«Wow» disse Cassie con ammirazione. «E sei stato proprio tu a trovarlo? Se avessi trovato io una cosa così mi sarebbe venuto un colpo, un attacco di cuore o che so io.»
Lanciai un'occhiata da sopra la sua spalla: era un ampio cerchio con quello che sembrava uno spillone fissato al centro, sul retro, decorato con linee curve, fluide ed equilibrate. «Bello» dissi. Damien era senza dubbio mancino, con mani che sembravano ancora troppo grandi per il suo corpo, come le zampe di un cucciolo.
«Hunt è fuori» disse O'Kelly, nel corridoio. «Nella deposizione sostiene di aver cenato e poi guardato la televisione con sua moglie tutta la sera di lunedì fino a quando non è andato a letto, alle undici. Hanno guardato quei documentari del cazzo, una roba pallosa sulle manguste e poi uno su Riccardo III. Ci ha raccontato tutti i dettagli, che lo volessimo o no. La moglie dice la stessa cosa, e la guida TV conferma. Il vicino poi ha un cane, una di quelle merdine che abbaiano tutta la notte. Ha sentito Hunt che gli gridava di smetterla, affacciato alla finestra, all'una di notte. Perché poi non abbia detto lui stesso al suo cane di smetterla… Dice che è sicuro del giorno perché è stato quando gli hanno montato il rivestimento nuovo di legno e il cane si è innervosito per via degli operai. Adesso lo mando a casa, Einstein, prima che mi rincoglionisca del tutto. È stata una gara dura, ragazzi.»
«Come se la sta cavando Sam con Mark?» chiesi.
«Niente di fatto. Hardy è indisponente come pochi. Si ostina con la storia della notte di scopate e la sua ragazza conferma. Se anche fingono, non mi pare che possano smentirsi a breve. E non è mancino. Il vostro?»
«Il nostro sì» disse Cassie.
«Quindi direi che per adesso è il favorito. Ma non credo basterà. Ho parlato con Cooper…» Il viso di O'Kelly si contorse in una smorfia di disgusto. «Posizione della vittima, posizione dell'assalitore, calcolo delle probabilità… c'è più merda che in un letamaio, ma alla fin fine pensa che il nostro uomo sia mancino, anche se non lo può confermare al cento per cento. Fa come i politici. E Donnelly, che dice?»
«È nervoso» dissi io.
O'Kelly diede uno schiaffo alla porta della stanza degli interrogatori. «Bene. E voi non lasciate che si calmi.»
Tornammo dentro e ci mettemmo d'impegno. «Va bene ragazzi» dissi, prendendo una sedia. «Adesso dobbiamo andare al sodo. Parliamo di Katy Devlin.»
Damien annuì, serio, ma lo vidi irrigidirsi. Sorseggiò il tè, anche se ormai doveva essere freddo.
«Quand'è stato che l'hai vista, la prima volta?»
«Credo che fossi a tre quarti della collina, e stavo salendo. Comunque ero più in alto del cottage e delle baracche. È stato per l'inclinazione del pendio…»
«No» disse Cassie, «non il giorno in cui hai trovato il cadavere. Prima.»
«Prima?» Damien sbatté le palpebre, prese un altro sorso di tè. «No… io non… non l'avevo mai vista. Mai incontrata prima di allora… di quel giorno.»
«Non l'avevi mai vista prima?» Il tono di Cassie non era cambiato, ma avevo immediatamente percepito in lei l'immobilità del predatore che osserva la sua prossima preda. «Ne sei certo? Pensaci bene, Damien.»
Lui scosse la testa con decisione. «No. Lo giuro. Non l'avevo mai vista prima in tutta la mia vita.»
Ci fu un attimo di silenzio. Rivolsi a Damien quella che speravo sembrasse un'occhiata di scarso interesse, ma la testa mi girava.
Avevo puntato su Mark colpevole non solo per spirito di contraddizione, come potreste pensare, né perché qualcosa in lui mi irritava, senza voler per forza spiegare cosa. Credo fosse perché tutto sommato, date le opzioni possibili, preferivo che fosse lui. Non avevo mai preso sul serio Damien né come uomo, né come testimone e certamente ancora meno come sospettato. Era solo un tremendo imbranato, tutto riccioli e balbettii e vulnerabilità, uno che si poteva spazzar via come un soffione. Soltanto pensare che tutto un mese passato come l'avevamo passato potesse aver avuto origine da uno come lui mi appariva scandaloso. Mark invece, qualunque cosa pensassi io di lui e lui di me, era un avversario e un obiettivo che valeva la pena di incastrare.
Ma Damien aveva sicuramente detto una bugia priva di senso. Le figlie dei Devlin erano state spessissimo allo scavo, quell'estate, ed era difficile non averle notate. Tutti gli altri archeologi si ricordavano di loro. Perfino Mel, che era rimasta a debita distanza dal cadavere, l'aveva riconosciuta immediatamente. E Damien, che accompagnava spesso i visitatori, era quello che probabilmente aveva avuto più occasioni di parlare con Katy, passare del tempo con lei. Si era chinato sul suo cadavere, in teoria per vedere se respirava ancora, e anche quel gesto, me ne rendevo conto solo adesso, anche quell'insolito coraggio era fuori dal personaggio. Non aveva nessuna ragione al mondo per negare di averla vista prima, a meno che non stesse goffamente cercando di evitare una trappola che non avevamo mai preparato. A meno che il pensiero di essere legato a lei in qualche modo non lo spaventasse a tal punto da impedirgli di ragionare lucidamente.
«Okay» disse Cassie. «E suo padre, Jonathan Devlin? Tu fai parte di "Spostiamo l'autostrada"?» Damien ingollò un grosso sorso di tè ormai gelato e annuì di nuovo. Abbandonammo con destrezza l'argomento prima che avesse modo di rendersi conto di quello che aveva detto.
Alle tre, Cassie, Sam e io andammo a prendere delle pizze. Mark iniziava a rompere le scatole, diceva che aveva fame, e noi volevamo che sia lui sia Damien si sentissero a loro agio. Nessuno dei due era in arresto, potevano decidere di andarsene dalla centrale in qualsiasi momento e non avremmo potuto fare niente per fermarli. Stavamo giocando, come facciamo spesso, sull'elementare desiderio umano di compiacere l'autorità, di fare i bravi. Anche se ero certo che questo sarebbe bastato a tenere Damien nella stanza degli interrogatori in eterno, non nutrivo la medesima certezza con Mark.
«Come va con Donnelly?» mi chiese Sam, in pizzeria. Cassie era al bancone, ci si era appoggiata e stava scherzando con il ragazzo che aveva preso la nostra ordinazione.
Mi strinsi nelle spalle. «Difficile dirlo. E con Mark?»
«Un incubo. Dice che ha passato sei mesi a farsi il culo per "Spostiamo l'autostrada", perché avrebbe dovuto rischiare di mandare tutto a puttane uccidendo la figlia del presidente? Sostiene che sia tutta una faccenda politica…» Sam fece una smorfia. «Ma Donnelly» riprese, non guardando me ma Cassie che ci dava la schiena. «Se è il nostro uomo, cosa avrebbe… insomma, quale sarebbe il movente?»
«Per adesso non abbiamo trovato niente» dissi. Non volevo ancora rivelare nulla.
«Se salta fuori qualcosa…» Sam si ficcò le mani nelle tasche dei pantaloni. «… qualcosa che pensi io possa voler sapere… mi chiami?»
«Sì» promisi. Non avevo mangiato nulla in tutto il giorno, ma era l'ultima cosa che desideravo fare in quel momento. Volevo solo tornare da Damien e sembrava ci volessero ore per quelle pizze. «Certo.»
Damien prese una lattina di 7-Up ma rifiutò la pizza. Non aveva fame. «Davvero?» chiese Cassie, cercando di raccogliere con le mani la mozzarella che filava. «Dio, quando ero studentessa non avrei mai saputo dire di no a qualcuno che mi offriva una pizza.»
«Tu non rifiuti il cibo in nessuna circostanza» le dissi. «Sei un aspirapolvere umano.» Cassie, con la bocca troppo piena per rispondere, annuì allegra e fece il gesto del pollice in alto. «Dai, avanti, Damien, prendine un pezzo. Devi mantenerti in forze, vedrai che ci toccherà stare qui ancora per un po'.»
Spalancò gli occhi. Gli porsi uno spicchio e quando lui scosse la testa feci un'alzata di spalle e lo mangiai io. «Okay, parliamo di Mark Hardy. Che tipo è?»
Damien sbatté le palpebre. «Mark? Mah, è un tipo a posto. È un po' rigido ma, insomma, è giusto così. Non abbiamo molto tempo.»
«Lo hai mai visto diventare violento? Perdere le staffe?» Agitai una mano verso Cassie e lei mi lanciò un tovagliolo di carta.