Nessuna risposta da Lan.
«Siamo condannati» disse Arganda.
«Se è così,» disse Lan «teniamo terreno quassù e combattiamo finché non moriamo, Ghealdano. Ti arrendi quando sei morto. A molti uomini è stato concesso meno.»
I fili delle possibilità si opponevano a Rand mentre li ordiva assieme nel mondo che immaginava. Non sapeva cosa volesse dire. Forse quello che lui pretendeva era altamente improbabile. Questa cosa che faceva, usare i fili per mostrare ciò che poteva essere, era più di semplice illusione. Comportava guardare a mondi che erano stati prima, mondi che potevano essere di nuovo. Specchi della realtà in cui viveva.
Lui non creava questi mondi. Si limitava a… manifestarli. Costrinse i fili ad aprire la realtà che pretendeva e finalmente obbedirono. Un’ultima volta, l’oscurità divenne luce e il nulla divenne qualcosa.
Entrò in un mondo che non conosceva il Tenebroso.
Scelse Caemlyn come punto di ingresso. Forse perché il Tenebroso aveva usato quel posto nella sua ultima creazione e Rand voleva dimostrare a sé stesso che quella visione tremenda non era inevitabile. Aveva bisogno di vedere di nuovo quella città, ma incontaminata.
Percorse la strada davanti al palazzo, prendendo un respiro profondo. Gli alberi di burrinella erano in fiore, i boccioli giallo brillante che fuoriuscivano dai giardini e pendevano sopra le mura del cortile. Lì dentro giocavano dei bambini, gettando in aria i petali.
Nemmeno una nuvola guastava il cielo luminoso. Rand alzò lo sguardo, sollevando le braccia, e uscì da sotto i rami in fiore alla luce del sole, calda e intensa. Non c’era nessuna guardia all’ingresso del palazzo, solo un gentile servitore che rispondeva alle domande di alcuni visitatori.
Rand avanzò, i piedi che lasciavano tracce tra i petali dorati mentre si avvicinava all’entrata. Una bambina venne verso di lui e Rand si fermò, sorridendole.
Lei gli si avvicinò, allungando la mano per toccare la spada che Rand portava alla cintura. La bimba pareva confusa. «Cos’è?» chiese lei, alzando lo sguardo con occhi sgranati.
«Un cimelio» sussurrò Rand.
La ragazzina voltò la testa nel sentire le risate degli altri bambini e si allontanò, ridacchiando mentre uno di loro gettava una manciata di petali in aria.
Rand proseguì.
Questa è perfezione per te? La voce del Tenebroso pareva distante. Poteva penetrare questa realtà per parlare a Rand, ma non riusciva ad apparire come aveva fatto nelle altre visioni. Questo posto era la sua antitesi.
Poiché era il mondo che sarebbe esistito se Rand l’avesse ucciso nell’Ultima Battaglia.
«Vieni a vedere» gli disse Rand, sorridendo.
Nessuna risposta. Se il Tenebroso avesse permesso di lasciarsi attirare troppo pienamente in questa realtà, avrebbe cessato di esistere. In questo posto, era morto.
Tutte le cose giravano e tornavano. Quello era il significato della Ruota del Tempo. Qual era lo scopo di vincere un’unica battaglia contro il Tenebroso solo per sapere che sarebbe tornato? Rand poteva fare di più. Poteva fare questo.
«Gradirei vedere la Regina» chiese Rand al servitore alle porte del palazzo. «È qui?»
«Dovresti trovarla nei giardini, giovane signore» disse la guida. Guardò la spada di Rand, ma per curiosità, non con preoccupazione. In questo mondo, gli uomini non potevano concepire che uno volesse fare del male a un altro. Non accadeva.
«Grazie» disse Rand, entrando nel palazzo. I corridoi erano familiari, eppure differenti. Caemlyn era stata quasi rasa al suolo durante l’Ultima Battaglia, il palazzo bruciato. La ricostruzione assomigliava a quello che c’era stato prima, ma non del tutto.
Rand percorse i corridoi. Qualcosa lo preoccupava, un malessere in fondo alla mente. Cos’era…
Non restare intrappolato qui, si disse. Non compiacerti troppo.
Questo mondo non era reale, non del tutto. Non ancora.
Poteva trattarsi di un piano del Tenebroso? Indurre con l’inganno Rand a creare un paradiso per sé stesso, solo per entrarvi e restare intrappolato mentre l’Ultima Battaglia infuriava? La gente stava morendo mentre loro lottavano.
Doveva ricordarselo. Non poteva lasciare che questa fantasia lo consumasse. Era difficile ricordarselo mentre entrava nella galleria, un lungo corridoio fiancheggiato da quelle che parevano finestre. Solo che quelle finestre non davano su Caemlyn. Questi nuovi portali di vetro permettevano a una persona di vedere altri luoghi, come un passaggio permanente.
Rand superò uno che guardava dentro una baia sommersa, con pesci variopinti che schizzavano da una parte all’altra. Un altro offriva una vista di un prato pacifico in alto sulle Montagne di Nebbia. Fiori rossi spuntavano tra il verde, come macchioline di vernice sparpagliate sul pavimento dopo una giornata di lavoro di un imbianchino.
Sull’altra parete, le finestre davano sulle grandi ritta del mondo. Rand superò Tear, dove la Pietra adesso era un museo per i giorni dell’Epoca Terza, con i Difensori come suoi curatori. Nessuno di questa generazione aveva mai portato un’arma, ed erano confusi dalle storie che narravano che i loro nonni avevano combattuto. Un’altra mostrava le Sette Torri di Malkier, ricostruite solide, ma come monumento, non come fortificazione. La Macchia era scomparsa alla morte del Tenebroso e la Progenie dell’Ombra era caduta all’istante. Come se il Tenebroso fosse stato collegato con tutti quanti, come un Fade che comandava un manipolo di Trolloc.
Le porte non avevano serrature. La moneta era un’eccentricità quasi dimenticata. Gli incanalatori aiutavano a creare cibo per tutti. Rand superò una finestra per Tar Valon, dove le Aes Sedai Guarivano chiunque venisse e creavano passaggi per riunire le persone che si volevano bene. Ognuno aveva tutto ciò di cui aveva bisogno.
Rand esitò accanto alla finestra successiva. Guardava sul Rhuidean. Questa città era mai stata in un luogo desolato? Il Deserto era rigoglioso, da Shara a Cairhien. E qui, attraverso la finestra, Rand vide i Campi di Chora: una foresta di piante circondava la favoleggiata città. Anche se non poteva sentire le parole, vedeva gli Aiel cantare.
Niente più armi. Niente più lance da far danzare. Ancora una volta, gli Aiel erano un popolo di pace.
Proseguì. Bandar Eban, Ebou Dar, le terre dei Seanchan, Shara. Ogni nazione era rappresentata, anche se di questi tempi la gente non prestava molta attenzione ai confini. Un altro cimelio. A chi importava chi vivesse in quale nazione, e perché qualcuno avrebbe cercato di ‘possedere’ della terra? Ce n’era abbastanza per tutti. La fioritura del Deserto aveva aperto spazio per nuove città, nuove meraviglie. Molte delle finestre che Rand superava guardavano su luoghi che lui non conosceva, anche se era lieto di vedere che i Fiumi Gemelli apparivano così maestosi, quasi come il Manetheren tornato a nuova vita.
L’ultima finestra lo fece esitare. Dava su una valle in quelle che un tempo erano state le Terre Inaridite. Una lastra di pietra, dove molto tempo prima era stato bruciato un corpo, se ne stava lì da sola. Ricoperta da vita vegetale: rampicanti, erba, fiori. Un ragno peloso delle dimensioni della mano di un bambino si mosse rapido sulle pietre.
La tomba di Rand. Il luogo dove il suo corpo era stato bruciato dopo l’Ultima Battaglia. Indugiò parecchio a quella finestra prima di costringersi finalmente a procedere, lasciando la galleria e dirigendosi verso i giardini del palazzo. I servitori erano disponibili ogni volta che parlava con loro. Nessuno gli chiedeva perché volesse vedere la Regina.
Rand supponeva che, quando l’avesse trovata, sarebbe stata circondata di gente. Se chiunque poteva vedere la Regina, quello non avrebbe richiesto tutto il suo tempo? Eppure, quando si avvicinò a lei, seduta nei giardini sotto i rami dell’albero di chora del palazzo, era sola.
Questo era un mondo senza preoccupazioni. Un mondo in cui la gente risolveva facilmente i problemi. Un mondo di doni, non di dispute. Che bisogno avrebbero avuto le persone della Regina?