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Ancora oggi non so dire come riuscii a salire su quel furgone. Forse fu perché, sebbene in disgrazia, ero pur sempre il collega di Cassie, un rapporto per il quale quasi tutti i detective hanno un radicato e profondo rispetto. O forse perché bombardai O'Kelly con la prima tecnica che qualsiasi bambino piccolo impara: se chiedi a qualcuno qualcosa con ripetitività e abbastanza a lungo, e lo fai mentre quel qualcuno è affaccendato in altre cose, prima o poi ti dirà di sì solo per farti smettere. Ero troppo disperato per preoccuparmi dell'umiliazione che la cosa comportava. Magari dovette pensare anche che, se me lo avesse rifiutato, avrei preso la Land Rover e ci sarei andato da solo.

Il furgone era di quelli dall'aspetto sinistro, bianchi e senza finestrini, che regolarmente compaiono nei rapporti della polizia, con il nome e il logo di un'inesistente ditta di piastrelle stampati su un lato. Dentro era ancora più inquietante: grossi cavi neri arrotolati ovunque, un'attrezzatura che lampeggiava ed emetteva segnali acustici, una lucetta in alto che illuminava pochissimo. Sweeney si mise alla guida. Sam, O'Kelly, il tecnico e io sedevamo nel retro su scomode panchette basse, senza aprire bocca. O'Kelly si era portato un thermos di caffè e dei biscotti collosi che mangiò con morsi metodici, senza dare l'impressione che se li stesse gustando. Sam si grattava via una macchia immaginaria dai pantaloni e io mi feci schioccare le nocche delle mani fino a quando non mi resi conto di quanto la cosa potesse suonare irritante per gli altri; da quel momento pensai soltanto a tenere a freno il desiderio di fumare una sigaretta. Il tecnico risolveva i cruciverba dell'"Irish Times".

Parcheggiammo in Knocknaree Crescent e O'Kelly chiamò il cellulare di Cassie. Era nel raggio d'azione del dispositivo. La sua voce uscì dalle casse fredda e stabile. «Maddox.»

«Dove sei?» chiese O'Kelly.

«In prossimità della zona residenziale. Non volevo arrivare prima e vagare lì in giro.»

«Siamo in posizione. Vai.»

Una breve pausa, poi Cassie rispose: «Sì, signore». Sentii il ronzio della Vespa che si riavviava, poi lo strano effetto stereo quando, un minuto dopo, passò in fondo al Crescent, a pochi metri da noi. Il tecnico ripiegò il giornale, lo mise via e apportò una piccola regolazione a qualcosa. O'Kelly, di fronte a me, prese da una tasca un sacchetto di plastica con dolcetti e caramelle miste e si sistemò meglio sulla panca.

Passi veloci che facevano sobbalzare il microfono, il debole ding-dong del campanello… O'Kelly passò il sacchetto delle caramelle, nel caso qualcuno ne volesse. Vedendo che nessuno ne prendeva, fece un'alzata di spalle e si servì di una mentina.

Il clic della porta che si apriva… «Detective Maddox» disse Rosalind, senza sembrare lieta nonostante il tono. «Temo che in questo momento siamo tutti molto occupati.»

«Lo so» rispose Cassie. «Mi dispiace molto disturbarvi. Ma non è che potrei… non è che potrei parlarle un minuto?»

«Ha avuto la possibilità di farlo l'altra sera. Invece mi ha insultata e mi ha rovinato la serata. Sinceramente, non ho più voglia di perdere il mio tempo con lei.»

«Le chiedo scusa per quello. Io… non avrei dovuto farlo. Ma non riguarda il caso. Ho solo… bisogno di chiederle una cosa.»

Silenzio. Immaginai Rosalind che teneva la porta aperta e fissava Cassie, valutando la situazione. E Cassie con la faccia alzata, tesa, le mani affondate nelle tasche della giacca di camoscio. In sottofondo, qualcuno, Margaret, pronunciò alcune parole e Rosalind scattò: «È per me, mamma». Poi la porta sbatté.

«Allora?» domandò Rosalind.

«Potremmo…?» Un tramestio, Cassie che si muoveva nervosamente. «Potremmo andare a fare quattro passi? È una cosa un po' riservata.»

Questo doveva stimolare l'interesse di Rosalind, ma la voce non cambiò. «A dire il vero mi sto preparando per uscire.»

«Solo cinque minuti. Possiamo fare un giro dell'isolato o qualcosa del genere… La prego, signorina Devlin. È importante.»

Alla fine Rosalind sospirò. «D'accordo. Immagino di poterle concedere qualche minuto.»

«Grazie» disse Cassie, «lo apprezzo molto.» Le udimmo ripercorrere il vialetto, con le battute rapide dei tacchi di Rosalind.

Era una bella mattina. Il sole stava diradando la foschia della sera prima. Quando eravamo saliti sul furgone, ce n'era ancora che aleggiava sull'erba e intorbidiva il cielo. Le casse amplificavano il cinguettio dei merli, il cigolio del cancello sul retro della proprietà quando si aprì e il rumore che produsse quando si richiuse, i passi di Cassie e di Rosalind che frusciavano nell'erba umida al limitare del bosco… Pensai a quanto dovessero apparire belle a un osservatore mattiniero: Cassie, semplice, con i capelli scompigliati dal vento, Rosalind, bianca e flessuosa come un elemento appena uscito da una poesia. Due ragazze nella mattina settembrina, teste lucide sotto le foglie che andavano mutando, e i conigli che sgattaiolavano via al loro lento avvicinarsi.

«Posso chiederle una cosa?» cominciò Cassie.

«Be', pensavo che fossimo qui proprio per questo» rispose Rosalind, con appena un'inflessione per sottolineare che Cassie le stava facendo perdere del preziosissimo tempo.

«Sì, mi scusi.» Cassie inspirò. «Okay. Mi chiedevo come facesse a sapere…»

«Sì?» la incoraggiò Rosalind.

«Di me e del detective Ryan.» Silenzio. «Che noi avevamo… una relazione.»

«Oh, quello!» Rosalind rise. Fu un piccolo suono squillante, senza emozione, ma con un accenno di trionfo. «Oh, detective Maddox. Lei cosa ne dice?»

«Ho pensato che abbia tirato a indovinare. O qualcosa del genere. Che forse non l'avevamo nascosto così bene come credevamo. Ma mi sembrava solo… insomma, continuavo a chiedermelo.»

«Be', vi si vedeva in faccia, non è vero?» Maliziosa e con un lieve tono di rimprovero. «Ma no. Ci creda o no, detective Maddox, non trascorro il mio tempo a pensare a lei e alla sua vita amorosa.»

Silenzio. O'Kelly si tolse del caramello dai denti. «Allora come?» chiese Cassie, e la sua voce conteneva una nota di terrore.

«Me l'ha rivelato il detective Ryan, ovviamente» rispose amabilmente Rosalind. Sentii lo sguardo di Sam e quello di O'Kelly saettare su di me e mi morsicai l'interno della guancia per impedirmi di aprire bocca e negare.

Non è facile da ammettere, ma fino a quel momento avevo cullato la debole e incongrua speranza che potessimo aver equivocato. Un ragazzo che diceva quello che pensava volessimo sentirci dire, una ragazza che, incrudelita da un trauma, dal dolore e dall'essere stata respinta da me, si vendicava; potevamo aver travisato la cosa in molti modi. Fu solo in quel momento, per la facilità con la quale era stata pronunciata quella bugia, che compresi che Rosalind, la Rosalind che avevo conosciuto, la ragazza duramente provata dalla vita, seducente e imprevedibile con la quale avevo riso alla Centrale e alla quale avevo tenuto le mani su una panchina, quella ragazza, insomma, non era mai esistita. Tutto quello che mi aveva fatto vedere era stato costruito ad arte, con l'attenzione calcolatrice e meticolosa che un professionista mette nell'indossare il costume dell'attore. Sotto quei veli scintillanti, c'era qualcosa di semplice eppure letale, come un chiodo arrugginito.

«Stronzate!» la voce di Cassie s'incrinò. «Lui non lo direbbe mai, cazzo, mai…»

«Non osi inveire contro di me» scattò Rosalind.

«Mi scusi» disse Cassie, in tono sommesso, dopo un momento. «Solo che… non me lo aspettavo, ecco. Non avrei mai pensato che l'avrebbe detto a qualcuno. Mai e poi mai.»

«E invece l'ha detto. Dovrebbe fare più attenzione alle persone in cui ripone la sua fiducia. Desiderava chiedermi solo questo?»

«No. Ho bisogno di chiederle un favore.» Movimento. Cassie che si passava una mano fra i capelli o sul volto. «È contro le regole… fraternizzare con i colleghi. Se il nostro responsabile lo venisse a scoprire, potremmo essere licenziati tutti e due, o rispediti al servizio in uniforme. E questo lavoro… questo lavoro significa molto per noi. Per entrambi. Abbiamo dato l'anima per entrare alla Omicidi. Ci spezzerebbe il cuore esserne buttati fuori.»