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«L'altra grande religione di questi tempi» continuò Cassie, «è il corpo. Tutti quegli spot pubblicitari tanto paternalistici e gli editoriali sul bere, sul fumo, sulla forma fisica…»

Stavo versando e intanto guardavo Sam perché mi indicasse quando fermarmi. Sollevò una mano e mi sorrise quando gli passai il bicchiere. «Mi fanno sempre venire voglia di vedere quante sigarette riesco a infilarmi in bocca, tutte in una volta» dissi. Cassie aveva allungato le gambe sul futon; io gliele spostai per potermi sedere, me le rimisi in grembo e cominciai a farla bere, tanto ghiaccio e tanta Coca.

«Anche a me. Ma quei servizi non si limitano a dire che certe cose fanno male alla salute, dicono anche che sono moralmente sbagliate. Dicono, sostanzialmente, che saresti una persona migliore se avessi la corretta percentuale di grasso corporeo e se facessi ginnastica un'ora al giorno, per non parlare di quella mostruosa serie di spot pieni di sussiego in cui si dice che non solo fumare è una cosa stupida da fare ma è anche, letteralmente, maligna. La gente ha bisogno di un codice morale che l'aiuti a prendere le decisioni; tutta questa virtù da yogurt biologico e questo moralismo finanziario servono solo a colmare un vuoto nel mercato. Ma il problema è che è tutto alla rovescia. Non è che fai la cosa giusta perché speri che ti ripaghi; la cosa moralmente giusta è per definizione quella che ti ripaga maggiormente.»

«Bevi, dai» le ordinai. Era tutta eccitata e gesticolava, si sporgeva in avanti, non pensava neanche più al bicchiere che aveva in mano. «Ma questo cos'ha a che vedere con quel matto di Mark?»

«Non è matto, zitto tu.» Cassie mi fece una boccaccia e prese un sorso dal bicchiere. «Sentite, Mark crede nell'archeologia, nel suo patrimonio storico. Quella è la sua fede. Non è una qualche astratta serie di principi e non riguarda il suo corpo o il suo conto in banca; è una parte concreta della sua vita, ogni giorno, che lo ripaghi oppure no. Lui ci vive dentro. Non è una follia, è sanità, e c'è qualcosa di sbagliato in una società dove le persone pensano che sia una cosa strana.»

«Quel tipo ha versato una cazzo di libagione a un dio dell'Età del Bronzo» precisai. «Non credo che ci sia qualcosa di particolarmente sbagliato in me se considero la cosa un po' strana. Dai, Sam, sostienimi.»

«Io?» Sam si era accomodato sul divano, ascoltava la conversazione e intanto, con la mano allungata, giochicchiava col mucchietto di sassi e conchiglie che stavano sul davanzale della finestra. «Io direi solo che è giovane. Con una moglie e qualche bambino si tranquillizzerà.»

Cassie e io ci guardammo e cominciammo a ridere. «Cosa?» fece lui.

«Niente» dissi. «Davvero!»

«Mi piacerebbe farti incontrare Mark e farvi bere un paio di pinte assieme» aggiunse Cassie.

«Lo rimetterei in riga in fretta» dichiarò Sam con pacatezza, il che ci fece ricominciare a ridere. Mi appoggiai con la schiena al futon e bevvi un sorso. Mi stavo proprio godendo quella conversazione. Era una bella serata, una serata allegra; una leggera pioggia batteva contro i vetri, Billie Holiday cantava in sottofondo ed ero contento, dopo tutto, che Cassie avesse invitato Sam. Stavo cominciando ad apprezzarlo di più. Tutti, decisi, dovrebbero avere un Sam intorno.

«Credi seriamente che dovremmo escludere Mark?» chiesi a Cassie. «Davvero?»

Bevve un sorso dal suo drink e si mise il bicchiere in equilibrio sullo stomaco. «Francamente, sì» rispose. «Indipendentemente dalla faccenda della follia. Come dicevo, ho la netta sensazione che chiunque sia stato, non fosse troppo convinto. Non riesco a immaginare Mark poco convinto su nulla, almeno nulla che lui ritenga importante.»

«Fortunato, questo Mark» commentò Sam, sorridendole dall'altro lato del tavolino.

«Allora» chiese Sam, più tardi, «come vi siete conosciuti, tu e Cassie?» Si sistemò meglio sul divano e allungò una mano verso il suo bicchiere.

«Come?» dissi. Era una domanda bizzarra, così dal nulla, e a essere onesti mi ero quasi dimenticato che Sam fosse lì. Cassie ha sempre in casa della roba buona da bere, del setoso whisky del Connemara che sa di fumo di torba, ed eravamo tutti un po' alticci; la conversazione stava cominciando languidamente a scemare. Sam si era disteso per leggere i titoli dei malandati tascabili nella libreria; io me ne stavo sdraiato sul futon, a pensare a niente di più arduo della musica. Cassie era in bagno. «Oh… quando è entrata nella squadra. Il suo motorino una sera non partiva e le ho dato un passaggio.»

«Ah, bene.» Sam sembrava un po' turbato, il che non era da lui. «All'inizio pensavo infatti che fosse così, che non vi conosceste da prima. Invece sembra che vi conosciate da secoli, così mi chiedevo se foste vecchi amici o… sì, insomma, hai capito.»

«Ci capita spesso» dissi. Era vero, la gente tendeva a dare per scontato che fossimo cugini o che fossimo cresciuti insieme o qualcosa del genere, e la cosa mi ha sempre riempito di una gioia privata e irragionevole. «Be'… ci siamo trovati molto bene, tutto qua.»

Sam annuì. «Tu e Cassie…» cominciò e si schiarì la gola.

«Cosa avrei fatto, io?» chiese sospettosa Cassie, allontanando i miei piedi per rimettersi sedere.

«Lo sa il cielo» risposi.

«Stavo solo chiedendo a Rob se vi conoscevate già prima di entrare alla Omicidi» spiegò Sam. «Dall'università o roba del genere.»

«Non sono andato all'università» precisai. Avevo l'impressione di sapere cosa era stato sul punto di chiedermi, ma anch'io gli avrei chiesto qualcosa, se solo Cassie non fosse tornata proprio in quel momento e se fossi stato in grado di trovare le parole giuste.

«Davvero?» si stupì Sam, ma cercò di non darlo a vedere. Questo è quello che volevo dire sulla faccenda dell'accento. «Pensavo al Trinity, che ne so, magari eravate andati a lezione insieme, o…»

«Mica eravamo gli unici due sulla faccia della terra, tipo Adamo ed Eva» disse Cassie con tono piatto, il che, dopo un raggelato istante, ci scatenò una ridarella impossibile da frenare, con gli sbuffi dal naso come capita ai bambini. Sam scosse la testa e sorrise.

«Uno più matto dell'altra» commentò, alzandosi per andare a svuotare il posacenere.

Era vero quello che avevo detto a Sam: non c'ero andato all'università. Presi la maturità per miracolo e con il voto ottenuto forse mi avrebbero accettato in una facoltà, da qualche parte, ma in realtà non feci domanda. Dissi a tutti che mi prendevo un anno sabbatico e i miei genitori, grati, colsero al volo l'espressione e la usarono come motivazione ufficiale, ripetendola a tutti i loro amici. La verità era che non volevo fare nulla, assolutamente nulla, il più a lungo possibile, magari per il resto della vita.

Charlie andò a studiare economia a Londra, così lo seguii: non c'erano altri luoghi dove dovessi o volessi stare. Suo padre gli pagava l'affitto di un lussuoso appartamento con i pavimenti di legno duro e il portiere che io in nessun modo mi sarei potuto permettere. Così mi cercai uno squallido monolocale in una zona di media pericolosità e Charlie si trovò un compagno d'appartamento, uno studente olandese in Erasmus che sarebbe tornato a casa a Natale. Il piano era che a quel punto mi sarei messo a lavorare per poter andare a vivere da lui, ma molto prima che arrivasse Natale fu chiaro che non mi sarei trasferito da nessuna parte, non solo per i soldi, ma perché, inaspettatamente, mi ero innamorato del mio loculo e della mia vita irregolare e alla deriva.

Dopo il collegio, la solitudine si rivelò inebriante. La prima notte che passai là, restai per ore steso sulla moquette appiccicosa, nella pozza arancione torbido del bagliore della città che entrava dalla finestra, a sentire gli esaltanti odori di spezie che si incuneavano nel corridoio, a individuare immagini misteriose nelle crepe del soffitto, ad ascoltare due tipi che, fuori, urlavano in russo e qualcuno che si esercitava a suonare il violino, e lentamente mi resi conto che non c'era una sola persona al mondo che potesse vedermi o chiedermi cosa stessi facendo o dirmi di fare altro. Mi sentivo come se il mio monolocale da un momento all'altro si potesse staccare dal palazzo dentro una bolla di sapone luminosa per allontanarsi nella notte, rimbalzando mollemente sui tetti, sul fiume e sulle stelle.