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Erano le tre del mattino, stanco morto ho dormito buttato per terra alla Puerta de Alcalà, vicino al parco del Buen Retiro, in un groviglio di mendicanti.

Mi ha svegliato verso le otto del mattino il traffico di Madrid. Ero solo.

A una guardia civil ho domandato: «Signore, per favore, sa dirmi dove si trova l’ istituto italiano Dante Alighieri?».

Quello: «No comprendo, digame la verdad, ustè habla lappone?».

«Grazie lo stesso» ho risposto.

E lui minaccioso: «Senor, jo soi una guardia civil, es necessario che jo l’ aiuta, no hablo lappone, conoce qualche palabra de armeno?».

«Io parlo solo italiano, abbia pietà.»

«No, debe hablar una lingua viva, no fósil!»

Alla Puerta del Sol mi ha salvato una nana di origine italiana, suor Clementina, che era stata appena accoltellata alla spalla da padre Banderas, che la odiava. Ha detto: «Claro que si, senor, la Dante Alighieri es in Calle Recoleto, 5… Adios» ed è morta sul porfido grigio della piazza.

Dal numero 5 di Calle Recoleto uscivano zaffate di minestra di broccoli assieme alla musica assordante dei Gipsy King.

Ho suonato. All’ interno qualcuno cantava a squarciagola: “Jo no soi Maria Dolores! Jo no soi Maria Dolores!..”.

Ancora una scampanellata.

Si apre una finestrella al primo piano, si sporge la testa di un uomo con un cappello da cuoco, folti baffi neri e un fazzoletto rosso annodato al collo: «Qui es?».

«Mi scusi, signore, è la Dante Alighieri?»

«A chi? No amigo, jo soi Clementino Fraga!»

«Ma scusi, non conosce Dante Alighieri?»

«Jo no save, no conoce. Es un goleadòr del Real Madrid de madre lituana?»

«Ma lei, scusi, cosa fa?»

«Como que fabe? Jo trabaço! Preparo la comida, minestra de broccoli y cotiches!»

«Ma è impiegato qui alla Dante Alighieri?»

«E dai con esto ombre! No conoce Dante! Jo soi a qui a trabacar, no sabe bien porchè ma prendo dinero, mucho dinero da Italia, una nación poco conocida. Ma resto a chi, porche stoi bien!»

«Ma è da solo?»

«Claro que sì. O stoi a qui da siette anos!»

«Scusi, cosa ha fatto in tutto questo tempo?»

«Minestras mui bonitas, siempre con broccoli y cotiches.»

«Ma per chi le fa queste minestre?»

«Por ningùn! Le preparo a la magnana e a los cincos de la tarda le butto da la ventana.»

«Ma lei lo sa che la Dante Alighieri è un istituto per la difesa della lingua italiana?»

«Basta por favor! Ustè es un malado de mente» e scompare.

«Scusi» grido io, «ma non conosce l’ italiano?»

Rieccolo. Ha in testa un cappello da torero e canta “Arriba Espana!”; e poi: «Por carità de dios, no! Ningùn nabla està lingua fossile, jo hable inglese, tedesco y arabo. Italiano no serve a nada! Nada, nada! Ningùn habla italiano nel mundo. Italiano muerto! Muertissimo». E scompare definitivamente.

Disperato, decido di tornare in Italia.

A Plaza de Cibeles mi butto dentro un taxi nero con la banda rossa: «In Italia, veloce!».

Il tassista, che stava dormendo, mette in moto e cappotta in parcheggio! Esco: «Ma che succede?»; e quello, seduto nella macchina capovolta: «Ho ìnterpredado sua lingua del Kasakistan…».

«Chi è il secondo taxi?» urlo.

Uno che dormiva sul bordo della fontana: «Soi mi! Jo soi a qui!».

Arriva di corsa, io gli apro la portiera cortesemente, lui si getta sul taxi mancandolo clamorosamente! Cade violentemente con un sinistro rumore di ossaglia sul marmo verde scuro della fontana. Rimane immobile lamentandosi sommessamente, come un passero andaluso.

«S’è fatto male?» domando io preoccupato.

«Nada, nada, nada! Sólo quatro o ciuco fracturas a las extremidad, maledido turista afgano!»

«Bene, ha indovinato, ma mi porti subito a Roma, a piazza Campitelli, 10.»

«Bueno» risponde, «con mucho gusto, ma guida usted e jo dormo nel sedile posterior, porqué jo soi emboraciado.»

Con l’ aiuto di due carabineros con tricorno lo corichiamo nel baule dell’ auto.

Io mi metto al volante e parto sgommando verso Roma.

Al primo distributore di benzina, a Cadaqués, su un grande cartello c’è scritto: “A qui se habla: inglés, francés, alemanno, bulgaro, armeno, turco, cinese e arabo”. Non mi fermo neppure. Arrivo a Perpignano, in Francia, con gli occhi fiammeggianti e ululando per la fame. Un’insegna, restaurant, e sotto un cartello: “Les chiens sont bienvenues mais non les italiens!”

Faccio un altro chilometro, disperato. Un grande cartello: “Cousine internationaclass="underline" inglès, française, alemagna, espagnola, japponese, congolese, mais jamais la cousine italienne”.

Lungo la costa, fino a Cannes, molti cartelli: “Ici on parle pas italien”, “N’entrès pas, si vous parlèz l’ italien!”.

A Nizza, sulla Promenade des Anglais, di fronte al Casino Ruhl, mi ferma la polizia. Sono in quattro, tre in divisa e uno vestito da maestro elementare: «Décendé monsieur, mains sur la tete!» dice uno che sembra il capo.

Guardano sotto i sedili, e con degli specchi anche sotto la macchina. Aprono il cofano, poi richiudono e dicono: «Ok, messi eur le capitain!». E quello: «Et maintenant l’ exam: monsieur maetre à vous».

Il maestro: «Come si traduce in rumeno e in bulgaro questa frase: “J’ai perdù ma plume dans le jardin de ma tante”?».

Io con le mani dietro la nuca e la testa sul cofano respiro male, ma comincio a fatica, lentamente: «Signori abbiate pietà, io…»; in quel momento si sente, dal cofano, l’ agghiacciante lamento del tassista spagnolo. I poliziotti francesi e il maestro si buttano sulle moto, interrompono l’ esame e partono con gli occhi sbarrati: «Il est un terrorista pachistano!».

A Ventimiglia domando ai doganieri italiani: «Qui da voi gli italiani sono ammessi? E voi, in via eccezionale, parlate l’ italiano?».

Quelli sorridono e mi fanno il gesto di passare, mentre uno fa: «Ormai, qui da noi possono entrare cani e porci».

A Bordighera ho la vista annebbiata dalla fame. Un piccolo parcheggio con la scritta restaurant. Scendo dalla macchina, mi viene incontro una vecchia con un grembiule bianco.

E io: «Ho un piccolo problema…».

E quella: «Nunca problemas por los espagnoles, porqué jo hablo castigliano e compriendo el catalano». Fa una pausa e con un gesto indica il mio taxi, nero con la riga rossa: «El tassista resta serrado nel cofano?».

«Ma come fa a saperlo?»

E quella: «Conosco le abitudini e l’ animo dei tassisti iberici».

Io mormoro: «Gracias».

E la vecchia: «Mi scusi se userò qualche parola italiana, in ogni caso non si preoccupi, niente robaccia, qui solo piatti spagnoli, francesi, marocchini e, su richiesta, turchi. Non voglio correre rischi». Si scopre un gomito: «Guardi qui, vede questa ferita? Una coltellata di un turista svizzero al quale avevo portato, a sorpresa, degli spaghetti al pomodoro».

Alla parola “spaghetti” ho quasi perso i sensi. «Bueno, bueno» ho detto, «ma por mi pode far una ecceziòn? Spaghetti, vero?»

«Nooo! Oggi cucina bulgara: cetrioli con lo yogurt, montone alla piastra con lo yogurt e fragoline bulgare con lo yogurt e, por finir, caffè turco.»

«Bueno» ho detto, «ma al posto del caffè, posso avere una pizza?»

«Desculpame senor, no teniamo veleni a qui.»

Tre ore dopo, passando con il taxi sul ponte sopra il torrente Magra in piena, fermo la macchina e busso timidamente sul baule: «Todo bien?».

E il tassista: «Todo bien, senor».

«Hasta la vista!» ho gridato, e ho spinto l’ automobile in acqua. Quella, subito travolta dalla piena del fiume, è partita veloce verso il mare.

Durante il viaggio in treno per Roma ho capito con gioia che quasi tutti capivano e parlavano l’ italiano. A un avvocato di Pisa ho domandato: «Mi scusi, ma lei parla l’ italiano?».