«Vuoi che ce lo portiamo con noi?» chiesi, una volta in auto. Non c'era motivo per non interrogare Mark nella baracca dei reperti, ma lo volevo lontano dal suo territorio e sul nostro, in parte come forma di vendetta per le mie scarpe rovinate.
«Oh, sì» rispose Cassie. «Dice che hanno solo poche settimane di tempo, no? Se ho capito come funziona con lui, il modo più rapido perché gli si sciolga la lingua è fargli sprecare un giorno di lavoro.»
Approfittammo del tragitto in auto per redigere una bella lista di motivi da dare a O'Kelly in base ai quali non ritenevamo che "Knocknaree ama Satana" fosse responsabile della morte di Katy Devlin. «Non dimenticare "assenza di posizionamento rituale"» dissi. Mi misi di nuovo al volante. Ero ancora molto teso e se non avessi avuto qualcosa da fare avrei fumato senza interruzione fino a Knocknaree.
«E niente… animali… squartati» scrisse Cassie.
«Cosa dirà alla conferenza stampa? "Non abbiamo trovato un pollo morto"?»
«Puoi scommetterci che lo farà. Non perderà una battuta.»
La giornata era cambiata mentre eravamo da Cooper: la pioggia era cessata e un bel sole caldo stava già asciugando le strade. Gli alberi lungo la carreggiata scintillavano di gocce d'acqua e quando scendemmo dall'auto l'aria profumava di nuovo, come se avessero fatto il bucato, e c'era un'atmosfera vitale, con foglie e terra umide. Cassie si tolse la felpa e se la legò in vita.
Gli archeologi erano sparsi nella sezione inferiore del sito, impegnati in attività con piccozze, badili e carriole. Si erano tolti le giacche, che avevano buttato sulle rocce, e alcuni perfino le magliette. Erano tutti inclini alla frivolezza, presumibilmente per reazione allo shock e all'inattività del giorno prima. Da un grosso stereo portatile uscivano le note basse e pompanti, a volume altissimo, degli Scissor Sisters e cantavano tutti in coro, tra un colpo di piccozza e l'altro; una delle ragazze stava usando il badile come microfono. In tre si facevano guerra con bottiglie d'acqua e manichetta, gridando e schivandosi.
Mel stava spingendo una carriola piena su per una montagnola di terra. Arrivata in cima, la svuotò con movimenti esperti e ridiscese beccandosi proprio allora una spruzzata d'acqua sulla faccia. «Stronzi!» gridò e, lasciata andare la carriola, si mise a rincorrere una ragazzetta dai capelli rossi che, con la manichetta, l'aveva inondata. La rossa strillò e fece per mettersi in salvo ma inciampò nelle spire della manichetta. Mel l'agguantò con una presa tra collo e testa e lottò con lei per toglierle la manichetta mentre grandi getti d'acqua volavano per tutto il sito tra le risate generali.
«Mitico» gridò uno dei ragazzi. «Lesbiche in azione.»
«Dov'è la macchina fotografica?»
«È un succhiotto quello che hai sul collo?» gridò la rossa. «Ragazzi, Mel ha un succhiotto!» Seguì un boato di grida e risate di congratulazioni.
«Vaffanculo» berciò Mel, rossa come un peperone anche se rideva di gusto.
Mark richiamò tutti all'ordine in modo brusco e loro gli gridarono qualcosa tutti insieme per prenderlo in giro, ma si rimisero al lavoro, cercando di scrollarsi di dosso l'acqua che s'erano presi. Provai un improvviso moto d'invidia per la libertà priva di impacci delle loro grida, delle loro zuffe, per l'energia muscolare che mettevano nelle loro piccozze, per i loro vestiti infangati lasciati ad asciugare al sole mentre lavoravano, per la rilassata ed efficiente sicurezza che mostravano nel loro lavoro. «Mica male come modo per guadagnarsi da vivere» commentò Cassie, rovesciando leggermente la testa all'indietro e rivolgendo al cielo un suo piccolo e privato sorriso felice.
Gli archeologi ci avevano notato; uno dopo l'altro abbassarono gli attrezzi e ci guardarono, schermandosi gli occhi dal riflesso del sole con le braccia nude. Ci dirigemmo verso Mark sotto uno stupito sguardo collettivo. Mel si raddrizzò dall'interno di una trincea, perplessa, togliendosi i capelli dalla faccia e lasciandovi sopra una striscia di fango; Damien, inginocchiato tra la sua falange di ragazze, aveva ancora l'aspetto afflitto e un po' desolato, ma Sean, lo Scultore, si rianimò quando ci vide e ci salutò col suo badile. Mark si appoggiò alla sua piccozza come un vecchio e taciturno montanaro e ci rivolse un'occhiata furtiva e impenetrabile.
«Sì?»
«Vorremmo scambiare due chiacchiere con te» dissi.
«Stiamo lavorando. Non potete aspettare almeno fino all'ora di pranzo?»
«No. Prendi le tue cose, andiamo alla stazione di polizia.»
Tese ferocemente la mascella e per un istante pensai che si sarebbe opposto, ma poi scaraventò a terra l'attrezzo, si pulì la faccia con la maglietta e si incamminò per risalire la collina. «Ciao» salutai gli archeologi, mentre lo seguivamo. Neppure Sean rispose.
In auto, Mark estrasse il suo pacchetto di tabacco. «Non si fuma» lo avvisai.
«Cazzo!» esplose. «Voi due fumate, vi ho visti ieri.»
«Le auto del dipartimento sono equiparate ai luoghi di lavoro. È vietato fumarci dentro.» Non me lo stavo neppure inventando; ci vuole una commissione per formulare una regola così ridicola.
«Dai, e che cavolo, Ryan, lascia che si fumi questa sigaretta» disse Cassie. Poi, con un bisbiglio dal volume ben calcolato, aggiunse: «Ci risparmieremo di doverlo portare fuori per una pausa fumo, tra qualche ora.» Colsi lo sguardo sbigottito di Mark nello specchietto retrovisore. «Posso averla anch'io una sigarettina delle tue?» proseguì Cassie, voltandosi per infilarsi tra i sedili.
«Quanto ci vorrà?» chiese l'archeologo.
«Dipende» gli risposi.
«Da cosa? Non so neppure di che si tratta.»
«Ci arriveremo. Mettiti comodo e fatti la tua paglia prima che cambi idea.»
«Come sta andando lo scavo?» domandò Cassie con fare amichevole.
Un angolo della bocca di Mark si torse amaramente. «Tu che dici? Abbiamo quattro settimane per fare il lavoro di un anno. Abbiamo usato i bulldozer.»
«E non va bene?» chiesi.
Mi guardò, torvo. «Ti sembriamo per caso il fottutissimo "Time Team"?»
Non ebbi la risposta pronta, visto che per quello che mi riguardava lui e i suoi compari sembravano proprio il fottutissimo "Time Team", quelli che spiegano alla TV l'archeologia a noi uomini della strada. Cassie accese la radio e Mark la sigaretta. Soffiò fuori dal finestrino una boccata di fumo, rumorosa e disgustata. Sarebbe stata una lunga giornata, non c'era dubbio.
Non dissi granché durante il tragitto di ritorno. Mi rendevo conto che poteva essere proprio l'assassino di Katy Devlin quello che se ne stava con il broncio sul sedile posteriore della mia auto, e non sapevo cosa provavo al riguardo. Naturalmente, per vari motivi, mi sarebbe piaciuto parecchio che fosse lui il nostro uomo: mi aveva fatto girare le scatole sul serio e a quel punto avremmo potuto liberarci di un caso sinistro e imprevedibile quasi prima che iniziasse. Avremmo avuto la possibilità di chiuderlo quel pomeriggio stesso e io avrei potuto rimettere a posto il vecchio fascicolo, in cantina. Mark infatti, che nel 1984 aveva circa cinque anni e viveva ben lontano da Dublino, non poteva essere un sospetto credibile per quel fatto. Se così fosse andata sarei stato costretto ad accontentarmi della pacca sulle spalle da O'Kelly, riprendermi i segaioli da taxi da Quigley e dimenticarmi di Knocknaree.
Ma, in qualche modo, avevo l'impressione che ci fosse qualcosa di sbagliato. In parte dipendeva dal modo imbarazzante in cui quella cosa minacciava di sgonfiarsi: avevo trascorso gran parte delle ultime ventiquattr'ore a prepararmi ai luoghi in cui avrebbe potuto portarmi quel caso e avevo immaginato qualcosa di molto più drammatico di un interrogatorio e un arresto. Non era solo quello, però. Non sono superstizioso, ma, insomma, se la chiamata fosse arrivata qualche minuto prima o dopo, o se Cassie e io non avessimo appena scoperto Worms, o se fossimo andati a fumarci una sigaretta, quel caso sarebbe finito a Costello o a chissà chi, comunque non a noi, e sembrava impossibile che una cosa così potesse essere solo una coincidenza. Avevo la sensazione che rotelline invisibili si fossero messe in moto, che le cose si stessero muovendo, risistemandosi in maniera impercettibile. Credo che, per ironia della sorte, una piccola parte di me, nel profondo, non ce la facesse più ad aspettare di vedere cosa sarebbe successo.