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Per gli altri tre fu più difficile. L'alibi di Hunt era sua moglie, quello di Mark era Mel. Damien viveva a Rathfarnham con sua madre, vedova, che era andata a letto presto ma era certa che non sarebbe potuto uscire di casa senza svegliarla. Questi sono gli alibi che i detective detestano, deboli ma inamovibili, di quelli che possono mandare a puttane un caso. Potrei raccontarvi di una decina di casi in cui sapevamo esattamente chi era stato, com'era andata e quando era successo, ma non potevamo fare nulla perché la mamma del tizio giurava che era rimasto tutto il tempo sdraiato sul divano a guardare la televisione.

«Va bene» disse O'Kelly in sala operativa, dopo che avevamo raccolto la deposizione di Sean e dopo averlo rispedito a casa. Mi aveva perdonato per il tradimento e offerto un cinque di commiato. Aveva voluto anche sapere se poteva vendere la storia ai giornali e io gli avevo risposto che in quel caso sarei andato personalmente a cercare droga a casa sua ogni sera, fino a quando non avesse compiuto trent'anni. «Carta che vince, carta che perde, fate il vostro gioco ragazzi, chi prendiamo?» Era tornato di buon umore adesso che il sospettato era in una delle stanze degli interrogatori, anche se non sapevamo con certezza chi fosse.

«Damien» rispose Cassie. «Corrisponde perfettamente al profilo.»

«Mark ha ammesso di essere stato sulla scena del crimine» obiettai io, «ed è l'unico che potrebbe avere uno straccio di movente.»

«Per quello che ne sappiamo adesso.» Sapevo cosa intendeva dire, o almeno pensavo di saperlo, ma non volevo tirare in ballo la faccenda dell'omicidio su commissione, non davanti a O'Kelly o a Sam. «E non riesco proprio a immaginarlo mentre lo fa.»

«Io invece ci riesco.»

Cassie alzò gli occhi al cielo e io trovai la cosa quasi confortante: una piccola parte di me aveva temuto un qualche diverso tipo di reazione.

«O'Neill?» chiese O'Kelly.

«Damien» disse Sam. «Ho portato a tutti una tazza di tè e lui è stato l'unico a prenderla con la sinistra».

Dopo un attimo di sorpresa, io e Cassie ci mettemmo a ridere. La battuta era per noi. Mi ero quasi completamente dimenticato della faccenda del mancino, ma ci prese una tremenda ridarella e, come dei ragazzini sul bus delle gite scolastiche, non riuscivamo a smettere. Sam sorrise e si strinse nelle spalle, contento della reazione. «Non so proprio che cosa abbiate da sghignazzare, voi due» disse burbero O'Kelly, ma si vedeva che anche a lui scappava da ridere. «Avreste dovuto accorgervene, con tutte quelle chiacchiere sui profili…» Ma continuai a ridere, rosso in viso, con gli occhi che mi lacrimavano. Dovetti mordermi il labbro per fermarmi.

«Oddio, Sam» disse Cassie, facendo un respiro profondo. «Come faremmo senza di te?»

«Basta con gli scherzi» ci redarguì O'Kelly. «Voi due occupatevi di Damien Donnelly. O'Neill, tu manda Sweeney e un altro da Hanly, e io troverò qualcuno che parli con Hunt e il testimone per l'alibi. E Ryan, Maddox e O'Neilclass="underline" vogliamo una confessione. Cercate di non fare casino. Su, su, andale andale!» Si ritrasse con la sedia, con uno stridio da spaccare le orecchie, e se ne andò.

«Andale?» ripeté Cassie, pericolosamente vicina a un altro attacco di ridarella.

«Bravi, ragazzi» disse Sam. Ci tese la mano. La sua stretta era forte e calda. «Buona fortuna.»

«Se per caso è stato Andrews a ingaggiare uno di loro» dissi, quando Sam se ne andò per cercare Sweeney e Cassie e io restammo soli nella sala operativa, «sarà il casino del secolo.»

Cassie inarcò un sopracciglio ma non aggiunse altro. Finì il caffè. La giornata si preannunciava lunga e avevamo fatto tutti il pieno di caffeina.

«Come vuoi procedere adesso?» chiesi.

«Guida tu. Lui pensa alle donne unicamente come a una fonte di simpatia e approvazione. Gli darò una pacca sulla spalla di tanto in tanto. Si sente minacciato dagli uomini, quindi vacci piano. Se sei troppo duro si irrigidirà e vorrà andarsene. Prendi tempo, portalo piano piano verso la consapevolezza. L'ho visto insicuro fin dall'inizio.» Era la cosa più vicina a un "te l'avevo detto io" che avrebbe potuto dire. «E sono certa che abbia l'inferno dentro. Se facciamo appello alla sua coscienza prima o poi crollerà, è solo questione di tempo.»

«D'accordo» dissi, «faremo così.» Ci lisciammo gli abiti, ci aggiustammo i capelli e ci avviammo, spalla a spalla, lungo il corridoio delle stanze degli interrogatori.

Fu l'ultima volta che lavorammo insieme. Vorrei tanto farvi capire che un interrogatorio può avere una sua bellezza, fulgida e crudele come quella di una corrida. Può mostrarvi come possa, nonostante i delitti più atroci o il sospettato più idiota, mantenere inviolata una sua grazia irresistibile, ed eccitante un suo ritmo. Può rivelarvi il modo in cui due detective si conoscono, come l'uno segua alla perfezione il pensiero dell'altro, alla stregua di due ballerini che danzano da una vita un pas de deux. Non saprò mai se io o Cassie fossimo dei grandi detective, anche se ho il sospetto di no, ma una cosa la so: insieme eravamo una coppia epica, di quelle cantate dai bardi e che vanno a finire sui libri di storia. Quella fu la nostra ultima danza, la migliore, ballata in una piccola stanza degli interrogatori, con il buio fuori e la pioggia che cadeva dolce e instancabile sul tetto, senza altro pubblico che i condannati e i morti.

Damien se ne stava raggomitolato sulla sedia, spalle rigide, ignorando la tazza di tè ancora fumante sul tavolo. Quando gli lessi i suoi diritti mi guardò come se parlassi urdu.

Il mese che era trascorso dalla morte di Katy non era stato buono con lui. Indossava un paio di pantaloni color kaki e un vecchio maglione grigio sformato. Si vedeva che era dimagrito e la cosa lo faceva sembrare un ragazzo di strada, anche più basso di quanto non fosse in realtà. Il suo fascino da componente di una boy-band iniziava a mostrare un po' la corda: borse violacee sotto gli occhi, un solco verticale che si andava formando tra le sopracciglia. Il fiore della giovinezza, che sarebbe dovuto durare per lui ancora qualche anno, stava appassendo in fretta. Quel cambiamento non mi era parso tanto evidente allo scavo, ma adesso lo notavo e mi fece riflettere.

Cominciammo con domande facili, cose senza implicazioni alle quali poteva rispondere senza doversene preoccupare. Era di Rathfarnham, vero? Studiava al Trinity? Aveva appena finito il secondo anno? Com'erano andati gli esami? Damien rispondeva a monosillabi e intanto si attorcigliava il bordo del maglione attorno al pollice. Ovviamente, moriva dalla voglia di sapere perché glielo chiedevamo, ma aveva anche paura di scoprirlo. Cassie portò gradatamente la conversazione sull'archeologia e lui piano piano si rilassò. Smise di tormentare il maglione e bevve il suo tè, rispondendo con frasi di senso compiuto. I due intavolarono tutta una lunga e serena conversazione sui vari reperti che avevano trovato allo scavo. Li lasciai fare per almeno venti minuti prima di intervenire. Sfoderai il mio sorriso più tollerante. «Mi spiace interrompervi, ragazzi, ma sarebbe meglio tornare a parlare di quello che ci interessa, altrimenti mi sa che finiamo nei guai tutti e tre.»

«Ma dai, Ryan, un minuto» implorò Cassie. «Non ho mai visto un fermamantello. Com'è fatto?»

«Pare che lo esporranno al Museo nazionale» aggiunse Damien, arrossendo di orgoglio. «È piuttosto grande, di bronzo, e sopra c'è un disegno…» Fece dei ghirigori con un dito, forse per indicare il motivo inciso.

«Dai, me lo disegni?» chiese Cassie, facendo scivolare verso di lui il suo taccuino e la penna. Damien disegnò, obbediente, con la fronte aggrottata per la concentrazione.

«Una cosa tipo questa» disse, restituendo il taccuino a Cassie. «Non sono bravo a disegnare.»