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«E allora cos'hai fatto?»

«C'erano dei… dei sacchetti di plastica, sulle mensole. Per i reperti. Allora ne ho preso uno e… e gliel'ho messo sulla testa e l'ho tenuto chiuso fino a quando…»

«Fino a quando, cosa?» chiesi.

«Fino a quando non ha smesso di respirare» disse Damien alla fine, pianissimo.

Ci fu un lungo silenzio, rotto solo dal vento che fischiava nel condotto dell'aerazione e dal rumore della pioggia.

«E poi?»

«Poi…» La testa di Damien vacillò leggermente. Lo sguardo era quello di un cieco. «Poi l'ho presa in braccio. Non la potevo lasciare nel capanno degli attrezzi, altrimenti gli altri se ne sarebbero accorti. Volevo portarla fuori, nel sito. Era… c'era sangue dappertutto, credo per via dei colpi che le avevo dato. Le ho lasciato in testa il sacchetto di plastica perché non perdesse altro sangue. Ma quando sono andato verso il sito c'era una luce. Tipo un fuoco, o qualcosa del genere. C'era qualcuno. Mi sono spaventato. Ero così spaventato che non riuscivo quasi a stare in piedi. Ho pensato di mollarla lì… e se qualcuno mi vedeva?» Sollevò i palmi delle mani verso di noi, come a chiedere aiuto, la voce spezzata. «Non sapevo cosa farci, con lei.»

Non aveva ancora parlato della cazzuola. «E allora cosa hai fatto?» chiesi.

«L'ho riportata verso le baracche. In quella degli attrezzi ci sono delle incerate che dovremmo usare per coprire le parti delicate del sito quando piove, ma non ne abbiamo bisogno quasi mai. L'ho avvolta in una di quelle, così… insomma non volevo che… gli insetti…» Deglutì. «E poi l'ho messa sotto le altre incerate. Forse avrei potuto lasciarla semplicemente in uno dei campi di scavo ma… ci sono le volpi… e i topi… e potevano passare giorni prima che qualcuno la trovasse, e non volevo… gettarla via… non riuscivo a ragionare bene. Ho pensato che magari il giorno dopo, la sera dopo, avrei saputo cosa fare…»

«E poi sei tornato a casa?»

«No, io… prima ho pulito la baracca degli attrezzi. Il sangue. Era dappertutto, sul pavimento, sui gradini, e mi sporcava i guanti, i piedi e… ho riempito un secchio d'acqua con il tubo di gomma e ho cercato di lavare. Era… si sentiva l'odore… ogni tanto mi dovevo fermare perché mi veniva da vomitare.»

Aveva l'aria, lo giuro, di uno che si aspettasse solidarietà. «Dev'essere stato orribile» disse Cassie, comprensiva.

«Già. Mio Dio, sì.» Damien rivolse lo sguardo verso di lei, pieno di gratitudine. «Mi sembrava di essere lì da un'eternità, continuavo a pensare che era quasi giorno e che i ragazzi sarebbero potuti arrivare da un momento all'altro. Dovevo sbrigarmi, fare presto. A tratti mi sembrava che fosse tutto un incubo e che mi sarei svegliato. Mi girava la testa… non riuscivo a vedere quello che stavo facendo. Avevo la torcia, ma la tenevo quasi sempre spenta per paura che mi vedessero… pensavo che quelli nel bosco potevano venire a vedere… era tutto buio e c'era quel sangue, dappertutto, e tutte le volte che sentivo un rumore pensavo che sarei morto, che sarei morto stecchito… E fuori c'erano di continuo quei… quei rumori, come di qualcosa che raspava sulle pareti della baracca. A un certo punto mi è sembrato quasi di sentire il rumore di qualcuno che annusava, dietro la porta… per un attimo ho pensato che poteva essere Laddie, ma lo tengono alla catena, di notte, e… Oh, Dio, è stato…» Scosse la testa, frastornato.

«Ma alla fine sei riuscito a pulire tutto» dissi.

«Sì, credo di sì. Tutto quello che ho potuto. Più di così non… non ci riuscivo, capite? Ho messo la pietra sotto le incerate, insieme alla torcia piccola, quella che si era portata dietro lei. Per un attimo… quando ho sollevato le incerate, le ombre hanno fatto un gioco strano e l'ho guardata, e sembrava… sembrava che si muovesse. Dio…»

Aveva di nuovo un colorito verdastro. «Quindi hai lasciato la pietra e la sua torcia nella baracca degli attrezzi» dissi. Anche questa volta non aveva fatto parola della cazzuola. La cosa non mi dava fastidio, contrariamente a quello che potreste pensare: in quella fase, qualsiasi sua omissione poteva poi diventare un'arma che potevamo usare noi a tempo debito.

«Già. Ho lavato i guanti e li ho rimessi nella sacca. Poi ho chiuso le baracche e… me ne sono tornato a casa a piedi.»

Silenziosamente e senza freni, come se aspettasse di farlo da molto tempo, Damien si mise a piangere.

Pianse a lungo e con troppa violenza per riuscire a rispondere ad altre domande. Cassie rimase seduta accanto a lui, accarezzandogli il braccio, mormorando parole consolatorie e passandogli fazzolettini di carta. Dopo un po' incrociai il suo sguardo, sopra la testa del ragazzo. Annuì. Li lasciai e andai a cercare O'Kelly.

«Quel ragazzino cocco di mamma?» si stupì e le sopracciglia gli si sollevarono di scatto. «Be', ma pensa tu, cazzo, proprio non me l'aspettavo. Non credevo che potesse avere le palle per farlo. Avevo scommesso su Hanly. È andato via proprio adesso. Ha detto a O'Neill di mettersi le sue domande su per il buco del culo ed è uscito dalla stanza infuriato. Per fortuna Donnelly non ha fatto la stessa cosa. Preparo il dossier per il procuratore.»

«Ci servirà il dettaglio delle sue telefonate e dei movimenti di denaro» dissi, «e dovremo interrogare gli altri archeologi per conferma, i colleghi d'università, i compagni di scuola, chiunque lo conoscesse bene. Il movente non è chiaro.»

«E chi se ne frega del movente?» sbottò O'Kelly, ma la sua irritazione non corrispondeva esattamente al suo stato d'animo: in realtà era felicissimo. Avrei dovuto esserlo anch'io, ma, non so perché, non era così. Quando avevo sognato di risolvere il caso, la mia immagine mentale non era mai stata quella. La scena nella stanza degli interrogatori, che avrebbe dovuto rappresentare il più grande trionfo della mia carriera, mi era sembrata misera e tardiva.

«In questo caso» obiettai, «me ne frega.» O'Kelly aveva tecnicamente ragione. Se si riusciva a provare che il ragazzo aveva commesso il crimine, non era necessario spiegare anche il perché. Ma le giurie, a furia di guardare la televisione, pretendono anche un movente. E questa volta lo pretendevo anch'io. «Un crimine brutale come questo, per mano di un ragazzino che non ha per niente l'aria dell'assassino… la difesa chiederà sicuramente l'infermità mentale. Se troviamo un movente, sarà fuori discussione.»

O'Kelly sbuffò. «D'accordo. Dirò ai ragazzi di lavorarci. Adesso torna là dentro e vedi di blindare il caso. E, Ryan…» aggiunse riluttante, mentre mi voltavo per andare, «avete fatto un gran bel lavoro. Tutti e due.»

Cassie era riuscita a calmare Damien. Tremava ancora leggermente e continuava a soffiarsi il naso, ma non singhiozzava più. «Ti va se continuiamo?» gli chiese, stringendogli la mano tra le sue. «Ci siamo quasi, okay? Sei bravissimo.» Per un attimo sul viso di Damien apparve qualcosa di simile a un patetico sorriso.

«Sì» rispose. «Mi dispiace se… mi dispiace. Adesso va meglio.»

«Non ti preoccupare. Quando hai bisogno di un'altra pausa basta che me lo dici.»

«Bene» dissi. «Siamo arrivati al punto in cui sei tornato a casa. Parliamo adesso del giorno seguente.»

«Ah… sì. Il giorno seguente.» Damien fece un lungo respiro, rassegnato e tremante. «Quel giorno è stato un vero e proprio incubo. Ero così stanco che non riuscivo nemmeno a vedere dove mettevo i piedi. Tutte le volte che qualcuno entrava nella baracca degli attrezzi avevo paura di svenire. E dovevo anche comportarmi normalmente, ridere alle battute e far finta che non fosse accaduto nulla mentre invece continuavo a pensare… a pensare a lei… E poi anche quella sera ho dovuto fare la stessa cosa, aspettare che mia madre si addormentasse, sgattaiolare fuori e tornare a piedi allo scavo. Se ci fosse stata ancora quella luce nel bosco, non so dire che cosa avrei fatto. Ma non c'era.»

«Quindi sei tornato nella baracca degli attrezzi» dissi.

«Sì. Mi sono rimesso i guanti e l'ho… l'ho tirata fuori. Era… pensavo che sarebbe stata rigida, credevo che i cadaveri diventassero rigidi, ma lei…» Si morse il labbro. «Lei non lo era. Però era fredda. Era… non riuscivo a toccarla…» Rabbrividì.