Выбрать главу

Sua madre la condusse ancora una volta all’interno della baracca. — Guardati attorno — le disse. — Prendi tutto ciò che ti interessa e che puoi trasportare. Fai presto! Poi aiutami a prendere il resto del cibo.

La bambina scelse la vecchia bambola del mercato delle pulci, il primo giocattolo che avesse mai posseduto. Ormai non le era più tanto affezionata, ma le sembrò la cosa più giusta da prendere, in un momento simile. Se la mise sottobraccio, soddisfatta.

Fu allora che Carlos tornò a casa.

Spalancò la porta con una stridula risata da ubriaco. La bambina si nascose d’istinto tra la porta della cucina e la parete. L’odore dell’intonaco fresco le riempì le narici. Chiuse gli occhi e si coprì le orecchie.

Udì tutto comunque.

Carlos aveva lasciato il lavoro molto presto. L’intero turno della mattina era stato soppresso a causa dell’incendio. Dapprima avevano pensato tutti che fosse una sciocchezza, erano andati al bar vicino al margine della darsena e avevano cominciato a bere. Ma l’incendio si era propagato attaccando uno dopo l’altro tutti gli edifici industriali e alla fine fu chiaro che era successo e stava per succedere qualcosa di terribile. A uno a uno gli uomini si erano uniti alla folla che cercava di salvarsi spingendosi a sud. Carlos si era aperto la strada con la bottiglia tra le mani. La bottiglia c’era ancora, ma ormai completamente vuota.

Era ubriaco fradicio e spaventato a morte. La madre della bambina cercò di calmarlo, ma dalla sua voce trapelava una grande paura e Carlos probabilmente se ne accorse. — Andiamocene — suggerì lei. — Possiamo seguire i canali fino alla terraferma. C’è ancora tempo, vedrai.

— I canali sono pieni di gente — replicò Carlos. — Le barche non riescono a muoversi. Vuoi bruciare in mezzo a loro, dannazione?

— Allora possiamo andare a piedi…

— A piedi! Hai dato un’occhiata là fuori? — Carlos agitava la bottiglia senza tregua. — Il fuoco è troppo veloce. Non possiamo fare niente… niente!

Probabilmente aveva ragione, pensò la bambina sentendosi girare la testa. Udiva le grida provenienti dai ponti mobili a poca distanza da loro.

— E allora perché sei tornato qui? — chiese sua madre. — Perché torturarci ancora? — Nella sua voce la paura si mescolava al risentimento. — Vai al diavolo! Io me ne vado! Noi ce ne andiamo!

Ma Carlos urlò che sarebbero morti insieme, perché erano una famiglia e perché lui aveva paura di morire da solo. Poi cominciarono a lottare. La bambina rimase in ascolto, paralizzata dal terrore. Si udì il rumore sordo e terribile dei pugni che affondavano nella carne. Lei non riuscì a trattenersi, e uscì da dietro la porta.

Sua madre gridava, con la faccia contusa e tumefatta. Carlos l’aveva spinta contro il tavolo della cucina e le aveva scoperto le cosce. L’incendio era ormai vicinissimo, e lui non trovava di meglio da fare che violentarla. La bambina si sentì accecare dall’ira e per un attimo dimenticò le sue paure. — Smettila! — gridò.

Carlos si guardò intorno.

L’alcol e la paura lo avevano reso irriconoscibile. Il suo volto era livido e congestionato. Gli occhi sembravano completamente bianchi. Per un attimo, la bambina fu sopraffatta dalla meraviglia. — Sei tu — disse lui. E si mosse nella sua direzione.

Le sue mani l’afferrarono con violenza. Le strapparono i vestiti. Lei provò una specie di stordimento improvviso, che sembrò estrarla dal suo stesso corpo per permetterle di guardare le cose dall’alto. Uscì da se stessa e vide Carlos, la finestra, il cielo coperto di cenere, tutto con una strana e curiosa indifferenza. Le sue mani erano da biasimare, pensò. Lei lo odiava. Carlos era probabilmente innocente, come aveva detto sua madre. Era colpa sua. Lei lo aveva sedotto. Peggio, aveva sedotto le sue mani.

Non riusciva a vedere chiaramente sua madre, che era caduta sul pavimento, stordita. Non la vide, quindi, nemmeno quando si riscosse e sbatté le palpebre vedendo ciò che succedeva davanti a lei. Non la vide inorridire, né dirigersi inciampando all’armadietto vicino ai fornelli per prendere dal cassetto un lungo coltello. La bambina non era più in grado di rendersi conto di nulla, finché non sentì Carlos rimangiarsi il fiato e irrigidirsi sopra di lei, prima di rotolare via, su un fianco. Il suo sangue, chissà come, le macchiò il vestito. Carlos giacque rantolando, stringendo l’aria con le mani. Sua madre la guardò, con gli occhi di un animale spaventato. — Dio ci aiuti — mormorò. — Vieni via, adesso.

Corsero alla motolancia, ma la pressione delle altre barche l’aveva spinta contro gli ormeggi fino a farla ribaltare con tutto il suo carico. Loro rimasero a fissarla solo per un secondo. Il fuoco era tanto vicino da poterlo annusare. L’aria acre irritava le narici e la gola. Il fumo turbinava giù per il canale tra le barche e sotto i ponti mobili affollati di profughi. Dappertutto c’era gente in fuga. Nessuno sembrava ancora in preda al panico, ma ormai era una questione di minuti. Poi tutti avrebbero cominciato a spingere e a correre. E allora?, si chiese la bambina. E allora?

Sua madre la trascinò avanti. Non avevano niente da trasportare. Tutto ciò che possedevano era andato perduto. Anche Carlos. Se non era già morto, sarebbe sicuramente perito nell’incendio. Una parte di lei esultò, un’altra parte si sentì in colpa per quell’esultanza. Lei era stata l’occasione della sua morte. E, peggio ancora, ne aveva provato piacere.

Viaggiarono per mezzo chilometro verso sud-est, con il fuoco alle spalle. L’incendio era il più vasto che la bambina avesse mai visto e gli elicotteri sembravano incapaci di fronteggiarlo. Poi l’ondata di panico si abbatté sulla folla. Sua madre la sollevò e la portò in braccio per un certo tempo, ma lei era pesante e sua madre non era più abbastanza giovane e sana. Andarono a sbattere contro una barriera di rete metallica. La gente alle loro spalle cominciò a premere finché la barriera non cedette precipitandoli tutti in un canale di scolo. La bambina affondò nell’acqua lurida, e probabilmente sarebbe morta, come credeva di desiderare. Ma era come se fosse diventata due persone diverse. Il suo corpo lottò per risalire in superficie. Le sue gambe si agitarono nell’acqua e i suoi polmoni cercarono l’aria. Continuò a sguazzare, con il fuoco alle spalle. Nuotò alla maniera dei cani lungo il canale costeggiato di cemento e rete metallica, finché non riuscì a issarsi su un ponte mobile, per riprendere fiato.

Si guardò intorno per cercare sua madre, ma non la trovò.

Sua madre e Carlos. Erano morti entrambi.

Per colpa sua. Ovvio.

Anche l’incendio era colpa sua. Probabilmente era stata lei a evocarlo. Troppe volte aveva desiderato che qualche catastrofe cancellasse Carlos dalla faccia della terra e le permettesse di rimanere per sempre nel giardino beato dell’infanzia. E i desideri contano. «Pensaci bene prima di esprimere un desiderio» le diceva sempre sua madre. «Potrebbe avverarsi».

Sentiva in faccia un calore insopportabile e il rumore di centinaia di voci urlanti la stordiva. Si accorse che stava parlando da sola. — Se i desideri fossero cavalli - canticchiò a voce bassa, cantilenante, mentre si univa di nuovo alla folla. — I mendicanti sarebbero cavalieri.

Molte ginocchia la urtavano. Una donna le tirò i capelli per passarle davanti. Ma lei continuò ad avanzare, senza lasciarsi prendere dal panico. Se i desideri fossero cavalli, i mendicanti sarebbero cavalieri. Se i desideri fossero cavalli… Se i desideri…

Camminò finché non perse i sensi, nella colpevole certezza che sarebbe dovuta morire nell’incendio. In un certo senso morì davvero. Tutte le cose che aveva erano morte. Doveva morire anche lei, come Carlos. Come Mama. Si impose di morire. E morì, anche se il suo corpo la salvò dalla spaventosa calca di adulti terrorizzati. Le ore che seguirono si persero nel buio e nella confusione.