Thom scosse il capo. L’andatura era tutta sbagliata. Nessuna di loro si rendeva conto che l’andatura di una persona era un tratto distintivo quanto il naso? Ogni donna che cercava di sgattaiolare davanti a lui presumeva che cambiare faccia e abito — forse voce — sarebbe stato sufficiente a ingannarlo.
Thom scese dal suo posto rialzato e afferrò il cadavere sotto le braccia, poi lo ficcò in una cavità lì vicino: c’erano cinque corpi ora, perciò stava diventando affollato. Prese una boccata dalla pipa e si tolse il mantello, mettendolo lì per coprire la mano morta della sorella Nera che spuntava fuori.
Controllò ancora una volta lungo il cunicolo; anche se non riusciva a vedere Moiraine, guardare lo confortava. Poi tornò sul posto e tirò fuori un foglio di carta e la penna. E — tra il tuono, le urla, le esplosioni e l’ululato del vento — iniziò a comporre.
45
Viticci di nebbia
Con i dadi che gli sbatacchiavano nella testa, Mat trovò Grady con Olver e Noal sulle Alture. Portava sottobraccio il dannato stendardo di Rand avvolto in un piccolo fagotto. Intorno erano sparpagliati corpi, armi cadute e pezzi di armatura, e le rocce erano macchiate di sangue. Ma il combattimento era finito e non c’erano più nemici.
Noal sorrise a Mat dalla sella; Olver cavalcava di fronte a lui, tenendo stretto il Corno. Olver pareva esausto per la Guarigione di Grady — l’Asha’man era in piedi accanto al cavallo — ma allo stesso tempo pareva anche il più orgoglioso possibile.
Noal. Uno degli eroi del Corno. Aveva maledettamente senso. Jain Farstrider in persona. Be’, Mat non avrebbe certo fatto cambio con lui. A Noal poteva piacere, ma Mat non avrebbe danzato al comando di un altro uomo. Non l’avrebbe fatto, nemmeno per l’immortalità stessa.
«Grady!» disse Mat. «Hai fatto un buon lavoro a monte del fiume. L’acqua è arrivata proprio quando ne avevamo bisogno!»
Il volto di Grady era terreo, come se avesse visto qualcosa che non avrebbe voluto vedere. Annuì. «Cosa... Cos’erano...»
«Te lo spiegherò un’altra volta» disse Mat. «Ora mi serve un maledetto passaggio.»
«Per dove?» chiese Grady.
Mat prese un respiro profondo, fermandosi. «Shayol Ghul.» E che io sia maledetto per la mia stupidità.
Grady scosse il capo. «Non si può fare, Cauthon.»
«Sei troppo stanco?»
«Sono stanco» disse Grady. «Ma non si tratta di quello. Sta succedendo qualcosa a Shayol Ghul. I passaggi che vengono aperti li sono deviati. Il Disegno è.... deformato, sempre che abbia qualche senso. La valle non è più un luogo, ma molti, e un passaggio non può localizzarla.»
«Grady,» disse Mat «questo per me aveva senso quanto suonare un’arpa senza dita.»
«Non si può Viaggiare a Shayol Ghul, Cauthon» disse Grady con irritazione. «Scegli un altro posto.»
«Quanto puoi mandarmi vicino?»
Grady scrollò le spalle. «Uno dei campi degli esploratori è a una giornata di distanza a piedi, probabilmente.»
Un giorno di cammino. Mat si sentì strattonare.
«Mat?» disse Olver. «Penso di dover venire con te, giusto? Nella Macchia? Gli eroi non saranno necessari per combattere lì?»
C’era anche quello. Quegli strattoni erano insopportabili. Dannate ceneri, Rand. Lasciami in pace...
Mat si fermò quando gli venne un’idea. Campi di esploratori. «Intendi uno di quei campi di pattuglia seanchan?»
«Sì» disse Grady. «Adesso che non si può fare affidamento sui passaggi, ci stanno mandando aggiornamenti sulla battaglia lassù.»
«Be’, non restartene seduto con quella faccia da stupido» disse Mat. «Prepara un passaggio! Andiamo, Olver. Abbiamo altro lavoro da fare.»
«Aaaah...» Shaisam si muoveva sul campo di battaglia di Thakan’dar. Così perfetto. Così piacevole. I suoi nemici si stavano uccidendo a vicenda. E lui... lui era diventato grande.
La sua mente era in ogni viticcio di nebbia che scendeva giù per il lato della valle. Le anime dei Trolloc erano... Be’, insoddisfacenti. Tuttavia, il semplice grano, se mangiato in abbondanza, poteva saziare. E Shaisam ne aveva consumate parecchie.
Le sue propaggini si precipitarono giù per il fianco della collina, ammantate dalle nebbie. Trolloc con la pelle butterata, come se fosse bollita. Occhi bianchi e morti. Quasi non aveva più bisogno di loro, dato che le loro anime gli avevano dato forza per ricostruirsi. La sua pazzia era regredita. Parecchio. Be’, non parecchio. Abbastanza.
Camminava al centro del banco di nebbia. Non era ancora rinato, non completamente. Avrebbe dovuto trovare un luogo da infestare, un posto dove la barriera tra i mondi fosse sottile. Lì avrebbe potuto infiltrare la sua essenza nelle pietre stesse e infondere la sua consapevolezza in quel luogo. Il processo avrebbe richiesto anni, ma una volta avvenuto, sarebbe diventato più difficile da uccidere.
In questo momento, Shaisam era fragile. Questa forma mortale che camminava al centro della sua mente... Lui era vincolato a essa. Fain, era stato. Padan Fain.
Tuttavia era vasto. Queste anime avevano creato molta nebbia, ed essa — a sua volta — trovava altri di cui nutrirsi. Davanti a lui degli uomini combattevano la Progenie dell’Ombra. Tutto gli avrebbe dato forza.
Le sue propaggini si precipitarono sul campo di battaglia ed entrambi gli schieramenti presero immediatamente a combatterle. Shaisam fremette di gioia. Loro non vedevano. Non capivano. Le propaggini non erano lì per combattere.
Erano lì per distrarre.
Mentre la battaglia procedeva, trascinò la sua essenza in viticci di nebbia, poi iniziò a usarli per infilzare i corpi di uomini e Trolloc in lotta. Prese Myrddraal. Li convertì. Li usò.
Presto questo intero esercito sarebbe stato suo.
Aveva bisogno di quella forza nel caso in cui il suo antico nemico... e il suo caro amico avessero deciso di attaccarlo.
Quei due amici — quei due nemici — erano occupati l’uno con l’altro. Eccellente. Shaisam continuò il suo attacco, abbattendo nemici su entrambi i lati e consumandoli. Alcuni cercavano di attaccarlo correndo nelle nebbie, nel suo abbraccio. Naturalmente ciò li uccideva. Questa era la sua vera essenza. Aveva cercato di creare questa nebbia prima, come Fain, ma non era abbastanza maturo.
Non potevano raggiungerlo. Nessuna cosa vivente poteva sopportare la sua nebbia. Una volta era stata una cosa priva di mente. Non era lui. Ma era stata intrappolata con lui, all’interno di un seme portato via, e a quella morte — quella stupenda morte — era stato dato terreno fertile nella carne di un uomo.
Le tre cose si intrecciavano dentro di lui. Nebbia. Uomo. Padrone. Quel pugnale meraviglioso — adesso era la sua forma fisica a portarlo — era cresciuto in qualcosa di delizioso, nuovo e antico, allo stesso tempo.
Così la nebbia era lui, ma allo stesso tempo non era lui. Priva di mente, era il suo corpo, e portava la sua mente. E meravigliosamente, con quelle nuvole nel cielo, non doveva preoccuparsi di essere bruciato via dal sole.
Era così cortese da parte del suo vecchio nemico accoglierlo a quel modo! La sua forma fisica rideva nel cuore delle nebbie striscianti, mentre la sua mente — le nebbie stesse — si gloriava di quanto tutto fosse perfetto.
Questo posto sarebbe diventato suo. Ma solo dopo che avesse banchettato con Rand al’Thor, l’anima più forte di tutte.
Che meravigliosa celebrazione!
Gaul era aggrappato alle rocce fuori dal Pozzo del Destino.
I venti lo laceravano, spingendogli addosso sabbia e pezzetti di roccia che gli aprivano squarci nella pelle. Rise rivolto al vortice di oscurità sopra di lui.
«Fa’ del tuo peggio!» gridò verso l’alto. «Io ho vissuto nella Triplice Terra. Avevo sentito che l’Ultima Battaglia sarebbe stata spropositata, non una passeggiata sul tetto di mia madre a raccogliere simboccioli!»