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«Non posso» disse lei. «Non posso.» Lo disse più piano la seconda volta.

Rand espirò. Notò che gli tremavano le mani. Così vicino. Così vicino alla Luce, come un gatto selvatico nella notte, che andava avanti e indietro davanti al granaio illuminato dal fuoco. Si ritrovò arrabbiato, più arrabbiato di prima. Lei gli faceva sempre questo effetto! Si trastullava con quello che era giusto, ma sceglieva sempre il proprio sentiero.

«Ho chiuso con te, Mierin» disse Rand, voltandole le spalle e allontanandosi dalla camera. «Per sempre.»

«Mi fraintendi!» gli urlò lei. «Mi hai sempre frainteso! Tu ti mostreresti a qualcuno a quel modo? Non posso farlo. Sono stata schiaffeggiata troppe volte da coloro di cui mi sarei dovuta fidare. Tradita da quelli che avrebbero dovuto amarmi.»

«Dai a me la colpa di questo?» chiese Rand, ruotando sui talloni.

Lei non distolse lo sguardo. Sedeva imperiosa, come se la sua prigione fosse un trono.

«Davvero lo ricordi a quel modo, vero?» disse Rand. «Pensi che io ti abbia tradito per lei?»

«Hai detto di amarmi.»

«Non l’ho mai detto. Mai. Non avrei potuto. Non sapevo cosa fosse l’amore. Secoli di vita e non lo scoprii mai finché non incontrai lei.» Esitò, poi continuò, parlando così piano che la sua voce non riecheggiava nella piccola caverna. «Non l’hai mai davvero capito, vero? Certo che no. Chi potresti amare? Il tuo cuore è già preso, dal potere che desideri con tanta forza. Non rimane spazio.»

Rand lasciò perdere.

Lasciò perdere come Lews Therin non era mai stato in grado di fare. Perfino dopo aver scoperto Ilyena, perfino dopo aver capito come Lanfear lo aveva usato, non si era aggrappato a odio e disprezzo. Ti aspetti compassione da parte mia?, le aveva chiesto Rand.

Era proprio quello che provava adesso. Compassione per una donna che non aveva mai conosciuto l’amore, una donna che non permetteva a sé stessa di conoscerlo. Compassione per una donna che non poteva scegliere uno schieramento che non fosse il proprio.

«Io...» disse lei piano.

Rand alzò la mano e poi si aprì a lei. Le sue intenzioni, la sua mente, la sua identità apparvero come un turbinio di colori, emozioni e potere attorno a lui.

Lanfear sgranò gli occhi mentre quel turbinio veniva proiettato davanti a lei, come immagini su una parete. Rand non poté trattenere nulla. Lei vide le sue motivazioni, i suoi desideri, i suoi auspici per l’umanità. Vide le sue intenzioni. Andare a Shayol Ghul, uccidere il Tenebroso. Lasciare un mondo migliore di quanto aveva fatto l’ultima volta.

Lui non temeva di rivelare queste cose. Aveva toccato il Vero Potere, perciò il Tenebroso conosceva il suo cuore. Lì non c’erano sorprese, almeno nulla che sarebbe dovuto essere una sorpresa.

Ma Lanfear rimase sorpresa comunque. Rimase a bocca aperta nel vedere la verità: la verità che, nel profondo, non era Lews Therin a costituire l’essenza di Rand. Era il pastore, allevato da Tam. Le sue vite si dipanarono in pochi istanti, i suoi ricordi e le sue sensazioni messi allo scoperto.

Da ultimo, le mostrò il suo amore per Ilyena, come un cristallo lucente messo su uno scaffale e ammirato. Poi il suo amore per Min, Aviendha, Elayne. Come un falò ardente, caldo, confortante, appassionato.

Non c’era amore per Lanfear in quello che mise a nudo. Nemmeno un pezzetto. Aveva anche sguazzato nel disprezzo di Lews Therin per lei. E così, per lui, Lanfear non era davvero nulla.

Lei annaspò.

Il bagliore attorno a Rand scemò. «Mi dispiace» disse. «Lo intendevo davvero. Ho chiuso con te, Mierin. Tieniti al riparo durante la tempesta che verrà. Se vinco questo scontro, non avrai più motivo di temere per la tua anima. Non rimarrà nessuno a tormentarti.»

Le voltò di nuovo le spalle e uscì dalla caverna, lasciandola ammutolita.

La sera al Bosco di Braem era accompagnata dall’odore di fuochi che ardevano nelle loro fosse e dai suoni di uomini che gemevano piano mentre si apprestavano a lasciarsi scivolare in un sonno inquieto, le spade pronte a portata di mano. Un gelo innaturale nell’aria estiva.

Perrin camminava per l’accampamento, tra gli uomini sotto il suo comando. Gli scontri erano stati duri in questi boschi.

I suoi uomini stavano facendo del male ai Trolloc, ma Luce, sembrava esserci sempre altra Progenie dell’Ombra a rimpiazzare quelli che cadevano.

Dopo essersi accertato che i suoi fossero stati nutriti adeguatamente, che fossero stati fissati turni di guardia e gli uomini sapessero cosa fare nel caso fossero stati svegliati durante la notte da un attacco di Progenie dell’Ombra, andò a cercare gli Aiel. Le Sapienti in particolare. Quasi tutte loro si erano radunate per andare con Rand quando avesse marciato su Shayol Ghul — per ora attendevano i suoi ordini — ma alcune erano rimaste con Perrin, inclusa Edarra.

Lei e le altre Sapienti non marciavano al suo comando.

Eppure, come Gaul, restavano con lui quando gli altri Aiel andavano altrove. Perrin non aveva chiesto loro perché. Non gli importava davvero. Averli con sé era utile e lui era grato.

Gli Aiel gli permisero di attraversare il loro perimetro. Trovò Edarra seduta accanto a un fuoco, ben circondato da pietre per impedire la possibilità che una scintilla vagante sfuggisse. Questi boschi, così secchi, potevano prendere fuoco più facilmente di un granaio pieno del fieno dell’ultimo raccolto.

Edarra lanciò un’occhiata a Perrin mentre si accomodava accanto a lei. La donna aiel sembrava giovane ma odorava di pazienza, curiosità e controllo. Saggezza. Non chiese a Perrin perché era venuto da lei. Attese che fosse lui a parlare.

«Sei una Camminatrice dei Sogni?» chiese Perrin.

Lei lo esaminò nella notte; Perrin ebbe la netta impressione che questa non fosse una domanda che un uomo — o un forestiero — poteva porre.

Perciò fu sorpreso quando lei rispose.

«No.»

«Sai molto al riguardo?» chiese Perrin.

«Qualcosa.»

«Ho bisogno di conoscere un modo per entrare nel Mondo dei Sogni fisicamente. Non solo nei miei sogni, ma nel mio corpo reale. Hai mai sentito una cosa del genere?»

Lei inspirò bruscamente. «Non ci pensare, Perrin Aybara. È male.»

Perrin si accigliò. La forza nel sogno del lupo — dentro Tel’aran’rhiod — era una cosa delicata. Con quanta più forza Perrin metteva sé stesso nel sogno — quanto più solido era  — tanto trovava più facile cambiare le cose lì, manipolare quel mondo.

Quello aveva un costo, però. Andando nel sogno con troppa forza, rischiava di separarsi dal proprio corpo dormiente nel mondo reale.

A quanto pareva, quello non preoccupava l’Assassino. Lui era forte lì, fortissimo; quell’uomo era nel sogno fisicamente. Perrin ne era sempre più convinto.

La nostra contesa non terminerà, pensò Perrin, finché non sarai tu la preda, Assassino. Cacciatore di lupi. Io sarò la tua fine.

«In molti sensi,» borbottò Edarra guardandolo «tu sei ancora un bambino, nonostante tutto l’onore che hai trovato.» Perrin si era abituato — anche se non gli piaceva — a donne che sembravano avere un anno o due più di lui che gli si rivolgessero a quel modo. «Nessuna delle Camminatrici dei Sogni ti insegnerà questa cosa. È male.»

«Perché è male?» disse Perrin.

«Entrare nel mondo dei sogni in carne e ossa ti costa parte di ciò che ti rende umano. Cosa più importante, se muori mentre sei in quel posto — e sei lì in carne e ossa — ciò può farti morire per sempre. Niente più rinascita, Perrin Aybara. Il tuo filo nel Disegno potrebbe finire per sempre e tu saresti distrutto. Questa non è una cosa che dovresti contemplare.»

«I servitori dell’Ombra lo fanno, Edarra» disse Perrin. «Corrono rischi per avere il predominio. Dobbiamo correre gli stessi rischi per fermarli.»

Edarra sibilò piano, scuotendo la testa. «Non ti tagli il piede per paura che un serpente lo morda, Perrin Aybara. Non commetti un errore terribile per paura di qualcosa che sembra peggio. Questo è tutto ciò che dirò sull’argomento.»