«Katy e io eravamo… eravamo molto vicine» disse Rosalind, guardando me. Aveva gli occhi di sua madre, grandi e azzurri, con quell'accenno a scendere verso il basso agli angoli esterni. Si spostarono, oltre le mie spalle: «Oh, Jessica» disse, tendendo le braccia. «Jessica, tesoro, vieni qui.» Jessica mi passò accanto con un balenio da animale selvatico negli occhi e andò a stringersi a Rosalind, sul divano.
«Mi dispiace tantissimo intromettermi in un momento del genere» dissi, «ma ci sono alcune domande che dobbiamo porvi quanto prima perché ci aiutiate a trovare chi ha fatto questo. Vi sentite in grado di parlare adesso, o preferite che torniamo tra qualche ora?»
Jonathan Devlin prese una sedia dal tavolo da pranzo, la sbatté sul pavimento e si sedette. Evidentemente, la cosa non gli andava giù. «Fatelo ora» disse. «Forza, con queste domande.»
Lentamente, facemmo ripercorrere loro la storia. Avevano visto Katy per l'ultima volta lunedì sera. Era stata a lezione di balletto a Stillorgan, qualche chilometro verso Dublino, dalle cinque alle sette. Rosalind era andata a prenderla alla fermata dell'autobus verso le 19.45 ed erano tornate a casa a piedi insieme. «Mi ha raccontato che si era divertita un sacco» disse, con la testa piegata sulle mani congiunte. Una cortina di capelli le ricadde sulla faccia. «Era una ballerina eccezionale… si era conquistata un posto alla Royal Ballet School, sapete… sarebbe partita tra poche settimane…» Margaret singhiozzò e le mani di Jonathan strinsero convulsamente i braccioli della sedia. Rosalind e Jessica erano poi andate a casa della zia Vera, dall'altra parte della zona residenziale, per passare la notte con le loro cuginette.
Katy aveva cenato con fagioli in salsa di pomodoro, pane tostato e succo d'arancia, poi era andata a far fare la passeggiata al cane di un vicino: era il suo lavoretto estivo per racimolare un po' di soldi per la scuola di balletto. Era tornata intorno alle 20.50, si era fatta un bagno e poi aveva guardato la TV con i genitori; era andata a dormire alle dieci, come al solito d'estate, e aveva letto per qualche minuto prima che Margaret le dicesse di spegnere la luce. Jonathan e Margaret erano rimasti ancora alzati a vedere la TV ed erano andati a dormire poco prima di mezzanotte. Prima di coricarsi, Jonathan, come sempre, aveva controllato che la casa fosse al sicuro: porte chiuse a chiave, finestre bloccate, catena all'ingresso principale.
Alle 7.30 della mattina dopo, si era alzato e si era recato al lavoro senza vedere Katy. Era un impiegato di sportello con una certa anzianità in una banca; aveva notato che la catena della porta non era inserita ma aveva dato per scontato che Katy, un'allodola per abitudine, fosse andata a casa della zia per far colazione con sorelle e cugine. «Lo fa, a volte» intervenne Rosalind. «Le piacciono le cose fritte e mamma… be', la mattina mamma è troppo stanca per cucinare.» Seguì un terribile suono straziante proveniente da Margaret. Tutte le ragazze avevano le chiavi della porta di casa, aggiunse Jonathan. Per essere più sicuri. Alle 9.20, quando Margaret si era alzata ed era andata a svegliare Katy, lei non c'era. Aveva atteso un po', supponendo, come Jonathan, che Katy si fosse alzata presto e fosse andata a casa della zia. Poi aveva chiamato Vera, solo per esserne certa. Dopo Vera, aveva telefonato a tutte le amiche di Katy e alla fine si era risolta a informare la polizia.
Cassie e io sedevamo in maniera poco rilassata sui bordi delle nostre poltrone. Margaret piangeva sommessamente ma senza interruzione. Dopo un po', Jonathan uscì dalla stanza e tornò con una confezione di fazzoletti di carta. Una signora minuscola come un uccellino e con gli occhi sporgenti – la zia Vera, pensai – scese in punta di piedi dalle scale e restò per qualche minuto nell'ingresso, incerta, torcendosi le mani. Poi, lentamente, si ritirò in cucina. Rosalind massaggiava le dita inerti di Jessica.
Katy, dissero, era stata una bambina buona, brava a scuola anche se non eccezionale, innamorata del balletto. Aveva un bel caratterino ma di recente non aveva avuto scontri con la famiglia o con altri. Ci fornirono i nomi delle sue migliori amiche perché potessimo controllare. Non era mai scappata di casa, no. Ultimamente era molto felice, emozionata all'idea di andare alla scuola di balletto. I ragazzi non le interessavano ancora, aggiunse Jonathan, aveva solo dodici anni, Cristo santo! Ma vidi che Rosalind gli scoccò un'occhiata e poi guardò me. Presi mentalmente nota di parlarle senza i genitori.
«Signor Devlin» domandai, «com'era il suo rapporto con Katy?»
Jonathan mi fissò. «Di che cazzo mi sta accusando?» scattò. Jessica produsse un guaito che era una risata, alto e isterico, e io feci un salto sulla poltrona. Rosalind storse le labbra e scosse la testa verso di lei, con le sopracciglia aggrottate, poi le sorrise, rassicurante, e le diede una piccola pacca. Jessica abbassò la testa e riprese a succhiarsi i capelli.
«Nessuno la sta accusando di nulla» chiarì Cassie con fermezza, «ma dobbiamo essere in grado di dire che abbiamo esplorato ed eliminato tutte le possibilità. Se tralasciamo qualcosa, quando prenderemo quell'uomo, e lo prenderemo, la sua difesa potrebbe cavalcare il ragionevole dubbio. So che rispondere a queste domande è doloroso, ma le assicuro, signor Devlin, che lo sarebbe ancora di più se quell'uomo venisse prosciolto perché non le abbiamo fatte.»
Jonathan inspirò attraverso il naso e si rilassò per un istante. «Il mio rapporto con Katy era fantastico» disse. «Parlava con me. Eravamo vicini. Io… lei era la mia piccola.» Jessica ebbe uno spasmo, mentre Rosalind sollevò per un attimo lo sguardo. «Litigavamo, come fanno tutti i padri e le figlie, ma era una figlia meravigliosa e una ragazza meravigliosa, e io l'adoravo.» Per la prima volta gli si incrinò la voce. Mosse la testa di scatto, rabbiosamente.
«E lei, signora Devlin?» chiese Cassie.
Margaret stava sbriciolandosi un fazzoletto in grembo; sollevò lo sguardo, ubbidiente come un bambino. «Ma certo, sono tutte fantastiche» disse. La sua voce era spessa e tremolante. «Katy era… un sogno. Non ha mai dato problemi. Non so come faremo senza di lei.» Storse la bocca in un tremito.
Non facemmo domande né a Rosalind né a Jessica. È improbabile che i ragazzi siano onesti sui fratelli e sulle sorelle quando i genitori sono nei paraggi, e se un ragazzino mente, soprattutto nel caso di una bambina piccola e confusa come Jessica, le bugie si fissano nella mente e la verità retrocede sullo sfondo. Più avanti, avremmo cercato di ottenere il permesso dei Devlin per parlare con Jessica e, se era minorenne, con Rosalind, da sole. Chissà perché, avevo l'impressione che non sarebbe stato facile.
«Vi viene in mente qualcuno che avrebbe voluto far del male a Katy per qualche motivo?» chiesi.
Per un istante nessuno disse nulla. Poi Jonathan spinse la sedia all'indietro e balzò in piedi. «Gesù» esclamò. La testa gli ondeggiava avanti e indietro, come quella di un toro tormentato dal torero. «Quelle telefonate.»
«Telefonate?» ripetei.
«Cristo. Lo ammazzo. Ha detto che l'hanno trovata allo scavo?»
«Signor Devlin!» si intromise Cassie. «Si sieda e ci parli di queste telefonate.»
Lentamente, Devlin si girò a guardarla. Si sedette, ma io vedevo che c'era un che di assente e astratto nel suo sguardo. Ero pronto a scommettere che stava segretamente pensando al metodo migliore per scovare chi avesse fatto quelle telefonate. «Sapete dell'autostrada che attraverserà il sito archeologico?» disse. «La maggior parte della gente di qui è contraria. Alcuni sono interessati perché così salirebbe il valore delle loro abitazioni, visto che passerebbe proprio qui di fianco, ma la maggior parte di noi… Quel sito dovrebbe essere preservato. È unico ed è nostro, il governo non ha nessun diritto di distruggerlo senza neppure chiedercelo. C'è una campagna in corso qui a Knocknaree, "Spostiamo l'autostrada". Ne sono il presidente perché l'ho iniziata io. Facciamo picchetti e scriviamo lettere ai politici, per quel che può servire.»