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«No.» Sembrava che tutti gli agenti di supporto si fossero messi a parlare nello stesso momento e il rumore era come una nebbia pesante che mi avvolgeva il cervello. Non riuscivo a concentrarmi. «I Devlin non sanno di essere sospettati. Preferirei che rimanesse così, almeno finché non avremo qualcosa di concreto. Se andassimo a chiedere le cartelle di Rosalind e Jessica, potrebbero subodorare qualcosa.»

«Qualcosa di concreto» ripeté Cassie. Guardò il tavolo ingombro di carte (suddivisioni computerizzate di argomenti, appunti a mano, fotocopie macchiate d'inchiostro), poi la lavagna bianca che era già tutto un fiorire multicolore di nomi, numeri di telefono, frecce, punti interrogativi e sottolineature.

«Sì» dissi, «lo so.»

Anche le pagelle scolastiche delle figlie dei Devlin avevano un che di ambiguo e beffardo. Katy era brava ma non eccezionale, prendeva dei "buono" e qualche "discreto" in Irlandese e "ottimo" in educazione fisica; nessun problema di condotta al di là della tendenza a chiacchierare in classe, nessuna bandierina rossa a parte le tante assenze. Rosalind sembrava essere più intelligente, ma anche più irregolare: fiumi di "ottimo", interrotti da folti gruppi di "discreto" o "sufficiente" e commenti di insegnanti frustrate dalla mancanza di impegno e dal fatto che saltasse le lezioni. Ovviamente, il fascicolo su Jessica era quello più voluminoso. Era stata inserita nella classe "morbida" fin da quando lei e Katy avevano nove anni, ma Jonathan aveva apparentemente messo in croce quelli della sanità e della scuola a tal punto che l'avevano sottoposta a una lunga serie di test: il suo quoziente di intelligenza era fra 90 e 105 e non c'erano problemi neurologici. Nella cartella si leggeva: "Difficoltà d'apprendimento non specifiche con tratti autistici".

«Cosa ne pensi?» chiesi a Cassie.

«Penso che questa famiglia diventa sempre più strana. Secondo quello che è scritto qui, se c'è una di loro che ha subito abusi quella è sicuramente Jessica. Bambina assolutamente normale fino all'età di sette anni; poi, all'improvviso, bum, andamento scolastico e socialità cominciano a precipitare. È decisamente troppo tardi perché si tratti di autismo, ma è una reazione da manuale a qualche tipo di abuso continuato. E Rosalind? Tutti quegli alti e bassi potrebbero essere normali se si tiene conto dei mutamenti di umore degli adolescenti, ma potrebbero anche essere una sua risposta a qualcosa di poco chiaro che sta accadendo in casa. L'unica che sembra star bene… be', psicologicamente… è Katy.»

Colsi qualcosa di scuro con la coda dell'occhio e mi girai di scatto, facendo volare la penna sul pavimento. «Ehi» fece Sam, stupito. «Sono io.»

«Cristo!» esclamai. Il cuore mi batteva all'impazzata. Gli occhi di Cassie, dall'altra parte del tavolo, non lasciarono trasparire nulla. Recuperai la penna. «Non mi ero accorto che eri lì. Che cos'hai?»

«I tabulati telefonici dei Devlin» rispose Sam, mostrando i fogli che aveva in entrambe le mani. «In uscita e in entrata.» Li depositò sul tavolo, in due mucchi, e li mise a posto con cura. Aveva contrassegnato le pagine con numeri dai colori diversi e aveva effettuato delle sottolineature con l'evidenziatore.

«Che periodo?» domandò Cassie curvandosi sul tavolo per guardare le pagine messe a rovescio.

«Da marzo.»

«Tutto lì? Sei mesi di telefonate?»

Era stata la prima cosa che avevo notato anch'io: quanto fossero sottili quelle pile di fogli. In una famiglia di cinque persone, con tre ragazze adolescenti, di certo il telefono doveva essere stato sempre occupato, con qualcuno che urlava di continuo a qualcun altro di riattaccare. Pensai al silenzio da fondale marino che avevo notato in quella casa il giorno in cui era stato rinvenuto il corpo di Katy, con la zia Vera che si aggirava nell'ingresso. «Sì, lo so» disse Sam. «Forse usano i cellulari.»

«Forse.» Ma anche Cassie, come me, non sembrava convinta. Quasi sempre, quando una famiglia si taglia fuori dal resto del mondo, è perché c'è qualcosa che non va. «Ma costano molto. E ci sono due telefoni in quella casa, uno al pianterreno, vicino al guardaroba, e uno sul pianerottolo al piano superiore, con il filo lungo per portarlo in tutte le camere da letto. Non c'è bisogno di un cellulare per avere un po' di privacy.»

Avevamo già controllato i tabulati telefonici del cellulare di Katy. Le davano una paghetta apposta, dieci euro di traffico ogni due domeniche. L'aveva usato quasi tutto per inviare SMS alle sue amiche e avevamo ricostruito le lunghe conversazioni criptate e piene di abbreviazioni su compiti, pettegolezzi della classe, trasmissioni televisive; nessun numero non identificato, nessuna bandierina rossa.

«Che cosa hai evidenziato?» chiesi.

«Ho creato rimandi con i numeri conosciuti e ho tentato di dividere le chiamate per membro della famiglia. Sembra che Katy fosse quella che usava di più il telefono: i numeri in giallo sono quelli delle sue amiche.» Scorsi i fogli. L'evidenziatore giallo aveva lavorato su almeno la metà di ogni pagina. «Il blu è per le sorelle di Margaret, una sta a Kilkenny e l'altra, Vera, qui, dalla parte opposta dell'abitato. Il verde è per la sorella di Jonathan, ad Athlone, la casa di ricovero in cui stava la loro madre, e per i membri del comitato "Spostiamo l'autostrada". Il viola è per l'amica di Rosalind, Karen Daly, quella da cui era andata quando era scappata di casa. Dopo quell'episodio, le loro telefonate si sono ridotte di numero. Penso che a Karen non abbia fatto molto piacere essere messa in mezzo a un casino di famiglia, anche se per alcune settimane ha continuato a chiamare Rosalind. È Rosalind a non richiamare.»

«Forse non le era permesso» suggerii. Magari era per lo spavento che mi aveva procurato Sam, ma il cuore mi stava ancora battendo troppo forte e sentivo in bocca il sapore del pericolo.

Sam annuì. «Magari i genitori pensavano che Karen potesse avere una cattiva influenza su di lei. Comunque, le chiamate sono tutte qui, oltre a quelle di una compagnia telefonica che tentava di convincerli a cambiare gestore… e queste tre.» Sparse i fogli delle chiamate in arrivo: tre righe rosa. «Le date, gli orari e la durata corrispondono a quelli che ci ha fornito Devlin. Sono tutte da telefoni pubblici.»

«Merda» disse Cassie.

«Dove?» chiesi.

«In centro. Il primo è sulle banchine, vicino al complesso dei servizi finanziari; il secondo è in O'Connell Street; il terzo si trova fra i primi due, anche questo lungo le banchine.»

«In altre parole» dissi, «il tipo che fa le telefonate non è uno di quelli incazzati per il valore delle case.»

«Direi di no. Visti gli orari, chiama mentre torna a casa dal pub. Immagino che anche uno di Knocknaree potrebbe andare a bere in città, ma non mi sembra plausibile, almeno non in modo regolare. Chiederò un controllo, per essere sicuri, ma per ora immagino che sia qualcuno il cui interesse per l'autostrada sia esclusivamente lavorativo, non personale. E se fossi uno che scommette, direi che vive lungo le banchine.»

«Il nostro assassino è quasi sicuramente del posto» disse Cassie.

Sam annuì. «Però potrebbe anche aver chiesto a uno del posto di compiere l'omicidio. È quello che avrei fatto io.» Cassie colse la mia occhiata e mi guardò negli occhi: il pensiero di Sam che seguiva la pista dell'esecutore prezzolato era irresistibile. «Quando scoprirò chi possiede il terreno, vedrò anche di scoprire se ha parlato con qualcuno di Knocknaree.»

«A che punto sei?» chiesi.

«Oh, ma certo…» Fece allegramente Sam. «Ci sto lavorando.»

«Un momento» saltò su all'improvviso Cassie. «A chi telefona Jessica?»

«A nessuno, per quello che posso dire.» Sam assemblò con cura i fogli e se li portò via.

Rosalind Devlin venne quel martedì, all'ora di pranzo. Nessuna telefonata, nessun appuntamento, solo Bernadette che mi informava con un vago atteggiamento di disapprovazione che c'era una ragazza che voleva vedermi. Io sapevo però che era lei, e il fatto che fosse spuntata così, di punto in bianco, sapeva in qualche modo di disperazione, di un'urgenza clandestina. Mollai quello che stavo facendo e scesi al piano di sotto, ignorando le occhiate interrogative di Cassie e Sam.