«Cattiva ricezione?» dissi freddamente.
«La fottuta ricezione andava benissimo» rispose lei. «Voleva solo sapere quando saremmo rientrati e perché ci mettevamo tanto… e non avevo voglia di parlargli.»
Di solito riesco a tenere il broncio più a lungo di Cassie, lei non ha un livello di attenzione sufficiente per quel tipo di cose, ma non ce la feci a trattenermi e mi misi a ridere. Dopo un istante, scoppiò a ridere anche Cassie.
«Ascolta» disse, «non volevo fare la stronza con Rosalind. Sono preoccupata.»
«Stai pensando a un abuso sessuale?» In qualche remota parte della mia mente, quel pensiero si era affacciato, ma mi aveva disturbato a tal punto che lo avevo rimosso. Una sorella eccessivamente sexy, una molto sottopeso e una assassinata, dopo varie e misteriose malattie. Ripensai alla testa di Rosalind piegata su quella di Jessica e provai un improvviso quanto insolito impeto di protezione. «Il padre abusa di loro. La strategia di Katy per gestire la cosa è stare male, per odio contro se stessa o per ridurre le occasioni di abuso. Quando l'accettano alla scuola, decide che deve stare bene e che il ciclo deve arrestarsi; magari affronta il padre, minaccia di rivelare tutto. Così lui la uccide.»
«Ci può stare» ammise Cassie. Stava guardando gli alberi che le scorrevano accanto, lungo il bordo della superstrada, e le vedevo solo la nuca. «Ma, per esempio, ci può stare anche la madre se salta fuori che Cooper si è sbagliato sulla violenza sessuale. Sindrome di Münchhausen per procura. Sembrava proprio incarnare il ruolo della vittima, l'hai notato?»
L'avevo notato. A volte, il dolore e lo strazio rendono anonimi con la stessa efficacia di una maschera da tragedia greca, altre volte riducono la gente all'essenziale. E questo è il vero e gelido motivo per cui, naturalmente, cerchiamo di essere noi a informare le famiglie della perdita che hanno subito, piuttosto che lasciare il compito agli agenti in divisa: non per mostrare quanto siamo sensibili, ma per vedere come reagiscono. Avevamo portato così tante cattive notizie da saper riconoscere le variazioni. La maggior parte delle persone rimane scioccata e frastornata, sta in piedi a fatica, senza alcuna idea di cosa fare con ciò che si ritrova per le mani; la tragedia è un territorio nuovo che deve affrontare senza una guida, che deve imparare a elaborare e a gestire passo intontito dopo passo intontito. Margaret Devlin non era rimasta sorpresa. Era anzi sembrata quasi rassegnata, come se dolore e strazio fossero la caratteristica del suo stato.
«Quindi essenzialmente lo stesso modello» dissi. «Fa star male una o tutte le sue figlie e quando Katy, accettata alla scuola di balletto, cerca di uscire dallo schema la madre la uccide.»
«Potrebbe anche spiegare perché Rosalind si veste come una quarantenne» aggiunse Cassie. «Cerca di essere un'adulta per sfuggire alla madre.»
Squillò il mio, di cellulare. «Oh, che palle!» esclamammo all'unisono.
Rifeci la scenetta della cattiva ricezione e passammo il resto del tempo in auto a redigere una lista di possibili linee di indagine. O'Kelly ama gli elenchi; un buon elenco avrebbe potuto distrarlo dalla sfuriata che ci avrebbe sicuramente riservato per non averlo richiamato.
Noi lavoriamo praticamente al Castello di Dublino e, nonostante tutte le connotazioni coloniali, questo è uno degli elementi che mi gratificano di più del mio lavoro. All'interno, gli uffici sono stati amorevolmente sistemati così da essere come qualsiasi altro ufficio aziendale del Paese: cubicoli, luci fluorescenti epilettiche, moquette che rilascia scariche elettrostatiche e pareti dai colori istituzionali, direttamente da sogni orwelliani al formaggio. Ma l'esterno degli edifici è protetto dalla sovrintendenza e quindi è ancora intatto: oro, mattoni rossi decorati e marmo, con merlature e torrette e sculture corrose di santi nei punti più imprevedibili. D'inverno, nelle sere nebbiose, percorrere gli spazi acciottolati è come attraversare Dickens: tenui lampioni dorati che lanciano ombre con strane angolature, campane che suonano nelle vicine cattedrali, passi che echeggiano nell'oscurità. Cassie dice che ci si può quasi fingere tanti ispettori Abberline al lavoro sugli omicidi di Jack lo Squartatore. Una sera del mese di dicembre, sotto una luna piena che illuminava tutto, si mise a fare la ruota nel cortile centrale.
La finestra dell'ufficio di O'Kelly era illuminata ma, per il resto, l'edificio era al buio. Erano le sette passate e se ne erano andati tutti a casa. Ci intrufolammo il più silenziosamente possibile. Cassie andò in punta di piedi in ufficio per il controllo al computer su Mark e i Devlin e io scesi nel seminterrato dove conserviamo i fascicoli dei vecchi casi. Cantina per il vino in passato, quei burloni della squadra Design aziendale non ci sono ancora arrivati perciò è ancora tutta pietra e colonne e campate con archi bassi. Cassie e io ci siamo ripromessi che un giorno ci porteremo un paio di candele, nonostante ci sia la luce elettrica e in aperta sfida con le normative di sicurezza antincendio, e passeremo la sera a cercare passaggi segreti.
La scatola di cartone (Rowan G., Savage P., 14/8/84) era esattamente dove l'avevo lasciata più di due anni prima; dubito che qualcuno l'avesse toccata da allora. Estrassi il fascicolo e lo sfogliai fino alla dichiarazione rilasciata dalla madre di Jamie alla sezione Persone scomparse e, grazie a Dio, c'era: capelli biondi, occhi nocciola, maglietta rossa, pantaloncini di jeans tagliati, scarpe da ginnastica bianche, mollette per capelli rosse decorate con fragoline.
Mi infilai l'incartamento sotto la giacca, in caso mi fossi imbattuto in O'Kelly. Non c'era motivo per cui non avrei dovuto avercelo, soprattutto ora che il collegamento con il caso Devlin era conclamato, ma per una qualche ragione mi sentivo colpevole, clandestino, come se mi stessi dando alla latitanza con un manufatto tabù. Risalii in ufficio. Cassie era al computer ma aveva lasciato le luci spente perché O'Kelly non le notasse,
«Mark è pulito» disse. «E anche Margaret Devlin. Jonathan ha avuto una condanna, lo scorso febbraio.»
«Pornografia infantile?»
«Cristo, Ryan, hai proprio una mente melodrammatica. No, disturbo delle quiete pubblica: stava protestando contro l'autostrada e ha superato lo sbarramento della polizia. Il giudice gli ha affibbiato una multa da cento sacchi e venti ore di servizio alla comunità, e le ha aumentate a quaranta quando Devlin gli ha fatto notare che, per quello che lo riguardava, era stato arrestato proprio mentre rendeva un servizio alla comunità.»
Non era lì che avevo visto il nome di Devlin perché, come ho già detto, avevo solo una vaga idea dell'esistenza di una controversia sull'autostrada. Ma spiegava perché Jonathan Devlin non avesse denunciato le telefonate anonime alla polizia: non ci vedeva come alleati, soprattutto non in relazione a ciò che aveva a che fare con l'autostrada. «La molletta per capelli è nella dichiarazione in archivio» annunciai.
«Ben fatto» disse Cassie, con appena un accenno di domanda nella voce. Stava spegnendo il computer e si voltò per guardarmi. «Sei contento?»
«Non ne sono certo» risposi. Ovviamente, mi faceva piacere sapere che non stavo perdendo la testa e non stavo immaginando cose. A quel punto, però, mi chiedevo se effettivamente me l'ero ricordato o se l'avevo solo visto nel fascicolo, e quale delle due possibilità mi piacesse meno, e, infine, se non avrei fatto meglio a tenere la bocca chiusa su tutta quella dannata faccenda.
Cassie aspettava. Nella penombra della sera, i suoi occhi apparivano grandi, opachi, speculativi. Sapevo che mi stava dando la possibilità di dire: "Vaffanculo la molletta, dimentichiamoci di averla trovata". Anche ora, per quanto possa sembrare inutile, la tentazione di chiedermi cosa sarebbe successo se l'avessi fatto c'è.
Ma era tardi, la giornata era stata lunga e volevo andare a casa; essere trattato con i guanti di velluto (anche da Cassie; a qualcun altro avrei staccato la testa a morsi) mi ha sempre infastidito. Sorvolare su quella linea di indagine sembrava richiedere uno sforzo maggiore che lasciare che facesse il suo corso. «Chiami Sophie per il sangue?» chiesi. Nella stanza male illuminata, sembrava accettabile ammettere almeno quella debolezza.