Mezzo secondo dopo, naturalmente, il mondo si raddrizzò, il ruggito nelle orecchie scemò e mi resi conto di cosa stavo vedendo. Capii anche che non avremmo avuto bisogno della foto identificativa. Anche Cassie l'aveva vista. «Non ne siamo ancora sicuri» disse. «Signor Devlin, quella è la sorella di Katy?»
«Jessica» rispose l'uomo con voce arrochita. La ragazzina venne avanti. Senza staccare gli occhi dal volto di Cassie, Devlin allungò una mano dietro di sé, prese la ragazza per una spalla e la fece avanzare fin sulla porta. «Sono gemelle» spiegò. «Identiche. È… avete… avete trovato una bambina che le somiglia?» Jessica fissava un punto tra me e Cassie. Le braccia penzolavano mollemente lungo i fianchi, le mani erano invisibili sotto un'enorme maglia grigia.
«La prego, signor Devlin» continuò Cassie. «Dobbiamo entrare e parlare con lei e sua moglie in privato.» Scoccò un'occhiata a Jessica. Devlin abbassò lo sguardo, vide la propria mano sulla spalla della bambina e, trasalendo, la tolse. Restò come congelata a mezz'aria, come se lui non sapesse più cosa farne.
Ora sapeva, naturalmente. Se l'avessimo trovata viva, glielo avremmo detto. Arretrò dalla porta e con un gesto della mano ci fece entrare in salotto. Disse alla figlia: «Va' su da zia Vera», ci seguì e chiuse la porta.
La cosa terribile del salotto era la sua assoluta normalità, da satira sulle periferie. Tende di pizzo, divano e poltrone a fiori con quelle tipiche coperture sui braccioli e sui poggiatesta, una collezione di teiere decorate su una credenza, tutto lucidato e spolverato fino a brillare: sembrava, e spesso le case delle vittime e persino le scene del crimine lo sono, fin troppo banale per quel livello di tragedia. La donna seduta in una delle poltrone si adattava alla stanza: pesante nella sua solidità priva di forma, con un casco di capelli appena usciti dalla permanente e grandi occhi azzurri cascanti. Linee profonde le solcavano il volto, dal naso alla bocca.
«Margaret» disse Devlin, «sono detective.» La sua voce era tesa come la corda di un violino. Non andò da lei ma rimase vicino al divano, i pugni chiusi nelle tasche del cardigan. «Allora?» chiese.
«Signori Devlin» cominciò Cassie, «non c'è un modo facile per dire questa cosa. Il corpo di una ragazzina è stato trovato nel sito archeologico accanto a questa zona residenziale. Purtroppo, noi pensiamo che si tratti di vostra figlia Katharine. Mi dispiace.»
Margaret Devlin lasciò fuoriuscire il respiro come se l'avessero colpita allo stomaco. Le lacrime cominciarono a scenderle lungo le guance senza che lei sembrasse neppure accorgersene.
«Ma ne siete certi?» scattò Devlin. Aveva gli occhi sgranati. «Come fate a essere così sicuri?»
«Signor Devlin» disse con gentilezza Cassie, «l'ho vista. È identica a sua figlia Jessica. Domani le chiederemo di venire a confermare l'identificazione, ma non ho dubbi, purtroppo. Mi dispiace.»
Devlin si girò verso la finestra, di nuovo lontano, un polso premuto sulla bocca, perso e con uno sguardo feroce. «Oh, Dio» mormorò Margaret. «Oh, Dio, Jonathan…»
«Cosa le è successo?» la interruppe bruscamente Devlin. «Come… come…»
«Purtroppo pare sia stata assassinata» disse Cassie.
Margaret si stava alzando dalla poltrona, con movimenti lenti, come sott'acqua. «Dov'è?» Le lacrime continuavano a scenderle copiose, ma la voce aveva una calma innaturale.
«È dal medico legale» rispose gentilmente Cassie. Se Katy fosse morta in modo diverso, avremmo potuto portarli da lei, ma con il cranio aperto, la faccia coperta di sangue… Dopo l'autopsia, i ragazzi le avrebbero almeno lavato via quello strato di inutile orrore.
Margaret si guardò attorno, intontita, toccandosi ripetutamente e meccanicamente le tasche della gonna. «Jonathan, non trovo le chiavi.»
«Signora Devlin» intervenne Cassie, mettendole una mano sul braccio. «Purtroppo non possiamo portarvi da Katy, per ora. Il medico legale deve esaminarla. Vi faremo sapere non appena potrete vederla.»
Margaret si allontanò da Cassie con uno strattone e si spostò al rallentatore verso la porta, pulendosi con una mano impacciata le lacrime dalla faccia. «Katy… dov'è?» Cassie lanciò con gli occhi una richiesta di aiuto a Jonathan, oltre la spalla della signora, ma lui aveva appoggiato le mani al vetro della finestra e fissava fuori, anche se in realtà non vedeva nulla, respirando in fretta, troppo in fretta, e intensamente.
«Per favore, signora Devlin» dissi con urgenza, cercando di frappormi, senza che se ne accorgesse, tra lei e la porta. «Le prometto che vi porteremo da Katy non appena potremo, ma al momento non potete vederla. Non è proprio possibile.»
Margaret mi fissò con gli occhi rossi e la bocca aperta. «La mia bambina» ansimò. Poi le crollarono le spalle e cominciò a piangere, con singhiozzi profondi, rauchi e incontrollati. Rovesciò la testa all'indietro e lasciò che Cassie (guardava invece me, con gli occhi spalancati e straziati: Oh, Dio…) l'accompagnasse docilmente per le spalle verso la poltrona e la facesse sedere nuovamente.
«Com'è morta?» chiese Jonathan, continuando a fissare il nulla fuori dalla finestra. Le parole erano indistinte, come se avesse le labbra intorpidite. «In che modo?»
«Non lo sapremo finché i medici non avranno terminato di esaminarla» risposi. «Vi terremo informati di tutti gli sviluppi.»
Sentii dei passi leggeri che correvano giù per le scale, la porta si spalancò e vedemmo una ragazza sulla porta. Dietro di lei, Jessica era ancora nell'ingresso, si succhiava una ciocca di capelli e ci fissava.
«Che succede?» domandò la ragazza, senza fiato. «Oh, Dio… è Katy?»
Nessuno rispose. Margaret si premette un pugno sulla bocca e i suoi singhiozzi divennero terribili suoni soffocati. Lo sguardo della ragazza passò di volto in volto, le sue labbra si schiusero. Alta e snella, con ricci castani che le scendevano sulla schiena, era difficile valutare quanti anni avesse: diciotto, venti… Ma era molto più curata della maggior parte delle ragazze che mi era capitato di incontrare: indossava pantaloni neri fatti su misura e scarpe col tacco alto, oltre a una camicia bianca dall'aspetto costoso, per finire con una sciarpa viola di seta avvolta intorno al collo. Aveva una presenza vitale, elettrica, che riempiva la stanza. In quella casa, appariva sorprendentemente fuori luogo.
«Per favore» disse, rivolgendosi a me. La voce era alta e chiara, sostenuta, con un accento da annunciatrice TV che mal s'accompagnava a quello morbido da classe popolare di provincia di Jonathan e Margaret. «Che è successo?»
«Rosalind» cominciò Jonathan. La voce gli uscì ruvida. Si schiarì la gola prima di continuare. «Hanno trovato Katy. È morta. Qualcuno l'ha uccisa.»
Jessica produsse un piccolo suono senza parole. Rosalind lo fissò per un istante, poi sbatté le ciglia e ondeggiò con una mano protesa verso lo stipite della porta. Cassie le mise un braccio intorno alla vita e la sostenne fino al divano.
Rosalind appoggiò la testa sui cuscini e le rivolse un debole sorriso di riconoscenza che Cassie ricambiò. «Potrei avere un po' d'acqua?» mormorò.
«Vado io» mi offrii. In cucina, linoleum lavato a fondo, tavola e sedie verniciati finto rustico. Aprii il rubinetto e mi diedi una rapida occhiata in giro. Niente di rilevante, tranne uno dei pensili alti che conteneva una serie di tubetti di vitamine e, in fondo, un flacone di dimensioni industriali di Valium con un'etichetta e il nome della persona alla quale era stato prescritto: Margaret Devlin.
Rosalind sorseggiò l'acqua e inspirò profondamente, tenendosi una piccola mano sul petto. «Prendi Jess e andate di sopra» le ordinò Jonathan.
«Per favore, fammi restare» chiese Rosalind, sollevando il mento. «Katy era mia sorella, qualsiasi cosa le sia accaduta, io posso… posso farcela. Sto bene ora. Mi dispiace per come mi sono sentita, ma ora sto bene, sul serio.»
«Vorremmo che Rosalind e Jessica restassero, signor Devlin» dissi io. «È possibile che sappiano qualcosa che potrebbe esserci d'aiuto.»