui! Luce. Sarebbe tornata quando Mat avesse avuto bisogno di lei, vero?
«Mat?» disse Min, affrettandosi a raggiungerlo.
«Va’ con lei» disse Mat. «Tienila d’occhio per me, Min.»
«Ma…»
«Non ha bisogno di molta protezione» disse Mat. «È una donna forte. Dannate ceneri, lo è davvero. Ha bisogno di essere tenuta d’occhio, però. Mi preoccupa, Min. Comunque, ho questa dannata guerra da vincere. Non posso farlo e andare con lei. Perciò la terrai d’occhio? Per favore?»
Min rallentò, poi lo cinse in un abbraccio inatteso. «Buona fortuna, Mat Cauthon.»
«Buona fortuna, Min Farshaw» disse Mat. La lasciò andare, poi si mise in spalla la sua ashandarei. I Seanchan avevano cominciato a lasciare il Bozzo di Dashar, ripiegando verso l’Erinin prima di lasciare del tutto il Campo di Merrilor. Demandred li avrebbe lasciati andare; sarebbe stato uno sciocco a non permetterlo. Sangue e dannate ceneri, in cosa si stava cacciando Mat? Aveva appena mandato via circa un quarto delle sue truppe.
Torneranno, pensò. Se il suo azzardo avesse funzionato. Se i dadi fossero caduti come gli occorrevano.
Solo che questa battaglia non era una partita a dadi. In essa c’era troppa sottigliezza. Semmai era una partita a carte. Di solito Mat vinceva a carte. Di solito.
Alla sua destra, un gruppo di uomini in armatura seanchan scura marciavano verso il campo di battaglia. «Ehi, Karede!» urlò Mat.
L’omone scoccò a Mat un’occhiata cupa. All’improvviso, Mat seppe cosa provava un lingotto di metallo quando Perrin lo fissava, sollevando un martello. Karede gli si avvicinò e, anche se era evidente che stava compiendo uno sforzo per mantenere il volto calmo, Mat poteva percepire la tempesta che emanava da lui.
«Grazie» disse Karede, con voce tesa «per aver aiutato a proteggere l’imperatrice, che possa vivere per sempre.»
«Tu pensi che avrei dovuto tenerla in un posto sicuro» disse Mat. «Non al centro di comando.»
«Non sta a me mettere in discussione il Sangue, o Insigne» disse Karede.
«Non mi stai mettendo in discussione,» disse Mat «stai pensando di infilzarmi con qualcosa di appuntito. È completamente diverso.»
Karede esalò un respiro lungo e profondo. «Scusami, o Insigne» disse, voltandosi per andar via. «Devo prendere i miei uomini e morire.»
«Io non penso» disse Mat. «Venite con me.»
Karede si voltò di nuovo verso di lui. «L’imperatrice, che possa vivere per sempre, ha ordinato…»
«Che combattiate in prima linea» disse Mat, schermandosi l’occhio mentre esaminava il letto del fiume, che brulicava di Trolloc. «Grandioso. Dove pensi che stia dannatamente andando?»
«Cavalchi in battaglia?» chiese Karede.
«Stavo pensando a un’andatura un po’ più rilassata» disse Mat. Scosse il capo. «Devo saggiare cosa sta facendo Demandred… Sto andando là fuori, Karede, e mettere voialtri fra me e i Trolloc mi sembra un’ottima idea. Venite?»
Karede non rispose, anche se non continuò ad allontanarsi.
«Ascolta, che scelte avete?» chiese Mat. «Cavalcare là fuori e morire per nessun vero motivo? Oppure cercare di mantenermi in vita per la vostra imperatrice? Sono quasi certo che lei provi dell’affetto per me. Forse. È una persona difficile da interpretare, Tuon.»
«Non chiamarla con quel nome» disse Karede.
«La chiamerò come dannatamente mi pare.»
«Non se vuoi che veniamo con te» disse Karede. «Se devo cavalcare con te, Principe dei Corvi, non voglio che i miei uomini sentano quel nome dalle tue labbra. Sarebbe un cattivo presagio.»
«Be’, nonne vogliamo, di cattivi presagi» disse Mat. «Bene, dunque, Karede. Tuffiamoci di nuovo in questo caos e vediamo cosa possiamo fare. Nel nome di Fortuona.»
Tam sollevò la spada come per cominciare un duello, ma non trovò nessun nemico onorevole. Solo Trolloc feroci che grugnivano e ululavano. Attirati via dai Manti Bianchi accerchiati in questa battaglia vicino alle rovine.
Trolloc si voltarono verso gli uomini dei Fiumi Gemelli e attaccarono. Tam, che si trovava sulla punta della cuspide, si mise in ‘giunco al vento’. Si rifiutava di fare anche un solo passo indietro. Si piegò da una parte e dall’altra, ma rimase saldo mentre spezzava la linea dei Trolloc, menando rapidi fendenti con la spada.
Gli uomini dei Fiumi Gemelli spinsero in avanti, una spina nel piede del Tenebroso e un rovo per la sua mano. Nel caos che seguì, urlarono e imprecarono, e lottarono per frammentare i Trolloc.
Ma presto il loro scopo diventò tenere terreno. I Trolloc si riversarono attorno agli uomini. La formazione a cuspide, solitamente una tattica offensiva, funzionava bene anche in questo caso. I Trolloc si muovevano lungo i lati della cuspide, ricevendo colpi dagli uomini dei Fiumi Gemelli con asce, spade e lance.
Tam lasciò che fosse l’addestramento dei ragazzi a guidarli. Avrebbe preferito stare al centro della cuspide, urlando incoraggiamenti come faceva ora Dannil, ma era uno dei pochi ad avere un reale addestramento di battaglia e la formazione a cuspide dipendeva dall’avere una punta che poteva restare salda.
E così lui restava saldo. Calmo dentro il vuoto, lasciò che i Trolloc si avventassero su di lui. Passava da ‘scuotere la rugiada dal ramo’ a ‘i fiori di melo nel vento’ a ‘ciottoli cadono nello stagno’, tutte forme che lo stabilizzavano mentre combatteva contro più avversari.
Malgrado si fosse esercitato negli ultimi mesi, Tam non era minimamente forte quanto lo era stato da giovane. Per fortuna, a un giunco non occorreva forza. Non era allenato come una volta, ma nessun giunco si allenava per piegarsi al vento.
Lo faceva e basta.
Anni di maturazione avevano portato a Tam una comprensione del vuoto. Ora lo capiva, meglio di quanto avesse mai fatto. Anni a insegnare a Rand la responsabilità, anni a vivere senza Kari, anni ad ascoltare il vento soffiare e le foglie che frusciavano…
Tam al’Thor divenne il vuoto. Lo portò ai Trolloc, glielo mostrò e li mandò nelle sue profondità.
Danzò attorno a un Trolloc dalle fattezze di capra, spazzando la spada da un lato e tranciando la gamba della bestia al calcagno. La creatura barcollò e Tam si girò, lasciando che fossero gli uomini dietro di lui a occuparsene. Fece guizzare la spada verso l’alto — l’arma lasciò una scia di sangue — e schizzò quelle gocce scure sugli occhi di un Trolloc alla carica con fattezze da incubo. Quello ululò, accecato, e Tam fluì in avanti con le braccia in fuori e gli aprì lo stomaco sotto la corazza. Il Trolloc barcollò davanti a un terzo Trolloc, che calava un’ascia verso Tam ma colpì invece il suo compagno.
Ogni passo era parte di una danza, e Tam invitava i Trolloc a unirsi a lui. Aveva combattuto a questo modo solo una volta in precedenza, tempo prima, ma la memoria era qualcosa che il vuoto non permetteva. Non pensava ad altri tempi; non pensava a nulla. Se sapeva di aver fatto questo già un’altra volta, era per la risonanza dei suoi movimenti, una comprensione che pareva permeare i suoi stessi muscoli.
Tam infilzò il collo di un Trolloc con un volto quasi umano, soltanto con un po’ troppo pelo sulle guance. Cadde all’indietro e crollò, e all’improvviso Tam non trovò altri nemici. Si fermò, sollevando la spada e avvertendo un vento placido soffiare su di lui. Le bestie oscure si stavano precipitando via verso valle in rotta, inseguiti da cavalieri che sventolavano stendardi delle Marche di Confine. A breve avrebbero colpito un muro di truppe, la Legione del Drago, e sarebbero stati schiacciati tra loro e gli inseguitori delle Marche di Confine.
Tam ripulì la lama, lasciando il vuoto. Fu colpito dalla gravità della situazione. Luce! I suoi ragazzi sarebbero morti. Se quegli uomini delle Marche di Confine non fossero arrivati…