Androl si sforzò di mettersi in ginocchio. Avvertiva dolore e preoccupazione da Pevara dietro di lui, la sua mente annebbiata dalla radice biforcuta. Di fronte a lui, Logain sedeva sul suo trono, bloccato lì, circondato dal nemico. Aveva gli occhi chiusi; era a malapena cosciente.
«Qui abbiamo finito» disse Taim. «Mishraile, uccidi questi prigionieri. Prenderemo quelli di sopra e li porteremo a Shayol Ghul. Il Sommo Signore mi ha promesso più risorse per il mio lavoro lì.»
I lacchè di Taim si avvicinarono. Androl, inginocchiato, alzò lo sguardo. Tutt’attorno l’oscurità crebbe, forme che si muovevano tra le ombre. L’oscurità... lo terrorizzava. Doveva lasciar andare saidin, doveva. Eppure non poteva farlo.
Doveva cominciare a tessere.
Taim gli lanciò un’occhiata, poi sorrise e intessé Fuoco Malefico.
Ombre, tutt’intorno!
Androl si aggrappò al Potere.
I morti, vengono a prendermi!
Intessé per istinto, il miglior flusso che conosceva. Un passaggio. Colpì quel muro, quel maledetto muro.
Così stanco. Le ombre... le ombre mi prenderanno.
Una barra incandescente di luce schizzò dalle dita di Taim, indirizzata verso Androl. Androl urlò, sforzandosi, gettando le mani in avanti e posizionando il suo flusso. Colpì quel muro e vomitò.
Di fronte a lui si aprì un passaggio del diametro di una moneta. Il flusso di Fuoco Malefico finì lì dentro.
Taim si accigliò e la stanza divenne immobile, con gli Asha’man stupefatti che interrompevano i loro flussi. In quel momento, la porta della stanza esplose verso l’interno.
Canler fece irruzione trattenendo l’Unico Potere. Era seguito da una ventina di ragazzi dei Fiumi Gemelli che erano venuti a addestrarsi nella Torre Nera.
Taim urlò, abbracciando la Fonte. «Siamo attaccati!»
La cupola pareva incentrata sul progetto di edificio che aveva notato. Quello era un male: con quelle fondamenta e buche, l’Assassino avrebbe avuto posti in abbondanza per nascondersi e tendergli imboscate.
Una volta raggiunto il villaggio, Perrin indicò un edificio particolarmente grosso. Due piani, costruito come una locanda, con un solido tetto di legno. «Ti porterò lassù» mormorò Perrin. «Appronta il tuo arco. Urla se noti qualcuno che cerca di cogliermi di sorpresa, d’accordo?»
Gaul annuì. Perrin li traslò sulla cima dell’edificio, e Gaul prese posizione accanto al camino. I suoi abiti si modificarono per confondersi con il colore dei mattoni d’argilla, e lui rimase basso, l’arco pronto. Non avrebbe avuto la gittata di un arco lungo, ma da qui sarebbe stato letale.
Perrin si lasciò cadere a terra, fluttuando piano per l’ultimo pollice per non fare rumore. Si accucciò e traslò al lato dell’edificio poco più avanti. Traslò di nuovo a margine dell’Ultima costruzione della fila prima dello scavo, poi si guardò sopra la spalla. Gaul, nascosto molto bene lassù, sollevò le dita. Aveva tracciato Perrin.
Da lì, Perrin strisciò in avanti sul ventre, non volendo traslare a un punto che non poteva vedere direttamente. Raggiunse l’orlo del primo foro cavernoso delle fondamenta e guardò giù verso un pavimento di terra. Il vento soffiava ancora e in basso turbinava della polvere, celando qualunque traccia potesse essere stata lasciata.
Perrin si mise accovacciato e iniziò a procedere attorno al perimetro delle grosse fondamenta. Dove sarebbe stato il centro esatto della cupola? Non riusciva a capirlo: era troppo grande. Tenne gli occhi aperti.
La sua attenzione era così concentrata sui buchi delle fondamenta che per poco non andò a sbattere contro le guardie. Se ne accorse perché uno di loro ridacchiò piano, e Perrin traslò immediatamente, balzando dall’altro lato delle fondamenta e mettendosi in ginocchio, l’arco lungo dei Fiumi Gemelli che gli compariva tra le mani. Esaminò la zona che aveva lasciato, ora distante.
Stupido, pensò, notando finalmente le guardie. I due uomini oziavano in una casupola costruita accanto alle fondamenta. Era il tipo di struttura in cui ci si aspettava che i lavoratori consumassero i pasti. Perrin si guardò attorno agitato, ma l’Assassino non uscì da un nascondiglio per attaccarlo e le due guardie non lo notarono.
Non riusciva a distinguere molti dettagli, perciò traslò cautamente vicino a dove era stato. Si gettò giù nelle fondamenta e creò un ripiano di terra da un lato su cui stare per sbirciare dall’orlo del foro dentro la casupola.
Sì, ce n’erano due. Uomini con giacche nere. Asha’man. Gli parve di riconoscerli dai momenti successivi ai Pozzi di Dumai, dove avevano salvato Rand. Erano leali a lui, giusto? Rand gli aveva inviato un aiuto?
Che la Luce folgori quell’uomo, pensò Perrin. Non potrebbe essere semplicemente chiaro con chiunque, per una volta?
Naturalmente perfino gli Asha’man potevano essere Amici delle Tenebre. Perrin meditò se arrampicarsi fuori dalla fossa e affrontarli.
«Attrezzi rotti» disse Lanfear in tono ozioso.
Perrin sobbalzò con un’imprecazione e la trovò in piedi sul ripiano accanto a lui, a scrutare i due uomini.
«Sono stati Convertiti» disse lei. «L’ho sempre considerata una pratica inefficiente. Si perde qualcosa nella trasformazione: non ti serviranno mai bene come se fossero venuti spontaneamente. Oh, saranno leali, ma quella luce sarà svanita. La motivazione, la scintilla di ingenuità che rende le persone tali.»
«Sta’ zitta» disse Perrin. «Convertiti? Cosa intendi? E...»
«Tredici Myrddraal e tredici Signori del Terrore» schernì Lanfear. «Che rozzezza. Che spreco.»
«Non capisco.»
Lanfear sospirò, parlando come se lo stesse spiegando a un bambino. «Le persone in grado di incanalare possono essere Convertite all’Ombra con la forza nelle giuste circostanze. Qui M’Hael sta avendo problemi a far funzionare il processo con la facilità con cui dovrebbe. Gli servono donne se vuole Convertire facilmente degli uomini.»
Luce, pensò Perrin. Rand sapeva che alle persone poteva succedere questo? Stavano progettando di fare la stessa cosa con lui?
«Io starei attento con quei due» disse Lanfear. «Sono potenti.»
«Allora dovresti parlare più piano» sussurrò Perrin.
«Bah. È facile piegare il suono in questo posto. Potrei urlare con quanto fiato ho in corpo e loro non sentirebbero. Stanno bevendo, vedi? Hanno portato qui il vino con loro. Sono qui in carne e ossa, naturalmente. Dubito che il loro capo li abbia avvisati del pericolo che comporta.»
Perrin osservò le guardie. I due uomini stavano sorseggiando il vino, ridacchiando tra loro. Mentre Perrin guardava, il primo si accasciò da un lato, poi anche il secondo. Scivolarono giù dalle loro sedie e crollarono a terra.
«Cos’hai fatto?»
«Radice biforcuta nel vino» disse Lanfear.
«Perché mi stai aiutando?» domandò Perrin.
«Sono affezionata a te, Perrin.»
«Sei una dei Reietti!»
«Lo ero» disse Lanfear. «Quel... privilegio mi è stato tolto. Il Tenebroso ha scoperto che stavo progettando di aiutare Lews Therin a vincere. Ora, io...» Si immobilizzò, guardando di nuovo verso il cielo. Un momento dopo scomparve.
Perrin provò a decidere cosa fare. Non poteva fidarsi di lei, naturalmente. Però era brava con il sogno del lupo. Riusciva a comparirgli accanto senza fare il minimo rumore. Quello era più difficile di quanto sembrava: lei doveva immobilizzare l’aria quando essa si spostava al suo arrivo. Doveva atterrare con tanta precisione da non fare rumore e doveva silenziare il fruscio dei suoi abiti.
Con un sussulto, Perrin si rese conto che stavolta aveva anche camuffato il suo odore. Era riuscito a fiutarla — il suo odore era quello di un soffice giglio notturno — dopo che aveva cominciato a parlargli.