«Non cercare di...»
La luce del sole esplose attraverso le nuvole. Spesso non c’era luce solare nel Mondo dei Sogni, ma ora inondò l’area attorno a Rand.
Moridin barcollò all’indietro. Alzò lo sguardo verso la luce, poi fissò Rand e strinse gli occhi. «Non pensare... non pensare che crederò ai tuoi trucchetti, Lews Therin. Weiramon è rimasto scosso da quello che gli hai fatto, ma non è una cosa tanto difficile trattenere saidin e ascoltare i battiti del cuore delle persone che accelerano.»
Rand fece uno sforzo di volontà. Le foglie morte scricchiolanti iniziarono a trasformarsi ai suoi piedi, diventando di nuovo verdi, e fili d’erba spuntarono tra quelle foglie. Il verde si diffuse da lui come vernice versata, e sopra le nuvole si allontanarono ribollendo.
Moridin sgranò gli occhi. Barcollò, fissando il cielo mentre le nuvole si ritiravano... Rand poteva percepire il suo sconcerto. Questo era il frammento di sogno di Moridin.
Però, per attirarvi dentro qualcun altro, aveva dovuto metterlo vicino a Tel’aran’rhiod. Si applicavano quelle regole. C’era anche qualcos’altro, qualcosa sulla connessione tra loro due...
Rand avanzò a grandi passi, sollevando le braccia ai lati. Spuntò erba a ondate, e boccioli vermigli eruppero dal terreno come se la terra stesse arrossendo. La tempesta si placò, le nuvole nere arse via dalla luce.
«Dillo al tuo padrone!» ordinò Rand. «Digli che questo scontro non è come gli altri. Digli che sono stanco di sgherri, che ne ho abbastanza di questi meschini movimenti di pedine. Digli che sto venendo per lui!»
«Questo è sbagliato» disse Moridin, visibilmente scosso. «Questo non è....» Guardò Rand per un momento, in piedi sotto il sole fiammeggiante, poi svanì.
Rand esalò un respiro profondo. L’erba morì attorno a lui, le nuvole tornarono di colpo, la luce del sole sbiadì. Anche se Moridin se n’era andato, trattenere quella trasformazione del paesaggio era stato difficile. Rand si afflosciò annaspando, ristabilendosi dallo sforzo.
Qui desiderare che qualcosa fosse vero poteva renderlo tale. Se solo tutto fosse stato così semplice nel mondo reale.
Chiuse gli occhi e desiderò andarsene, per dormire per il poco tempo che gli restava prima di doversi svegliare. Svegliarsi e salvare il mondo. Se poteva.
Pevara si accovacciò accanto ad Androl nella notte piovosa. Il suo mantello era completamente zuppo. Conosceva un paio di flussi che sarebbero stati utili per quello, ma non osava incanalare. Lei e gli altri si sarebbero trovati davanti Aes Sedai Convertite e donne dell’Ajah Nera. Quelle potevano percepirla, se avesse incanalato.
«Stanno decisamente sorvegliando la zona» sussurrò Androl. Davanti a loro, il terreno si separava in una vasta sequenza di costruzioni in mattoni e buche. Erano le fondamenta di quella che alla fine sarebbe diventata la Torre Nera vera e propria. Se Dobser aveva ragione, all’interno di quelle fondamenta erano state create altre stanze: camere segrete, quasi completate, che sarebbero rimaste segrete mentre la Torre stessa veniva costruita.
Un paio di Asha’man di Taim erano lì vicino, intenti a chiacchierare. Anche se cercavano di sembrare disinvolti, l’effetto era guastato dal tempo. Perché mai qualcuno avrebbe scelto di starsene fuori in una notte come questa? Malgrado un braciere caldo che li illuminava e un flusso d’Aria per far colar via la pioggia, la loro presenza era sospetta.
Guardie. Pevara cercò di inviare il pensiero ad Androl direttamente.
Funzionò. Poté percepire la sorpresa dell’uomo mentre il pensiero si intrufolava tra i suoi.
Le tornò qualcosa di indistinto. Dovremmo approfittarne.
Sì, inviò lei a sua volta. Il pensiero successivo, però, era troppo complesso, così glielo sussurrò. «Come avete fatto a non notare mai che lasciava delle guardie alle fondamenta, la notte? Se ci sono davvero delle stanze segrete, anche il lavoro per costruirle dev’essere stato fatto di notte.»
«Taim ha imposto un coprifuoco» bisbigliò Androl. «Ci permette di ignorarlo solo quando fa comodo a lui, come per il ritorno di Welyn stanotte. Inoltre, questa zona è pericolosa, con quelle buche e fosse. Sarebbe una ragione sufficiente per mettere delle guardie, tranne che...»
«Tranne che» terminò Pevara «Taim non è esattamente il tipo a cui importa se un bambino o due si rompe il collo ficcando il naso in giro.»
Androl annuì.
Pevara e Androl attesero nella pioggia, contando i respiri, fin quando tre nastri di Fuoco volarono per l’aria e colpirono le guardie dritto in testa. I due Asha’man crollarono come sacchi di grano. Nalaam, Emarin e Jonneth avevano svolto il loro lavoro alla perfezione. Avevano incanalato rapidamente: con un po’ di fortuna, non sarebbe stato notato oppure sarebbe stato ritenuto opera delle guardie di Taim.
Luce, pensò Pevara. Androl e gli altri sono davvero armi. Non si era fermata a considerare che Emarin e gli altri avrebbero agito con attacchi letali. Era del tutto estraneo alla sua esperienza come Aes Sedai. Le Aes Sedai non uccidevano nemmeno i falsi Draghi, se potevano fame a meno.
«Domare uccide» disse Androl, gli occhi fissi in avanti. «Seppur lentamente.»
Luce. Sì, potevano esserci vantaggi nel loro legame... ma era anche dannatamente scomodo. Avrebbe dovuto esercitarsi a schermare i propri pensieri.
Emarin e gli altri giunsero dall’Oscurità, unendosi a Pevara e Androl presso il braciere. Canler rimase indietro, con gli altri ragazzi dei Fiumi Gemelli, pronto a guidarli via dalla Torre Nera in un tentativo di fuga se nel corso della notte qualcosa fosse andato storto. Aveva senso lasciarlo indietro, nonostante le sue proteste. Aveva una famiglia.
Trascinarono i cadaveri nelle ombre, ma lasciarono il braciere acceso. Chiunque avesse cercato le guardie, avrebbe visto che la luce era ancora lì, ma la notte era così piena di pioggia e nebbia che una persona si sarebbe dovuta avvicinare per rendersi conto che quelli che stavano badando al fuoco erano scomparsi.
Anche se Androl si lamentava spesso di non sapere perché gli altri lo seguivano, prese immediatamente il comando del gruppo, mandando Nalaam e Jonneth a sorvegliare il margine delle fondamenta. Jonneth portava il suo arco, senza corda nella notte umida. Speravano che avrebbe smesso di piovere e che sarebbe stato in grado di usarlo quando non avessero potuto rischiare di incanalare.
Androl, Pevara ed Emarin scivolarono lungo una delle discese fangose dentro le buche delle fondamenta che erano state scavate. Quando lei atterrò, il fango le schizzò addosso, ma era già zuppa e la pioggia lavò via il sudiciume.
Le fondamenta erano fatte di pietre costruite a formare pareti tra stanze e corridoi; laggiù diventavano un labirinto, con un flusso costante di pioggia che cadeva dall’alto. Al mattino, ai soldati Asha’man sarebbe stato assegnato il compito di asciugare le fondamenta.
Come troviamo l’entrata?, trasmise Pevara.
Androl si inginocchiò, con un piccolissimo globo di luce che gli fluttuava sopra la mano. Le gocce di pioggia passavano attraverso la luce, assomigliando per un attimo a meteoriti minuscoli mentre svanivano in un lampo. Androl posò le dita nell’acqua addensata per terra.
Alzò lo sguardo, poi indicò. «Scorre in questa direzione» sussurrò. «Va da qualche parte. E lì che troveremo Taim.»
Emarin bofonchiò in segno di apprezzamento. Androl alzò una mano, convocando Jonneth e Nalaam giù nelle fondamenta con loro, poi fece strada, procedendo piano.
Non. Fai. Rumore. Bene, trasmise Pevara.
Addestrato come esploratore, le rispose lui. Nei boschi. Montagne di Nebbia.
Quanti lavori aveva fatto nella sua vita? Era stata preoccupata per lui. Una vita come quella che aveva condotto poteva indicare un’insoddisfazione verso il mondo, un’impazienza. Il modo in cui parlava della Torre Nera, però... la passione con cui era disposto a combattere... quello diceva qualcosa di diverso. Non si trattava solo della lealtà verso Logain. Sì, Androl e gli altri rispettavano Logain, ma per loro lui rappresentava qualcosa di molto più grande. Un posto dove uomini come loro erano accettati.