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Il vento soffiò più forte, come per punizione, ma Gaul si appiattì contro la pietra, non fornendo alcun appiglio ai venti. Aveva perso il suo shoufa — era volato via — così aveva legato parte della camicia sopra la parte inferiore della faccia. Teneva ancora stretta una lancia. Le altre non c’erano più, rotte o tirate via.

Strisciò verso l’apertura della caverna, che era lì allo scoperto, con un sottile velo viola che sbarrava la strada. Una figura in cuoio scuro apparve di fronte all’apertura. Vicino a quest’uomo, i venti si placavano.

Strizzando gli occhi contro la tempesta, Gaul strisciò silenziosamente alle spalle dell’uomo e scagliò in avanti la lancia.

L’Assassino ruotò con un’imprecazione, deviando la lancia con un braccio improvvisamente forte come acciaio. «Che tu sia folgorato!» urlò a Gaul. «Resta fermo, per una volta!»

Gaul balzò indietro e l’Assassino si avventò su di lui, ma poi arrivarono i lupi. Gaul si ritirò e svanì tra le rocce. L’Assassino era molto potente qui, ma non poteva uccidere ciò che non poteva vedere.

I lupi infastidirono l’Assassino finché non scomparve. Ce n’erano centinaia in questa valle, a vagare tra i venti. L’Assassino ne aveva uccisi a dozzine; Gaul sussurrò un addio a un altro che era caduto in questo attacco. Non poteva parlare con loro come faceva Perrin Aybara, ma erano fratelli di lancia.

Gaul strisciò piano, con cautela. Gli abiti e la pelle corrispondevano al colore delle rocce: sembrava giusto che fossero a quel modo, perciò erano così. Lui e i lupi probabilmente non potevano sconfiggere questo Assassino; ma potevano provare.

Quanto tempo era passato da quando Perrin Aybara se n’era andato? Due ore, forse?

Se l’Ombra ti ha reclamato, amico mio, pensò Gaul, prego che tu possa sputare nell’occhio dell’Accecatore prima che ti risvegli.

L’Assassino apparve di nuovo sulle rocce, ma Gaul non strisciò in avanti. L’uomo aveva inviato simulacri fatti di roccia. Questa figura non si muoveva. Gaul si guardò attorno con cautela, lentamente — mentre diversi lupi comparivano vicino all’esca. La annusarono.

Quella iniziò a ucciderli.

Gaul imprecò, uscendo dal nascondiglio. Questo, a quanto pareva, era ciò che aveva voluto l’Assassino. L’Assassino scagliò una lancia — una di quelle di Gaul — e lo colpì al fianco. Gaul grugnì, cadendo in ginocchio.

L’Assassino rise, poi sollevò le mani. Da lui soffiò un getto d’aria, scagliando via i lupi. Gaul riuscì a malapena a sentire gli uggiolii sopra l’impeto del vento.

«Qui» urlò l’Assassino nella tempesta «io sono un Re! Qui io sono più dei Reietti. Questo posto è mio e io...»

Forse il dolore della ferita di Gaul lo stava frastornando; pensava che i venti stessero iniziando a scemare.

«Qui io...»

I venti si fermarono. L’Assassino si irrigidì, poi voltò occhi preoccupati verso la caverna poco lontana. Lì non pareva essere cambiato nulla.

«Tu non sei un Re» disse una voce sommessa.

Gaul ruotò. Su una protuberanza di roccia dietro di lui si ergeva una figura, con indosso il verde e il bruno di un boscaiolo dei Fiumi Gemelli. Il mantello verde intenso si increspava lievemente per i venti sempre più deboli. Perrin stava con gli occhi chiusi, il mento sollevato in una leggera angolazione, come verso il sole nel cielo... Anche se era bloccato dalle nuvole.

«Questo posto appartiene ai lupi» disse Perrin. «Non a te, non a me, né a nessun uomo. Tu non puoi essere Re qui, Assassino. Tu non hai sudditi, e mai li avrai.»

«Cucciolo insolente» ringhiò l’Assassino. «Quante volte devo ucciderti?»

Perrin prese un respiro profondo.

«Ho riso quando ho scoperto che Fain aveva ucciso la tua famiglia» urlò l’Assassino. «Ho riso. Avrei dovuto ucciderlo, sai. L’Ombra lo ritiene isolato e senza freni, ma è il primo che è riuscito a fare qualcosa di significativo per darti dolore.»

Perrin non disse nulla.

«Luc voleva essere parte di qualcosa di importante» gridò l’Assassino. «In quello siamo uguali, anche se io cercavo la capacità di incanalare. Il Tenebroso non può concederla, ma ha trovato qualcosa di diverso per noi, qualcosa di meglio. Qualcosa che richiede che un’anima si fonda con qualcos’altro. Come quello che è successo con te, Aybara. Come te.»

«Noi non siamo affatto simili, Assassino» disse Perrin piano.

«Ma lo siamo! Ecco perché ridevo! E sai che c’è una profezia su Luc? Che sarà importante per l’Ultima Battaglia. Ecco perché siamo qui. Ti uccideremo; poi uccideremo al’Thor. Proprio come abbiamo ucciso quel tuo lupo.»

In piedi sulla protuberanza rocciosa, Perrin aprì gli occhi. Gaul indietreggiò. Quegli occhi dorati splendevano come fari.

La tempesta ricominciò. Eppure pareva debole paragonata a quella che Gaul vedeva negli occhi di Perrin. Gaul avvertì una pressione dal suo amico. Come la pressione del sole a mezzodì dopo quattro giorni senza acqua.

Gaul alzò lo sguardo su Perrin e lo fissò per alcuni istanti, poi si tenne una mano contro la ferita e corse.

Il vento sferzava Mat mentre era aggrappato alla sella di una bestia alata centinaia di piedi in aria.

«Oh, sangue e maledette ceneri!» urlò Mat, una mano sul cappello e l’altra stretta alla sella. Era legato con alcune cinghie. Due piccole cinghie di cuoio. Fin troppo sottili. Non avrebbero potuto usarne di più? Forse dieci o venti? Lui sarebbe stato bene con cento!

I morat’to’raken erano dannatamente pazzi. Tutti quanti! Facevano questo ogni giorno! Cosa avevano che non andasse?

Legato sulla sella di fronte a Mat, Olver rideva allegramente.

Povero ragazzo, pensò Mat. È così spaventato che sta impazzendo. La mancanza d’aria quassù gli sta dando alla testa.

«Eccola lì, mio Principe!» gli urlò la morat’to’raken, Sulaan, dal suo posto sul davanti della bestia volante. Era una donna graziosa. Anche completamente pazza. «Abbiamo raggiunto la valle. Sei certo di voler atterrare lì?»

«No!» urlò Mat.

«Buona risposta!» La donna mandò la bestia in picchiata.

«Sangue e maledette...»

Olver rise.

Il to’raken li portò sopra una lunga valle intasata da una battaglia frenetica. Mat cercò di fissare la sua attenzione sullo scontro, piuttosto che sul fatto che si trovava in aria a volare su una lucertola assieme a due dannati lunatici.

Cumuli di corpi di Trolloc raccontavano quella storia con la stessa chiarezza di qualunque mappa. I Trolloc avevano fatto irruzione tra le difese all’imboccatura della valle dietro Mat. Lui vi volò sopra, verso la montagna di Shayol Ghul più avanti, le pareti della valle a sinistra e a destra.

Sotto era il caos. Bande vaganti di Aiel e Trolloc si muovevano per la valle, scontrandosi fra loro qua e là. Alcuni soldati, non Aiel, difendevano la strada che saliva al Pozzo del Destino, ma era l’unica formazione organizzata che Mat riusciva a vedere.

Lungo il lato della vallata, una nebbia fitta aveva iniziato a riversarsi sul suolo. Sulle prime Mat fu confuso, pensando che fosse venuta dagli eroi del Corno. Ma no, il Corno era legato alla sella accanto all’ashandarei di Mat. E questa nebbia era troppo... argentea. Se era la parola giusta. Gli pareva di aver già visto quella caligine.

Allora Mat avvertì qualcosa. Da quella nebbia. Una sensazione di freddo formicolante, seguita da quello che giurava fosse un sussurro nella mente. Seppe immediatamente di cosa si trattava.

Oh, Luce!

«Mat, guarda!» chiamò Olver indicando. «Lupi!»

Un gruppo di animali nerissimi, grossi quasi quanto dei cavalli, stavano aggredendo i soldati che difendevano il sentiero per Shayol Ghul. I lupi si stavano sbarazzando rapidamente degli uomini. Luce! Come se le cose non fossero già abbastanza difficili.