La stanza era stata allestita in modo da risultare il più confortevole possibile: cappotti, borse e sciarpe sulle sedie; sul tavolo caffè, bustine di zucchero, telefoni cellulari, una caraffa d'acqua e un piatto di brioche alla mela, appiccicaticce, prese dal bar fuori dal Castello. Damien, infagottato nello stesso maglione troppo grande e negli stessi pantaloni multitasche, con i quali probabilmente aveva anche dormito, teneva le braccia strette intorno al corpo, come ad abbracciarsi, e si guardava intorno con gli occhi sgranati. Dopo il caos estraneo della cella, quello doveva sembrargli il paradiso, sicuro, caldo e quasi casalingo. Da certe angolature, si intravedeva una ridicola crescita di barba biondastra sul suo mento. Cassie e Sam si misero a chiacchierare del più e del meno, appoggiati al tavolo. Offrirono a Damien del latte. Sentii dei passi nel corridoio e mi irrigidii. Se era O'Kelly, mi avrebbe buttato fuori, rimandato alle intercettazioni telefoniche. Il caso, ormai, non mi riguardava più. Passarono oltre senza rallentare. Poggiai la fronte al vetro a specchio e chiusi gli occhi.
Prima gli chiesero piccoli particolari senza importanza. Le voci di Cassie e di Sam si incrociavano con destrezza, consolatorie come una ninnananna. "Come hai fatto a uscire di casa senza svegliare tua madre?" "Ah sì? Lo facevo anch'io da ragazzino…" "L'avevi già fatto?" "Dio, com'è cattivo questo caffè!" "Vuoi per caso una Coca o qualcos'altro?" Erano proprio bravi, Cassie e Sam. Molto bravi. Damien si stava rilassando. A un certo punto rise persino, un piccolo patetico singhiozzo.
«Tu fai parte di "Spostiamo l'autostrada", no?» domandò Cassie, con lo stesso tono di prima. Soltanto io potevo riconoscere l'impercettibile variazione d'impostazione della sua voce che indicava che stava tornando su un argomento cruciale. Aprii gli occhi e mi raddrizzai. «Quando hai iniziato a frequentarli?»
«Questa primavera» disse subito Damien, «verso marzo, credo. C'era un avviso nella bacheca dell'università. Su una protesta. Sapevo che d'estate avrei lavorato a Knocknaree, quindi mi sono sentito come… coinvolto, no? E così ci sono andato.»
«Era la protesta del 20 marzo?» chiese Sam, sfogliando delle carte e massaggiandosi la nuca. Stava facendo il poliziotto di provincia, tutto d'un pezzo, gentile e non troppo sveglio.
«Sì, credo di sì. Era fuori dal Dàil, se può aiutarvi.» Damien sembrava quasi stranamente a suo agio a quel punto, si sporgeva sul tavolo e giocherellava con la tazzina del caffè, loquace e impaziente come a un colloquio di lavoro. Era un comportamento che mi era già capitato di osservare, soprattutto in chi commetteva un reato per la prima volta: non erano abituati a pensare a noi come al nemico, e appena lo shock di essere stati presi svaniva, la testa si svuotava e diventavano collaborativi semplicemente a causa dell'allentarsi della tensione.
«Ed è stato allora che sei entrato nel comitato?»
«Sì. Knocknaree è un sito molto importante, i primi insediamenti risalgono a…»
«Mark ce l'ha detto» intervenne Cassie, sorridendo. «Come puoi immaginare. È stato in quell'occasione che hai conosciuto Rosalind Devlin, oppure la conoscevi già?»
Un breve momento di confusione. «Cosa?»
«Quel giorno era al tavolo delle firme della petizione. È stata quella la prima volta che l'hai vista?»
Un'altra pausa. «Non so cosa intendete dire» si limitò a dire Damien.
«Avanti, Damien» fece Cassie, sporgendosi in avanti per cercare di intercettare il suo sguardo. Ma lui fissava la sua tazza del caffè. «Sei stato bravissimo finora, non deludermi proprio adesso, okay?»
«I tuoi tabulati telefonici sono pieni di chiamate e SMS diretti a Rosalind» disse Sam, tirando fuori dei fogli pieni di righe fatte con l'evidenziatore e mettendoli davanti a Damien. Lui li guardò senza espressione.
«Perché non vuoi che sappiamo che eravate amici?» chiese Cassie. «Non c'è niente di male in questo.»
«Non voglio che venga coinvolta in questa faccenda» disse Damien. Le sue spalle cominciavano a irrigidirsi.
«Non stiamo cercando di coinvolgere nessuno. Vogliamo solo capire cosa è successo.»
«Ve l'ho già detto.»
«Lo so, lo so. Porta pazienza, però, okay? Dobbiamo soltanto definire tutti i dettagli. È stato allora che hai conosciuto Rosalind, alla manifestazione?»
Damien allungò una mano e sfiorò i tabulati telefonici con un dito. «Sì» rispose. «Quando ho firmato la petizione. Ci siamo messi a parlare.»
«Vi siete stati simpatici e quindi avete mantenuto i contatti?»
«Sì, più o meno.»
A quel punto Sam e Cassie fecero un passo indietro. "Quando hai iniziato a lavorare a Knocknaree?" "Come mai avevi scelto quello scavo?" "Sì, anche a me sembra una cosa affascinante…" Gradatamente, Damien si rilassò di nuovo. Pioveva ancora, l'acqua scendeva lungo i vetri come una pesante cortina. Cassie andò a prendere dell'altro caffè, con l'espressione di qualcuno che avesse commesso una marachella, posò sul tavolo un pacchetto di biscotti alla crema sottratto alla mensa. Non c'era più alcuna fretta, adesso che Damien aveva confessato. L'unica cosa che poteva fare era chiedere un avvocato, e un avvocato gli avrebbe consigliato di dire ciò che stavano cercando di fargli dire loro, che c'era un complice, il che avrebbe significato dimezzare la colpa, creare confusione, cose che gli avvocati della difesa adorano. Cassie e Sam avevano tutto il giorno, tutta la settimana, tutto il tempo che ci voleva.
«Dopo quanto tempo avete iniziato a stare insieme, tu e Rosalind?» chiese Cassie dopo un po'.
Damien, che si era messo a piegare l'angolo di uno dei fogli dei tabulati, a quella domanda sollevò lo sguardo, sorpreso e circospetto. «Cosa? Ma noi non eravamo… insomma… siamo solo amici.»
«Damien» disse Sam in tono di rimprovero, battendo con un dito sulle pagine. «Guarda qui. La chiamavi tre, quattro volte al giorno, le mandavi almeno dieci messaggi, parlavate per ore in piena notte…»
«Oddio, sono cose che ho fatto anch'io…» disse Cassie, nostalgica. «Quelle sono le tipiche spese telefoniche di quando si è innamorati…»
«… non chiami gli altri tuoi amici nemmeno un quarto di così. Il novantacinque per cento della tua bolletta è fatto di telefonate a lei, ragazzo mio. E non c'è niente di male. È una ragazza deliziosa e tu sei un giovanotto molto carino. Perché non dovreste stare insieme?»
«Aspetta un attimo» disse Cassie, all'improvviso. «Non è che Rosalind c'entri per caso qualcosa? È per questo che non vuoi parlare di lei?»
«No!» urlò quasi Damien. «Lasciatela stare!»
Cassie e Sam rimasero a fissarlo, con le sopracciglia inarcate.
«Scusate» biascicò subito lui, cadendo a sedere come un sacco. Era tutto rosso. «Io… io volevo solo dire che non voglio che venga coinvolta… potete lasciarla fuori da tutto questo?»
«E allora perché tutti questi segreti, Damien» chiese Sam, «se lei non c'entra niente?»
Damien si strinse nelle spalle. «Perché… non abbiamo detto a nessuno che uscivamo insieme.»
«E perché?»
«Il padre di Rosalind si sarebbe arrabbiato.»
«Non gli sei simpatico?» chiese Cassie, con un tono di sufficiente sorpresa da sembrare un complimento.
«No, non è questo. I suoi genitori non vogliono che abbia un ragazzo.» Damien rivolse uno sguardo ansioso a tutti e due. «Potreste… insomma, potreste evitare di dirglielo? Per favore?»
«Fino a che punto si sarebbe arrabbiato, esattamente?» chiese Cassie a voce molto bassa.
Damien si mise a spezzettare la plastica della sua tazza del caffè. «Non volevo che finisse nei guai.» Ma il rossore non era sparito e lui respirava in fretta. C'era sotto qualcosa.