«Okay» dissi. «D'accordo. Voglio farti vedere una cosa, Damien.» Sfogliai con aria seria il dossier che avevo davanti. Gli occhi di Damien seguivano la mia mano, apprensivi. Tirai fuori una serie di fotografie e gliele misi davanti, a una a una, guardandole prima di appoggiarle, facendolo aspettare un po' ogni volta.
«Katy e le sue sorelle, Natale dell'anno scorso» dissi. Albero di Natale finto addobbato con lucine rosse e verdi. Rosalind nel mezzo, con un vestito di velluto blu. Rivolgeva un sorriso sbarazzino alla macchina fotografica e circondava con le braccia le gemelle. Katy rideva e si indicava la giacca bianca di finto montone che aveva addosso; Jessica, con un sorriso più incerto, quella che aveva lei, simile ma di colore beige, riflesso di uno specchio crudele e inquietante. Inconsciamente, Damien ricambiò il sorriso della foto.
«Katy a un picnic di famiglia, due mesi fa.» Istantanea con prato verde e panini.
«Sembra felice, no?» domandò Cassie, seduta accanto a me. «Stava per partire per la scuola di ballo, stava per cominciare una nuova vita… è bello sapere che era felice prima che…»
Una delle Polaroid della scena del delitto: un'immagine a figura intera di lei rannicchiata sulla pietra cerimoniale. «Katy subito dopo il ritrovamento. Te ne ricordi?» Damien si agitò sulla sedia e, accortosi, si immobilizzò immediatamente.
Un'altra foto della scena del delitto, un primo piano: sangue rappreso sul naso e sulla bocca, un occhio semiaperto. «Ancora Katy, dove l'aveva messa il suo assassino.»
Una foto del cadavere. «Katy, il giorno dopo». Damien smise di respirare. Avevamo scelto la foto più crudele che avevamo: la faccia era ripiegata su se stessa perché fosse visibile il teschio. Una mano guantata teneva un righello di metallo vicino alla frattura sopra l'orecchio. Ciocche di capelli e frammenti di osso.
«Non è facile da guardare, vero?» disse Cassie, quasi parlando tra sé. Passò le dita sulle foto, sul primo piano della scena del delitto, accarezzando la curva della guancia di Katy. Sollevò lo sguardo su Damien.
«Già» mormorò lui.
«Vedi» dissi, appoggiandomi allo schienale della sedia e tamburellando sulla foto del cadavere, «per me solo un pazzo criminale poteva fare una cosa simile a una ragazzina. Un animale senza coscienza che si eccita all'idea di fare del male alla persona più indifesa che riesce a trovare. Ma io sono solo un detective. La mia collega Maddox, invece, è un detective che ha studiato psicologia. Sai cos'è un profiler, Damien?»
Scosse impercettibilmente la testa. Aveva gli occhi ancora inchiodati alle fotografie, ma non dava l'impressione di vederle.
«È una persona che studia quale tipo di individuo può commettere quale crimine e dice alla polizia chi cercare. Il detective Maddox è il nostro profiler e ha una sua teoria sulla persona che ha commesso questo omicidio.»
«Damien» intervenne Cassie, «voglio rivelarti una cosa. L'ho detto subito, fin dal primo giorno, che questa cosa era stata commessa da qualcuno che non aveva intenzione di commetterla. Una persona che non è violenta, non è un assassino, non si è divertito a farle del male. Qualcuno che l'ha fatto perché doveva farlo. Non aveva altra scelta. L'ho detto fin dal primo momento e lo confermo.»
«È vero, è così» dissi. «Tutti le dicevamo che era fuori di testa, ma lei non ha mai mollato: per lei non era un pazzo, né un serial killer e nemmeno un violentatore di bambini.» Damien trasalì, un rapido guizzo del mento. «Tu cosa pensi, Damien? Bisogna essere un bastardo malato per fare una cosa del genere, o pensi che possa succedere anche a una persona normale che non vorrebbe fare del male a nessuno?»
Tentò una scrollata di spalle, ma era troppo teso e il risultato fu uno spasmo grottesco. Mi alzai e girai intorno al tavolo, lentamente, per appoggiarmi alla parete dietro di lui. «Be', non potremo mai essere sicuri che sia l'una o l'altra cosa, a meno che non sia lui a dircelo. Ma immaginiamo per un momento che il detective Maddox abbia visto giusto. Dopotutto, ha studiato psicologia. Ammettiamo che abbia ragione. Diciamo che il colpevole non è un tipo violento, che non è un assassino per temperamento. Ma è successo.»
Damien, che aveva trattenuto il respiro, lo fece uscire e respirò di nuovo, con un lieve spasmo.
«Ne ho incontrata di gente così. Sai cosa gli succede, poi? Schiantano di botto, Damien. Non riescono a convivere con se stessi. L'abbiamo visto succedere un mare di volte.»
«E non è un bello spettacolo» aggiunse Cassie. «Sappiamo quello che è successo, e anche lui sa che lo sappiamo, ma ha paura di confessare. Crede che andare in galera sia la cosa peggiore che gli può capitare. Dio, come si sbaglia. Ogni giorno, per il resto della vita, si sveglierà la mattina e questa cosa gli precipiterà addosso come se fosse successa il giorno prima. La notte avrà paura di addormentarsi per gli incubi. Continuerà a pensare che andrà meglio, ma non succederà.»
«E prima o poi» dissi, da dietro, «crolla e passa gli ultimi anni in una cella imbottita, in pigiama e pieno di calmanti fino agli occhi. Oppure una sera lega una corda a una ringhiera e s'impicca. Accade più spesso di quanto tu creda, Damien, di non riuscire ad affrontare neanche un altro giorno.»
Tutte balle, ovviamente. Delle decine di assassini mai condannati che potrei nominarvi soltanto uno si è ucciso, e aveva un passato di malattia mentale mai curata, tanto per cominciare. Gli altri vivono più o meno esattamente come prima, vanno al lavoro e poi al pub, portano i figli allo zoo, e se di tanto in tanto hanno un ripensamento lo tengono per sé. Gli esseri umani, come so bene io più di altri, si abituano a tutto. Con il tempo, anche l'impensabile si ricava un piccolo spazio nella mente e diventa semplicemente un fatto accaduto. Ma Katy era morta soltanto da un mese e Damien questa cosa non aveva ancora avuto il tempo di capirla. Era rigido sulla sedia, con lo sguardo abbassato sulla lattina di 7-Up e il respiro faticoso.
«Sai chi sopravvive, Damien?» chiese Cassie. Si chinò sul tavolo e posò la punta delle dita sul suo braccio. «Quelli che confessano. Quelli che scontano la pena. Sette anni dopo, o quello che è, è finita. Escono di galera e possono ricominciare. Non sono più costretti a rivedere il viso della loro vittima ogni giorno, anche quando hanno gli occhi chiusi. Non passano ogni attimo della loro vita nel terrore che possa essere quello il giorno in cui verranno presi. Non devono sobbalzare dalla paura ogni volta che vedono un agente o sentono bussare alla porta. Credimi, alla lunga sono loro quelli che se la cavano.»
Damien stringeva la lattina così forte che questa, con un crac, alla fine cedette. Sobbalzammo tutti.
«Damien» chiesi, a voce molto bassa, «ti sembra di riconoscere le sensazioni di cui parlo?»
Ed eccolo, quello sciogliersi alla base del collo, quell'ondeggiare della testa quando la spina dorsale si piega. Dopo un tempo che parve infinito, Damien annuì, quasi impercettibilmente.
«Vuoi vivere così per il resto della tua vita?»
Mosse la testa, a scatti irregolari, da un lato all'altro.
Cassie gli dette un'ultima piccola pacca sul braccio e tolse la mano. Non doveva esserci nulla che potesse somigliare a coercizione. «Non volevi uccidere Katy, vero?» gli domandò. Dolce, dolcissima, la voce che cadeva nella stanza soffice come neve. «È successo.»
«Sì» sussurrò. Fu quasi solo un sospiro, ma lo sentii. Ero così concentrato che avrei sentito battere il suo cuore. «È successo.»
Per un attimo, la stanza parve piegarsi su se stessa, come se un'esplosione troppo grande per essere sentita avesse risucchiato tutta l'aria. Nessuno riusciva a muoversi. Le mani di Damien diventarono molli e abbandonarono la presa sulla lattina che cadde sul tavolo con un rumore sordo, traballò brevemente e giacque immobile. La luce della lampadina striava i suoi riccioli dandogli una sfumatura bronzo pallido. La stanza respirò di nuovo. Un respiro lento, profondo, pieno.