Sì. Naturalmente. E le nostre sofferenze siano per tre quarti gioia, avrebbe potuto aggiungere. Quale gioia questa mattina. E tutto sta volandosene via da me, tutto sta declinando. Sta andandosene da me uscendo fuori da ogni poro.
Il silenzio sta per incombere sopra di me. Non parlerò più a nessuno dopo che il potere se ne sarà andato. E nessuno parlerà con me.
Io sto qui sul vaso pazientemente orinando il mio potere. Naturalmente provo quel dispiacere per quello che sta succedendo, provo rincrescimento, provo — ma perché cerco di imbrogliare le carte? — provo rabbia e frustrazione e disperazione, ma anche, strano, provo vergogna. Le guance mi bruciano, i miei occhi non vogliono saperne di incontrarsi con altri occhi, mi riesce molto difficile guardare in faccia gli altri mortali per la vergogna di questo fatto, come se qualcosa di prezioso mi fosse stato affidato e avessi fallito nella mia amministrazione. Devo dirlo al mondo intero: ho distrutto le mie risorse, ho scialacquato il mio patrimonio, ho permesso che si dissipasse, fluendo via, fluendo via, adesso sono alla bancarotta, alla bancarotta. Questo, forse, è un tratto di famiglia, questo imbarazzo a tutti che noi siamo gente d’ordine, che teniamo in pugno le nostre anime, e quando qualcosa da fuori ci butta a terra restiamo sconcertati. Mi ricordo quando i miei genitori possedettero per poco tempo una macchina, una Chevrolet verde scuro del 1948 comperata a un qualche prezzo assurdamente basso nel 1950, e noi stavamo addentrandoci a Queens, forse per andare alla tomba di mia nonna, il pellegrinaggio annuale, e una macchina sbucò fuori da un vicolo cieco e ci prese in pieno. Al volante un negro, ubriaco fradicio, partito. Nessun ferito, però il nostro paraurti era restato malamente ritorto e la nostra griglia era rotta e la sbarra a T che distingueva il modello del 1948 pendeva staccata. Benché l’incidente non fosse per niente colpa sua, mio padre arrossì sempre di più, rivelando un imbarazzo da febbricitante, come a chiederne scusa al mondo intero per aver fatto una cosa così insensata come quella: permettere che la propria macchina venisse presa in pieno. Chiedeva scusa anche all’altro il mio paparino dal sorriso amaro! Non è successo niente, non è successo niente, gli incidenti possono capitare, voi vi sentirete sconvolto per questo, ma guardate, stiamo tutti bene! Guarda la mia macchina, guarda la mia macchina, cominciò a urlare l’altro autista, che evidentemente si era reso conto che era cascato sul morbido, e ebbi paura che mio padre si mettesse a dargli i soldi per le riparazioni, mia madre, però, per timore della stessa cosa, lo allontanò. Dopo una settimana lui era ancora imbarazzato; mi infilai nella sua mente mentre stava chiacchierando con un amico e sentii che tentava di far credere che era mia madre a guidare, il che era assurdo — non ha mai avuto la patente — e allora mi sentii imbarazzato al suo posto. Anche Judith, quando il suo matrimonio andò in frantumi, quando venne a trovarsi in una situazione impossibile, manifestò un dolore sproporzionato, per il fatto vergognoso che qualcuno così avveduto e efficiente nella vita come lei, Judith Hannah Selig, aveva potuto cacciarsi in uno schifoso matrimonio conclusosi volgarmente in una sentenza di divorzio. Ego, ego, ego. Io, il magico lettore delle menti, che entravo in un misterioso declino, mi scuso per la mia trascuratezza. Mi perdonerete?
Prendi una lettera immaginaria, Mr. Selig. Schiarisciti la gola. Alla signorina Kitty Holstein, da qualche parte a Ovest, via Tal dei Tali, numero 60, New York City. L’indirizzo lo controlli dopo. Non preoccuparti delle rifiniture.
Cara Kitty,
io so bene che tu non hai sentito parlare di me in tutti questi anni, penso però che questo sia il momento giusto per tentare di riagganciare con te. Sono passati tredici anni e dobbiamo aver raggiunto, tutti e due, una certa maturità, cicatrizzando te vecchie ferite e rendendo possibile la comunicazione. Nonostante tutte le asprezze che possono essere esistite in passato tra noi, io non ho mai perso quel senso di tenerezza verso di te, e tu resti luminosa nella mia mente.
A proposito della mia mente, c’è qualcosa che ti devo dire. Non funziona più molto bene. Mi riferisco alle attività mentali, il trucchetto di leggere nel pensiero, che, naturalmente, non avrei potuto mai usare con te, ma che ha definito e configurato il mio atteggiamento verso chiunque altro al mondo. Questo potere sembra che stia andandosene, adesso. Ci ha procurate tante afflizioni, ricordi? In definitiva è stato quello a dividerci, come ho cercato di spiegarti nella mia ultima lettera, l’unica, a cui non hai mai risposto. Un altro anno o roba del genere — chi lo può sapere? sei mesi, un mese, una settimana? — e se ne sarà andato completamente e io non sarò altro che un uomo come tutti gli altri, come te. Non sarò più un’anomalia. Forse allora avremo una possibilità di riprendere la nostra relazione, che si interruppe nel 1963, e di ristabilirla su un piano più realistico.
Lo so che allora ho fatto delle stupidaggini. Ti ho cacciato via spietatamente. Ho rifiutato di accettarti com’eri, e ho tentato di far di te qualcos’altro, qualcosa di anormale, in concreto, qualcosa che mi assomigliasse. In teoria avevo delle buone ragioni per comportarmi in quel modo, almeno così pensavo allora; ma, naturalmente, erano sbagliate, e io non me ne accorsi prima che fosse troppo tardi. A te probabilmente apparivo tiranneggiante, prepotente, dittatoriale, io, proprio io che rinuncio anche a quello cui ho diritto! E tutto perché cercavo di farti cambiare. E ho finito per annoiarti. Naturalmente tu allora eri molto giovane, tu eri — devo dirlo? — superficiale, disinformata, e mi resistevi. Ma adesso che siamo entrambi adulti, potremmo riprovare.
Faccio molta fatica a immaginarmi come sarà la mia vita di essere umano normale, incapace di entrare nelle menti. Proprio adesso sono alla ricerca, con pochi risultati, di una definizione di me stesso, di una struttura. Sto pensando seriamente di entrare a far parte della Chiesa Cattolica Romana. (Dio buono, ma è vero? È la prima volta che ci penso! Il puzzo dell’incenso, il borbottio dei preti, è questo che sto cercando?) O, forse, della Chiesa Episcopale, non so. E, per di più, ho bisogno di innamorarmi di nuovo. Ho bisogno di essere parte di qualcun altro. Ho già cominciato a tentoni, cercando timidamente di riagganciare con mia sorella Judith, dopo un’intera vita di guerra; per la prima volta stiamo cominciando a parlare tra noi, e questo per me è incoraggiante. Però io ho bisogno di qualcosa di più: una donna da amare, non dico sessualmente ma globalmente. Effettivamente io ho avuto questo soltanto due volte nella mia vita, una volta con te, un’altra volta circa cinque anni dopo con una ragazza che si chiamava Toni, che non ti assomigliava granché e ambedue le volte il mio potere ha rovinato tutto; la prima volta me n’ero servito per avvicinarmi troppo, la seconda volta invece non me ne sono servito per avvicinarmi quanto era necessario. Dal momento che il potere mi sfugge via, dal momento che sta morendo, può darsi che finalmente ci sia la possibilità di un normale rapporto tra noi del tipo che hanno ordinariamente tutti gli esseri umani in tutti i tempi. Perché io sarò ordinario. Perché io sarò completamente ordinario.