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— Guardali — disse Susan, con piacere. Appena davanti alla profonda oscurità del pioppo nero, la sagoma che rappresentava Jordan si era fusa con l’ombra di Stella. Leisha sorrise: la vista di Susan, quanto meno, era ancora acuta.

Le due donne restarono sedute in silenzio. Alla fine, Susan disse: — Kevin ha chiamato di nuovo.

— No — commentò semplicemente Leisha.

L’anziana donna spostò il suo leggero, doloroso peso sulla sdraio. — Non credi nel perdono, Leisha?

— Sì. Ci credo. Ma Kevin non sa di avere fatto qualcosa che lo richieda.

— Suppongo che non sappia nemmeno che Richard è qui con te.

— Non so che cosa sappia — disse Leisha con indifferenza. — E chi potrebbe saperlo?

— Come tu, per esempio, non potevi sapere che Jennifer Sharifi era innocente dell’omicidio. Non perdonerai te stessa più di quanto tu non sia disposta a perdonare Kevin.

Leisha voltò la testa. Il chiaro di luna le scorreva sulle guance come uno scalpello. Dal pioppo nero provenivano risa sommesse. Leisha disse all’improvviso: — Vorrei tanto che Alice fosse qui.

Susan sorrise. Il sorriso era tirato: gli antidolorifici che prendeva dovevano essere nuovamente aumentati.

— Forse si presenterà di nuovo, se avrai davvero tanto bisogno di lei.

— Non è divertente.

— Non credi che sia successo, vero, Leisha? Non credi che Alice abbia avuto una percezione paranormale su di te.

— Credo che lei ci creda — disse Leisha misurando le parole. Tutto era diverso, ormai, fra lei e Alice, e quella diversità era troppo preziosa per metterla a rischio. Alice era l’unica cosa che Leisha aveva ottenuto in cambio per quell’anno di perdite dalla portata cataclismica. Alice e Susan, e Susan stava morendo.

Comunque era sempre stata in grado di essere onesta con Susan. — Sai che io non credo nel paranormale. È già abbastanza difficile capire il normale.

— E il paranormale disturba moltissimo la tua visione del mondo, vero? — Dopo un minuto, Susan aggiunse con un tono di voce più dolce: — Hai paura che Alice disapproverà la relazione di Jordan e Stella? Una Insonne con un Dormiente?

— Dio mio, no. So che approverà. — Scoppiò improvvisamente in una dura risata. — Alice potrebbe essere una delle dodici persone al mondo che non lo farà.

Susan disse, come se fosse importante: — Hai ricevuto chiamate anche da Stewart Sutter, Kate Addams, Miyuki Yagai e il tuo segretario, come-si-chiama. Ho detto a tutti che avresti richiamato.

— Non lo farò — disse Leisha.

— Sono più di dodici — proseguì Susan. Leisha non rispose.

Sotto di loro, Richard emerse dal portone principale e si incamminò verso la mesa distante. Si muoveva lentamente, afflosciato, come se per lui la direzione non fosse importante. Leisha pensò che, probabilmente, non lo era. Pochissime cose lo erano. Anche il fatto che si trovasse lì era dovuto soltanto a Jordan che non aveva esitato, aveva semplicemente caricato Richard in auto e ce lo aveva portato. Jordan ormai esitava solo raramente. Agiva. Un istante dopo, l’immensa figura di Joey, che amava passeggiare ovunque, si mise a trotterellare allegramente dietro Richard.

Susan disse: — Pensi che il processo Sharifi abbia concluso ogni possibilità di reale integrazione. Dormienti e Insonni, Noi-Dormiamo ed economia principale, possidenti e nullatenenti.

— Sì.

— Non c’è mai un’ultima possibilità per qualcosa, Leisha.

— Davvero? E allora come mai tu stai morendo? — Dopo un istante, Leisha aggiunse: — Mi dispiace.

— Non puoi restare nascosta qui per sempre, Leisha, solo perché sei rimasta delusa dalla legge.

— Non mi sto nascondendo.

— Come lo chiami, allora?

— Sto vivendo — disse Leisha. — Semplicemente vivendo.

— Col cavolo. Non in questo modo, non tu. Non discutere con me, io ho le intuizioni dei quasi-eterni.

A dispetto di se stessa, Leisha si mise a ridere. La risata fu dolorosa.

Susan disse: — È maledettamente vero che è buffo. Allora chiama Stewart, Kate, Miyuki e il tuo segretario.

— No.

Richard scomparve nell’oscurità, seguito da Joey. Jordan e Stella, mano nella mano, cominciarono a riavvicinarsi a casa. Susan disse, con apparente innocenza: — Io vorrei tanto che Alice fosse qui.

Leisha annuì.

— Già — disse Susan candidamente. — Sarebbe bello riunire qui la tua intera comunità.

Leisha la guardò, ma Susan era assorta nello studiare il chiaro di luna sul deserto, mentre sotto di loro qualche piccolo animale sgattaiolava invisibile, e sopra le loro teste le stelle venivano fuori una per una, una per una.

LIBRO III: SOGNATORI

2075

I dogmi del quieto passato sono inadeguati per il tempestoso presente. La contingenza è accresciuta dalle difficoltà e noi dobbiamo sollevarci con essa. Essendo nuovo il nostro caso, dobbiamo pensare in modo nuovo e agire in modo nuovo. Dobbiamo essere disincantati.

ABRAMO LINCOLN, Messaggio al Congresso 1 dicembre 1862

17

La mattina del suo sessantasettesimo compleanno, Leisha Camden stava seduta sul bordo di una poltrona nella sua tenuta del Nuovo Messico a rimirarsi i piedi.

Erano stretti e dall’inarcatura pronunciata, la pelle fresca e sana fino alla punta delle dita, che erano forti e diritte. Le unghie dei piedi, dal taglio netto, brillavano leggermente di rosa. Susan Melling avrebbe approvato. Susan aveva sempre tenuto in gran conto i piedi: la loro forza, la condizione delle loro ossa e delle vene, la loro generale utilità come barometro dell’invecchiamento. O del non invecchiamento.

Scoppiò a ridere. Piedi. Ricordare Susan, morta da ventitré anni, in termini di piedi. E nemmeno per i piedi di Susan, che sarebbe stata cosa logica, ma per i propri, quelli di Leisha, che risultava ridicolo. In memoriam bipedalis.

Quando aveva cominciato a trovare buffe cose come i piedi? Certamente non quando era giovane, a venti, trenta o cinquant’anni. Tutto era stato molto serio allora, di conseguenze tali da sconvolgere la terra. Non soltanto le cose che avrebbero potuto effettivamente scuotere la terra, ma tutto. Doveva essere stata davvero pesante. Forse i giovani non avevano alcuna possibilità di essere seri senza essere pesanti. Mancava loro l’importantissima dimensione della fisica: il momento torcente. Troppo tempo davanti, troppo poco alle spalle, come un uomo che tentasse di portare orizzontalmente una scala tenendola a un’estremità. Nemmeno un’onorevole passione poteva fornire un buon equilibrio. Mentre ci si muoveva faticosamente a scatti, solo per mantenere il proprio equilibrio, come si sarebbero potute trovare divertenti le cose?

— Per cosa stai ridendo? — chiese Stella, entrando nell’ufficio di Leisha dopo una singola perentoria bussata. — Quel giornalista ti sta aspettando nella sala riunioni.

— Di già?

— È in anticipo. — Stella tirò su col naso; non aveva voluto che Leisha parlasse con alcun giornalista, "Che facciano pure il loro tricentenario senza di noi" aveva detto. "Che cosa c’entriamo noi? Adesso?" Leisha non aveva avuto una risposta, ma aveva accettato di incontrare comunque il giornalista. Stella sapeva essere così poco curiosa. Ma, in fondo, Stella aveva soltanto cinquantadue anni ed era difficile che trovasse divertente qualcosa.

— Annunciagli che sto arrivando — disse Leisha — ma non prima di avere fatto visita ad Alice. Dagli un po’ di caffè o di quello che ti pare. Fagli suonare dai bambini l’assolo di flauto: dovrebbe entusiasmarlo. — Seth ed Eric avevano appena imparato a costruire flauti con le ossa degli animali che recuperavano nel deserto. Stella tirò su col naso ancora una volta e uscì.

Alice si era appena svegliata. Stava seduta sul bordo del letto, mentre l’infermiera le faceva passare la camicia da notte da sopra la testa. Leisha si ritirò subito nel corridoio: Alice odiava che la sorella vedesse il suo corpo nudo. Non rientrò nella stanza finché non udì l’infermiera dire: — Ecco fatto, signora Watrous.