«A cosa stai pensando?» domandai.
Mi riferivo al caso, ovviamente, ma Cassie era di un umore pazzerello; lei sprigiona più energia della maggior parte delle persone che conosco, ed era rimasta seduta al chiuso quasi tutto il giorno. «Ma sentitelo! Già una donna che chiede a un uomo cosa sta pensando è un crimine assoluto… lei è troppo dipendente e bisognosa e lui se la dà a gambe… ma quando è l'inverso…»
«Comportati bene» le dissi, abbassandole il cappuccio sulla faccia.
«Aiuto! Mi stanno molestando!» gridò. «Chiamate la Commissione Pari Opportunità.» La mamma col passeggino ci rivolse uno sguardo acido.
«Sei troppo agitata. Calmati o ti riporto a casa senza gelato.»
Si buttò indietro il cappuccio e si mise a correre sulla spiaggia facendo ruote e capriole, con il montgomery che le si rivoltava sulle spalle. La mia prima impressione su Cassie era azzeccata: aveva fatto ginnastica per otto anni da bambina, e a quanto pareva era anche piuttosto brava. Aveva lasciato perdere perché le gare e la ripetitività la annoiavano; quello che amava erano le movenze, la loro geometria tesa, molleggiata, rischiosa. E anche dopo quindici anni, il suo corpo le ricordava ancora tutte. Quando la ripresi era senza fiato e si stava pulendo le mani dalla sabbia.
«Meglio?» chiesi.
«Molto. Dicevi?»
«Il caso. Lavoro. Persona morta.»
«Ah, quello…» Si fece subito seria. Si sistemò il cappotto e ci rimettemmo a camminare lungo la riva, strisciando i piedi su conchiglie semisepolte. Una fila di impronte di zampe zigzagava lungo il nostro percorso: quelle di un cane grosso, allegro e giocherellone, forse un retriever.
«Mi stavo chiedendo» disse Cassie, «com'erano Peter Savage e Jamie Rowan.»
Stava guardando un traghetto, piccolo e ben definito come un giocattolo, che si muoveva lento ma determinato lungo la linea dell'orizzonte; il suo volto, offerto alla pioggerellina, era imperscrutabile. «Perché?» chiesi.
«Non lo so, così.»
Ripensai a lungo alla domanda. I miei ricordi di loro si erano assottigliati per l'usura, fino a diventare dei lucidi trasparenti e colorati che svolazzavano sulle pareti della mia mente: Jamie che si arrampicava decisa e con piede sicuro su un ramo alto, la risata di Peter che si diffondeva nel bagliore trompe-l'œil del verde davanti a noi. Con un lento cambiamento di rotta erano diventati bambini di un inquietante libro di favole, miti luminosi risalenti a una civiltà perduta; era difficile credere che una volta erano stati reali e amici miei.
«In che senso?» chiesi alla fine, inutilmente. «Personalità, aspetto o cosa?»
Cassie fece spallucce. «Non so. Decidi tu.»
«Erano grandi più o meno come me» dissi. «Altezza media, immagino si possa dire. Entrambi di corporatura snella. Jamie aveva i capelli biondo platino, tagliati a caschetto, il naso schiacciato e all'insù. Peter aveva i capelli castano chiaro, con quel taglio moscio che hanno i bambini quando sono le madri a occuparsi dell'acconciatura, e gli occhi verdi. Credo che probabilmente sarebbe diventato molto bello.»
«E le loro personalità?» Cassie mi lanciò uno sguardo; il vento le appiattiva i capelli sulla testa e li rendeva lustri come la pelliccia di una foca. Ogni tanto, quando andavamo a fare delle passeggiate, mi prendeva sottobraccio, ma sapevo che questa volta non l'avrebbe fatto.
Durante il primo anno di collegio pensavo a loro costantemente. Avevo una nostalgia di casa devastante; lo so che capita a tutti i bambini, in quella situazione, ma credo che il mio strazio andasse ben oltre la norma. Era un'agonia costante e impietosa, che consumava come un mal di denti. All'inizio di ogni trimestre dovevano tirarmi fuori a forza, urlante, dall'auto e trascinarmi dentro mentre i miei genitori ripartivano. Sicuramente starete pensando che questo tipo di atteggiamento mi avesse reso un obiettivo perfetto per i bulli; be', in realtà mi lasciavano assolutamente in pace, rendendosi conto, immagino, che nulla di ciò che avrebbero potuto infliggermi mi avrebbe fatto sentire peggio. Non che la scuola fosse un inferno o roba del genere, anzi, credo che per essere un collegio non fosse neanche malaccio: una scuola non troppo grande, in campagna, con un sistema complicato di attività che i più piccoli svolgevano per gli studenti più "anziani" e una specie di ossessione per squadre e punteggi e vari altri cliché. Semplicemente, tutto ciò che volevo, più di quanto non avessi voluto qualsiasi altra cosa nella mia vita, era tornare a casa.
Ce la feci, come nella più scontata delle tradizioni dei bambini, rifugiandomi nell'immaginazione. Sedevo su sedie traballanti durante assemblee soporifere e mi immaginavo Jamie che si agitava di fianco a me, ricostruivo ogni suo più piccolo dettaglio, la forma delle rotule, il modo che aveva di inclinare la testa. La notte stavo sveglio per ore, con gli altri ragazzi che russavano o bisbigliavano intorno a me, e mi concentravo con ogni cellula del corpo fino a sapere, oltre ogni ragionevole dubbio, che una volta aperti gli occhi Peter sarebbe stato nel letto accanto al mio. Mandavo messaggi in bottiglia lungo il ruscello che attraversava i terreni della scuola: "Per Peter e Jamie. Per favore tornate, vi prego. Adam". Capite, sapevo di essere stato mandato via perché erano scomparsi e sapevo che se fossero riapparsi venendo fuori dal bosco di corsa, una sera, sporchi e pizzicati dalle ortiche, esigendo la cena, mi avrebbero dato il permesso di tornare a casa.
«Jamie era un maschiaccio» dissi. «Era molto timida con gli estranei, soprattutto gli adulti, ma dal punto di vista fisico era senza paura. Vi sareste piaciute, voi due.»
Cassie mi lanciò un mezzo sorriso, di sghembo. «Nel 1984 avevo solo dieci anni, te lo ricordi? Non mi avreste nemmeno rivolto la parola.»
Ero arrivato a pensare al 1984 come a un mondo privato, a parte; fu una specie di shock rendermi conto che anche Cassie c'era stata, e a pochi chilometri di distanza soltanto. Nel momento in cui Peter e Jamie svanivano nel nulla lei stava facendo qualcosa, magari giocava con delle amiche o andava in bici o cenava, ignara di ciò che stava accadendo e dei lunghi e complicati percorsi che l'avrebbero condotta a me e a Knocknaree. «Infatti, non l'avremmo mai fatto» dissi. «Ti avremmo detto: "Dacci i soldi del tuo pranzo, piccola citrulla".»
«Lo fai anche oggi. Va' avanti.»
«Sua madre era una specie di hippie, tutta ampie gonne struscianti e capelli lunghi. E per la merenda a scuola dava sempre a Jamie yogurt con germe di grano.»
«Ah, però!» fu il commento di Cassie. «Non immaginavo neanche che si trovasse il germe di grano negli anni Ottanta. Sempre che lo si volesse mangiare.»
«Credo fosse figlia illegittima, Jamie intendo, non sua madre. Suo padre non c'era. Alcuni bambini la prendevano in giro per questo, finché non ne picchiò uno. Dopo quella volta, chiesi a mia madre dov'era il papà di Jamie, e lei mi rispose di farmi i fatti miei.» Lo avevo chiesto anche a Jamie e lei aveva fatto spallucce e aveva risposto: «E chi se ne frega?».