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«Per quanto tempo è stata via?»

«Tre giorni. È venuta la polizia e tutto il resto.»

«E dove è stata, lo sapete?»

«È andata da qualche parte con un tipo» rispose Valerie, con un sorriso compiaciuto.

«Non è vero» scattò Vera, stridula. «Lo disse solo per spezzare il cuore a quella poveretta di sua madre, che Dio la perdoni. Stava da quella sua amica di scuola… come si chiama… Karen. Tornò dopo il fine settimana e non accadde nulla.»

«Di' quello che vuoi!» commentò Valerie, facendo di nuovo spallucce.

«Il mio tè» comandò il piccolo. Avevo ragione: aveva la voce di un fagotto.

Questo, con ogni probabilità, spiegava una cosa che avevo pensato di controllare: perché alla sezione Persone scomparse avessero fatto così in fretta a dare per scontato che Katy fosse solo fuggita di casa. Dodici anni sono un'età limite e di norma, prima di aspettare le ventiquattr'ore, le avrebbero concesso il beneficio del dubbio, avrebbero avviato le ricerche e immediatamente ci sarebbe stato anche il battage dei mezzi di comunicazione; ma la tendenza a fuggire serpeggia all'interno delle famiglie, i figli più piccoli prendono ispirazione dai più grandi. Quando la polizia aveva inserito i dati dei Devlin al computer, era emersa la storia della fuga di Rosalind, e probabilmente avevano ipotizzato che Katy avesse fatto la stessa cosa. Un piccolo screzio con i genitori, ed era scappata da un'amica. Anche lei, come Rosalind, sarebbe tornata non appena si fosse calmata, e non sarebbe successo altro.

Ero malignamente compiaciuto che Vera fosse rimasta sveglia tutta la notte del lunedì. Anche se era orribile da ammettere, avevo avuto dei momenti di preoccupazione sia per Jessica sia per Rosalind. Jessica non sembrava forte di suo, mentre invece appariva decisamente poco equilibrata, e il luogo comune secondo il quale la pazzia rende forti ha un fondamento di verità. Era assai improbabile che non fosse stata gelosa di tutta l'adulazione che Katy riceveva. Rosalind era ipersensibile e protettiva fino all'eccesso nei confronti di Jessica, e se il successo di Katy aveva spinto la gemella sempre più nel suo ottundimento… Anche Cassie doveva averlo pensato, ma non mi aveva detto niente e per qualche motivo la cosa mi dava sui nervi.

«Voglio sapere perché Rosalind è scappata di casa» dissi, mentre percorrevamo il vialetto dei Foley. La figlia di mezzo aveva il naso schiacciato contro la finestra del salotto e ci stava facendo delle boccacce.

«E dove è andata» aggiunse Cassie. «Le parli tu? Credo che otterresti più di me.»

«A dire il vero» ammisi con fare goffo, «era lei al telefono prima. Viene domani pomeriggio. Dice di avere una cosa di cui parlare.»

Cassie, che stava infilando il blocco nella borsa, si girò per lanciarmi una lunga occhiata che non riuscii a interpretare. Per un momento mi chiesi se non si fosse offesa perché Rosalind aveva telefonato a me e non a lei. Eravamo abituati al fatto che lei fosse la preferita delle famiglie e provai una puerile e vergognosa scintilla di trionfo: c'era qualcuno che preferiva me e basta. Il mio rapporto con Cassie ha una sfumatura da fratello e sorella che funziona bene, ma ogni tanto porta anche alla classica rivalità che c'è tra fratelli. Poi lei disse: «Perfetto, così potrai tirare fuori la faccenda della fuga come se niente fosse».

Si buttò la sacca sulle spalle e proseguimmo. Scrutava l'orizzonte – oltre i campi verdi e assolati, con il belare delle pecore che ci veniva portato debolmente dal vento – e teneva le mani in tasca. Non riuscivo a capire se era arrabbiata con me per non averla informata della telefonata di Rosalind Devlin, cosa che, a essere onesti, avrei dovuto fare. Le diedi una piccola gomitata, per vedere come buttava. Pochi passi dopo, allungò la gamba e mi assestò una pedata nel culo.

Trascorremmo il resto del pomeriggio nel porta-a-porta. È un'attività noiosa e ingrata. Gli agenti di supporto l'avevano già fatto, ma volevamo avere un'idea di cosa pensassero dei Devlin i loro vicini. L'opinione generale era che si trattava di una famiglia rispettabile ma che stava molto sulle sue, il che non veniva particolarmente apprezzato: in un luogo delle dimensioni e con la classe sociale di Knocknaree, qualsiasi tipo di riservatezza viene considerata una specie di insulto, a un niente dall'imperdonabile peccato di snobismo. Per Katy, invece, era diverso: il posto alla Royal Ballet School l'aveva resa l'orgoglio di Knocknaree, la causa personale da portare avanti. Anche i nuclei familiari più indigenti avevano dato qualcosa alla raccolta fondi, tutti volevano descriverci come ballava, alcune persone piansero. Molti di quelli che avevano aderito alla campagna di Jonathan Devlin contro l'autostrada ci guardarono male quando chiedemmo di lui. Alcuni si dilungarono in discorsi infiammati su come stesse cercando di arrestare il progresso e indebolire l'economia. Questi si meritarono delle stelline speciali sul mio blocco degli appunti. Quasi tutti erano dell'opinione che Jessica non fosse una cima.

Quando chiedemmo se avevano visto qualcosa di sospetto, ci parlarono dei soliti tipi strambi locali – un vecchio che urlava ai bidoni, due quattordicenni con la fama di annegare gatti nel fiume – e di irrilevanti faide ancora in corso, oltre che di cose minori che producevano rumori misteriosi la notte. Un certo numero di persone, nessuno però con informazioni utili, menzionò il vecchio caso: finché non erano saltati fuori gli scavi archeologici, l'autostrada e Katy, era stato l'unico fatto che aveva dato notorietà a Knocknaree. Mi parve di riconoscere alcuni nomi, un paio di facce. A costoro riservai il mio miglior comportamento professionale e neutro.

Dopo circa un'ora di questo pellegrinaggio, arrivammo al 27 di Knocknaree Drive e trovammo la signora Pamela Fitzgerald, ancora incredibilmente viva e vegeta. A 88 anni, magrissima e quasi piegata in due, era un vero fenomeno. Ci offrì del tè, ignorò il nostro rifiuto e ci parlò gridando dalla cucina mentre preparava un vassoio stracolmo di cose. Poi ci chiese se avevamo notizie della borsa che un giovinastro le aveva scippato in città, tre mesi prima, e quando confessammo che non l'avevamo ritrovata ce ne chiese il perché. Era strano, dopo aver letto la sua sbiadita calligrafia nel vecchio fascicolo, sentirla lamentarsi delle caviglie gonfie («Mi fanno letteralmente impazzire, ecco cosa») e rifiutarsi strenuamente di lasciarmi portare il vassoio. Era come se Tutankhamon fosse capitato al pub, una sera, e avesse cominciato a parlar male della schiuma della birra.

Era di Dublino, ci raccontò. «Ci sono nata, vissuta e pasciuta, proprio così.» Si era però trasferita lì ventisette anni prima, quando suo marito, «che riposi in pace», era andato in pensione e aveva smesso di fare il ferroviere. Da allora, Knocknaree era stato il suo microcosmo ed ero più che certo che potesse fare l'elenco di tutti quelli che erano andati e venuti e di tutti gli scandali che si erano succeduti, con l'energico, benevolo coinvolgimento di un giocatore di Sim City.

Naturalmente conosceva i Devlin e le piacevano. «Ah, sono proprio una bella famigliola. Lei è sempre stata una così brava ragazza, Margaret Kelly, mai dato da pensare a sua madre, tranne quando» e si piegò da una parte verso Cassie, abbassando la voce con fare cospiratore, «tranne quando rimase incinta. E comunque, cara, il governo e la Chiesa blaterano sempre su quanto sia scioccante la gravidanza in una ragazza molto giovane, ma per me non è sempre così male. Quel Devlin era un po' una canaglia, proprio così, ma non appena la piccolina nacque, lui cambiò da così a così. Si trovò un lavoro, una casa e organizzarono un gran bel matrimonio. Cambiò completamente. È terribile quello che invece è successo a quella povera bambina, che possa riposare in pace.»

Si fece il segno della croce e mi diede un buffetto su un braccio. «E lei arriva fin qui dall'Inghilterra per scoprire chi è stato? Non è meraviglioso? Che Dio la benedica, ragazzo mio.»

«Che vecchietta incredibile» commentai, una volta usciti. La signora Fitzgerald mi aveva tirato su il morale immensamente. «Spero di avere la stessa energia quando avrò la sua età.»