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Mi lanciò un'ultima occhiata, fece un respiro profondo e si strinse nelle spalle. «Sarà meglio che vada dentro… Rosalind potrebbe aver finito.»

«Credo che ci metterà un po'.»

«Mi sa di sì» rispose con tono piatto, e si avviò pesantemente verso i gradini del tribunale, col soprabito che sventolava dietro di lui, appena piegato dalle folate di vento.

Damien era stato giudicato colpevole e, date le prove presentate, non poteva essere altrimenti. C'erano state varie dispute legali, complicate, multilaterali, sull'ammissibilità e gli psichiatri avevano dibattuto a lungo e nel loro linguaggio pesantemente intriso di tecnicismi, sul funzionamento della mente di Damien. Ero venuto a saperlo da informazioni di terza mano, da brani di conversazioni di passaggio o da interminabili telefonate di Quigley che, a quanto pareva, si era dato come missione della sua vita scoprire perché fossi stato relegato ai lavori d'ufficio in Harcourt Street. L'avvocato del ragazzo si era incamminato lungo due linee di difesa: Damien era stato temporaneamente incapace di intendere o, se così non era, aveva pensato di proteggere Rosalind da lesioni personali gravi. Questo molto spesso genera un po' di confusione e può far nascere il cosiddetto ragionevole dubbio. Ma avevamo una confessione piena e, cosa forse ancora più importante, c'erano le fotografie dell'autopsia di una bambina morta. Damien si era preso l'ergastolo, che in pratica significava rimanere in galera dai sette ai quindici anni.

Dubito che avesse colto gli innumerevoli aspetti ironici della faccenda, ma molto probabilmente quella cazzuola gli aveva salvato la vita, e di certo gli avrebbe risparmiato esperienze sgradevoli in prigione. A causa dell'aggressione di natura sessuale contro Katy, era stato ritenuto reo di un crimine a sfondo sessuale e condannato a essere recluso nell'unità ad alto rischio, con i pedofili, gli stupratori e altri criminali che non se la sarebbero cavata bene in mezzo alla popolazione penitenziaria in generale. Forse, tutto sommato, era stato un bene perché, se non altro, gli dava la possibilità di uscire dalla prigione vivo e senza malattie trasmissibili.

C'era una piccola folla pronta al linciaggio, qualche decina di persone, che lo aspettava fuori dal tribunale dopo la condanna. Vidi la scena al telegiornale in un piccolo e squallido pub vicino alle banchine del porto. Un basso e minaccioso mormorio di approvazione si levò dai clienti abituali mentre, sullo schermo, degli impassibili agenti in uniforme conducevano un Damien barcollante tra la folla e verso un furgone che si allontanò tra una selva di pugni levati, grida rauche e qualche mezzo mattone lanciato dai presenti. «Introduciamo la cazzo di pena di morte» borbottò qualcuno, in un angolo. So che mi sarebbe dovuto dispiacere per Damien, che si era fregato con le proprie mani nel preciso istante in cui era passato davanti a quel tavolo per la raccolta di firme, e che io, tra tutti, sarei dovuto essere quello in grado di mettere insieme un po' di compassione per lui, ma non ci riuscii. Proprio non ci riuscii.

Sinceramente non me la sento di dilungarmi su cosa scoprii che significasse "sospeso in attesa di indagini": udienze nervose e senza fine, arcigne autorità con uniformi e abiti perfettissimamente stirati, spiegazioni e autogiustificazioni impacciate e umilianti, la fastidiosa sensazione di essere dall'altra parte dello specchio, di trovarsi dal lato sbagliato nella stanza degli interrogatori. Con mia sorpresa, O'Kelly si rivelò il mio più agguerrito difensore, si dilungò in lunghi e appassionati discorsi sulla mia percentuale di casi risolti, sulle mie tecniche di interrogatorio dei sospetti, su tutte quelle cose che non aveva mai tirato fuori prima. Anche se sapevo che non lo faceva per un'impossibile vena di affetto ma solo per proteggere se stesso, visto che il mio comportamento si rifletteva negativamente su di lui e aveva bisogno di giustificarsi per aver offerto rifugio a una specie di rinnegato come me all'interno della sua squadra per così tanto tempo, gli manifestai ugualmente la mia gratitudine in maniera patetica, quasi con le lacrime agli occhi, come se fosse stato il mio unico alleato al mondo. Cercai di ringraziarlo anche quando lo incontrai nel corridoio, dopo una di quelle sedute, ma riuscii a pronunciare solo poche parole e lui mi rivolse uno sguardo carico di tale profondo disgusto che iniziai a balbettare e a indietreggiare.

Alla fine, le varie autorità decisero di non licenziarmi e neppure, e sarebbe stato molto peggio, di rimandarmi al servizio in uniforme. Credo ancora una volta che non fu perché pensavano che meritassi una seconda chance. Più semplicemente, licenziarmi avrebbe attirato l'attenzione di qualche giornalista e avrebbe fatto nascere qualche domanda inopportuna con conseguenze altrettanto indesiderate. Naturalmente, mi cacciarono dalla sezione. Anche nei momenti di ottimismo più sfrenato, non ero mai arrivato a sperare che non l'avrebbero fatto. Mi rispedirono al gruppo degli agenti di supporto, facendomi intuire che non ne sarei uscito tanto presto, se mai ne fossi uscito. Per la verità, con un meraviglioso misto di delicatezza e sensibilità, me lo dissero senza tanti complimenti. A volte Quigley, con un senso della crudeltà molto più raffinato di quanto non gli abbia mai riconosciuto, mi chiede di partecipare a qualche indagine porta-a-porta o di presidiare il telefono delle informazioni dei cittadini alla polizia.

Ovviamente, il procedimento al quale venni sottoposto non fu così semplice come l'ho illustrato. Ci vollero mesi, mesi durante i quali restavo nel mio appartamento in un miserabile stordimento da incubo, con i risparmi che si assottigliavano ogni giorno di più e mia madre che timidamente mi portava la pasta al formaggio per essere certa che mangiassi. Per non parlare di Heather, che attaccava bottoni infiniti per spiegarmi il difetto del mio carattere che stava alla radice di tutti i miei problemi: a quanto pareva, dovevo imparare a prendere maggiormente in considerazione i sentimenti delle altre persone, i suoi in particolare. Concludeva dandomi il numero di telefono del suo terapeuta.

Quando tornai al lavoro, Cassie non c'era più. Se n'era andata il giorno della condanna di Damien. Alcune fonti dicevano che sarebbe stata promossa a sergente detective se fosse rimasta; altre, al contrario, che era stata obbligata ad andarsene per non essere cacciata a calci dalla squadra. Qualcuno l'aveva vista in un pub in città, mano nella mano con Sam. Altri dissero che era tornata all'università, a studiare archeologia. La morale di gran parte di quelle voci, si intuiva, era che le donne in realtà non fanno mai veramente parte della Omicidi.

Venne fuori in seguito che Cassie non aveva affatto lasciato la polizia. Era passata a Violenza domestica e aveva ottenuto un anno sabbatico per concludere il corso di psicologia – da qui la voce dell'università. Non mi stupivo che corressero tutte quelle voci. Lavorare a Violenza domestica è forse l'incarico più straziante in assoluto all'interno della polizia, visto che vi sono radunati i casi peggiori della Omicidi e di Crimini sessuali (famiglie devastate, bambini violati, moglie picchiate e ridotte in schiavitù) senza la relativa gloria. L'idea di lasciare una delle squadre d'élite per quel posto era inconcepibile per molti. Il tamtam diceva che doveva essersi bevuta il cervello.

Personalmente non credo che il trasferimento di Cassie avesse nulla a che vedere con il suo cervello andato in fumo e, anche se potrà sembrare semplicistico ed egoista, dubito anche che avesse a che vedere con me, o almeno non nel modo in cui forse starete pensando. Se l'unico problema fosse stato che non sopportavamo più di stare nella stessa stanza, si sarebbe trovata un nuovo collega e avrebbe puntato i piedi, si sarebbe fatta vedere al lavoro di giorno in giorno più smagrita e spavalda finché non avessimo trovato un modo nuovo per relazionarci oppure finché non avessi chiesto io il trasferimento. Di noi due, lei è sempre stata la più testarda. Credo invece che se ne fosse andata perché aveva mentito a O'Kelly e a Rosalind Devlin, e loro le avevano creduto. E perché, quando mi aveva detto la verità, l'avevo accusata di mentire.