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Vorrei sapere di te. Adesso hai 35 anni, penso. Mi sembra tanto, anche se io ne ho 41 (41 non mi sembrano tanti, in un certo qual modo!). Penso ancora a te come se tu avessi sempre 22 anni. E tu mi sembri anche più giovane: allegra, aperta, ingenua. Naturalmente questa era la mia immagine fantastica di te; non avevo niente a cui ricorrere che non fossero le apparenze, non avrei mai potuto ricorrere al mio solito trucco con la tua psiche, e cosi costruii una Kitty che probabilmente non era per niente la Kitty reale. Ad ogni modo, tu hai 35 anni. Immagino che ne dimostri molto meno. Ti sei sposata? È naturale che tu l’abbia fatto. Un matrimonio felice? Un mucchio di frugoletti? Sei ancora sposata? Come si chiama tuo marito, dunque, dove abiti, come posso trovarti? Se sei sposata, riuscirai a incontrarti con me in qualche modo? In un certo senso non penso che tu sia stata una moglie completamente fedele — questo ti offende? — e perciò deve esserci un posticino per me, nella tua vita, come amico, e anche come amante. Hai visto ancora Tom Nyquist? Hai continuato a lungo a vederlo, dopo che abbiamo rotto? Eri amareggiata contro di me per le cose che ho detto di lui in quella lettera? Se il tuo matrimonio è andato in frantumi, o se per qualche ragione non sei mai stata sposata, adesso saresti disposta a vivere con me? Non come moglie, non ancora, ma soltanto come amica. Per aiutarmi a uscir fuori dalle ultime fasi di quello che mi sta succedendo? Ho un assoluto bisogno di essere aiutato. Ho bisogno di essere amato. Lo so! È una maniera schifosa di fare una proposta, prendi soltanto l’offerta, cioè, quel dirti: aiutami, confortami, sta con me. Avrei preferito conquistarti nella forza, piuttosto che nella debolezza. Ma, purtroppo, adesso sono debole. C’è questo universo di silenzio che sta accumulandosi nella mia testa, espandendosi, espandendosi, riempiendo tutto il mio cranio, creando questo enorme spazio vuoto. Sto vivendo un lento sgocciolio della realtà. Riesco soltanto a vedere il bordo delle cose, non la loro essenza; e adesso anche i contorni si fanno indistinti. Oh, Cristo. Kitty, ho bisogno di te. Kitty come ti troverò? Kitty, ti ho appena conosciuto. Kitty Kitty Kitty.

Dlang. La corta lamentosa. Dling. La cordicella tesa al limite di rottura. Dlong. La lira scordata. Dlang. Dling. Dlong.

Cari figli di Dio, oggi il mio sermone sarà brevissimo. Voglio soltanto che voi ponderiate e meditiate il profondo significato e mistero di alcune righe che intendo estrarre dal santo Tom Eliot, una guida su cui meditare in tempi di turbamento. Miei diletti, oriento la vostra attenzione sui suoi Quattro Quartetti, a quella sua riga paradossale, «Nel mio principio sta la mia fine», che egli, qualche pagina più avanti sviluppa con il commento: «Quello che noi chiamiamo principio spesso è la fine / E il porre fine è un dare inizio». Alcuni di noi proprio adesso sono alla fine, figlioli; il che vuoi dire che alcuni aspetti della loro vita, una volta centrali per loro, stanno trascinandosi verso la fine. Si tratta di una fine o di un principio? È possibile che la fine di una cosa non sia il principio di un’altra? Io penso che sia così, carissimi. Ritengo che chiudere una porta non precluda la possibilità di aprirne un’altra. Naturalmente ci vuole coraggio per passare attraverso questa nuova porta quando non sappiamo affatto che cosa ci sia dietro, ma chi ha fede in Nostro Signore che è morto per noi, chi crede completamente in Lui che è venuto per la salvezza dell’uomo, non può aver paura. Le nostre vite sono pellegrinaggi verso di Lui. Noi possiamo morire ogni giorno di tante piccole morti, però siamo rigenerati da morte a morte, finché finalmente andiamo negli oscuri, vacui spazi interstellari dove Egli ci attende; e perché mai noi dovremmo aver paura, se Egli è là? E finché non arriva quel tempo, viviamo le nostre vite senza dare spazio alla tentazione di rattristarci per noi stessi. Ricordatevi sempre che il mondo è ancora pieno di meraviglie, che ci sono sempre nuove ricerche, che quelle che possono sembrare delle fini non sono fini sul serio, ma soltanto passaggi, stazioni lungo il cammino. Perché dovremmo lamentarci? Perché dovremmo abbandonarci al dolore, anche se le nostre vite sono una quotidiana sconfitta? Se noi perdiamo questo, perdiamo anche quello? Se arriva il sospiro, arriva anche l’amore? Se il sentimento illanguidisce, perché non possiamo ritornare ai vecchi sentimenti e prendere conforto da quelli? Tante delle nostre sofferenze sono soltanto confusione.

State dunque in una buona disposizione di spirito in questo giorno di Nostro Signore, carissimi, e non disponete trappole in cui potreste cadere voi stessi, e neppure concedetevi indulgenti peccati di miseria; non fate nessuna falsa distinzione tra inizio e fine, andate invece avanti, anche se a tentoni, verso nuove estasi, verso nuove comunioni, verso nuovi mondi, e non lasciate spazio nelle vostre anime alla paura, ma conservatevi nella Pace di Cristo e aspettate quello che deve venire. Nel Nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo. Amen.

Adesso arriva un oscuro equinozio fuori stagione. La luna sbiancata brilla come uno spregevole vecchio teschio. Le foglie avvizziscono e cadono. Le fiamme si estinguono. La colomba, affaticata, vola rasente terra. L’oscurità si allarga. Tutto viene soffiato via. Il sangue purpureo trema nelle vene che si restringono; il freddo si insinua nel cuore sotto sforzo; l’anima deperisce; persino dei piedi non ci si può più fidare. Le parole vengono meno. Le nostre guide ammettono che ci siamo perduti. Quello che un tempo era solido si è fatto trasparente. Le cose passano, i colori sbiadiscono. Questo è un tempo di grigio, e io ho paura che sarà ancora più grigio, uno di questi giorni. La casa occupata solo da pensieri di un cervello inaridito in una stagione inaridita.

18

Quando Toni sloggiò dal mio appartamento sulla 114a io aspettai due giorni senza fare niente. Avevo supposto che sarebbe tornata indietro una volta che si fosse calmata; mi ero immaginato che avrebbe telefonato, tutta pentita, dalla casa di qualche amico dicendo che le spiaceva di essersi lasciata prendere dal panico e che potevo andarle incontro con un tassi. Per di più, in quei giorni io non ero in grado di prendere nessuna iniziativa, perché ero ancora sotto l’effetto dei postumi di quel mio viaggio vicario; mi sentivo come se qualcuno mi avesse spaccato la testa e poi me l’avesse ricucita, tirandomi il collo quasi fosse un elastico e alla fine lasciandolo andare al posto di colpo con un secco toc! doloroso. Passai quei due giorni a letto, per lo più sonnecchiando, ogni tanto leggendo, e precipitandomi come un matto in corridoio tutte le volte che il telefono suonava.