Выбрать главу

Rosalind stava aspettando alla reception. Aveva una pashmina color verde smeraldo attorno alle spalle. Il volto, girato a guardare fuori dalla finestra, era malinconico e distante. Era troppo giovane per saperlo, ma si trattava di un'immagine molto bella: la cascata di riccioli castani e la macchia verde stagliate contro i mattoni e le pietre del cortile illuminato dal sole… Tralasciando l'aspetto estremamente funzionale dell'atrio, la scena avrebbe potuto figurare direttamente su un biglietto di auguri preraffaellita.

«Rosalind» l'accolsi.

Si girò, una mano sul petto. «Oh, detective Ryan! Mi ha spaventata… Grazie per avermi ricevuta.»

«Nessun problema» le dissi. «Vieni su, così possiamo parlare.»

«Ne è sicuro? Non voglio causarle disturbo. Se è troppo impegnato, me lo dica che me ne vado.»

«Assolutamente no. Posso offrirti una tazza di tè? Caffè?»

«Un caffè andrà benissimo. Ma dobbiamo proprio…? È una giornata così bella e io sono un po' claustrofobica… non mi piace dirlo in giro, ma… non potremmo andare fuori?»

Non era la procedura standard ma, del resto, pensai, non era una sospettata e nemmeno una testimone. «Certo» le risposi, «solo un secondo» e corsi su a prendere il caffè. Avevo dimenticato di chiederle come lo voleva, così aggiunsi un po' di latte e mi misi due bustine di zucchero in tasca, per essere sicuro.

«Tieni» le dissi, porgendoglielo, quando ridiscesi. «Ci troviamo un posto in giardino?»

Bevve un sorso di caffè e provò a nascondere una piccola smorfia di ripugnanza. «Lo so che fa schifo» le dissi.

«No, no, va bene, è solo che… be', non ci metto il latte di solito, ma…»

«Ops» mi scusai. «Mi dispiace. Vuoi che te ne prenda un altro?»

«Oh, no! Va benissimo così, detective Ryan, davvero. In realtà non avevo bisogno di un caffè. Lo prenda lei, questo. Non voglio causarle problemi; è fantastico che mi abbia potuto ricevere, non deve preoccuparsi troppo…» Stava parlando troppo in fretta e a voce troppo alta, come sono soliti fare i logorroici; faceva svolazzare le mani e sosteneva il mio sguardo troppo a lungo senza battere ciglio, come se fosse ipnotizzata. Era decisamente molto nervosa, e stava cercando di mascherarlo.

«Non c'è nessun problema» la rassicurai. «Facciamo così: ci troviamo un posto carino per sederci e ti porto un'altra tazza di caffè. Farà ancora schifo, ma almeno sarà nero. Cosa ne dici?» Rosalind mi sorrise con gratitudine, e per un momento ebbi la strana sensazione che quel piccolo gesto di premura l'avesse quasi commossa.

Scesi in giardino, trovammo una panchina al sole; gli uccelli sfrecciavano stridendo dalle siepi per avventarsi sulle briciole dei sandwich. Lasciai Rosalind e tornai indietro a prendere un altro caffè. Ci misi un po' di tempo, di proposito, per darle la possibilità di tranquillizzarsi. Quando ritornai però era ancora seduta sul bordo della panchina, si mordeva un labbro e stava strappando i petali di una margherita.

«Grazie» mi disse. Prese il caffè e provò a sorridere. Mi sedetti accanto a lei. «Detective Ryan, ha… ha scoperto chi ha ucciso mia sorella?»

«Non ancora» risposi. «Ma è presto. Ti prometto che faremo del nostro meglio.»

«So che lo prenderete, detective Ryan. L'ho capito nel momento in cui l'ho vista. Riesco a capire un sacco di cose sulle persone dalla prima impressione… a volte mi spaventa constatare che ho ragione così spesso… e ho intuito immediatamente che lei era la persona di cui avevamo bisogno.»

Mi stava guardando con una fede pura e incontaminata negli occhi. Mi sentii lusingato, ovviamente. Trovatemi voi un uomo a cui non piaccia essere l'eroe di una bella ragazza. Allo stesso tempo, però, quella fiducia mi faceva sentire a disagio. Era così sicura, e così disperatamente vulnerabile. Benché cercassi di non pensarci, sapevo bene che c'era la possibilità che il caso non venisse mai risolto e quale sarebbe stato l'effetto che avrebbe prodotto su di lei.

«Io l'ho sognata, detective» proseguì Rosalind, e abbassò gli occhi, imbarazzata. «La notte dopo il funerale di Katy. Non avevo dormito più di un'ora per notte da quando era scomparsa, sa. Ero… oh, ero fuori di me. Ma vedere lei, quel giorno… mi ha ricordato che non devo arrendermi. Quella notte ho sognato che lei bussava alla nostra porta e mi diceva che aveva preso il colpevole. Era nell'auto della polizia, alle sue spalle, e lei mi diceva che non avrebbe più fatto del male a nessuno.»

«Rosalind» cominciai. Quello proprio non riuscivo a sopportarlo. «Stiamo facendo del nostro meglio e non ci arrenderemo. Ma ti devi preparare alla possibilità che potrebbe volerci del tempo.»

Scosse la testa. «Lo troverà» si limitò a ripetere.

Lasciai perdere. «Mi hai detto che c'era una cosa che volevi chiedermi. Di che si tratta?»

«Sì.» Inspirò profondamente. «Che cosa è successo a mia sorella, detective Ryan? Esattamente?»

I suoi occhi erano grandi e risoluti, e non ero sicuro di come affrontare l'argomento: se glielo avessi detto, sarebbe crollata, ne sarebbe uscita distrutta, si sarebbe messa a urlare? I giardini erano pieni di impiegati che chiacchieravano durante la pausa pranzo. «Penso che dovrebbero essere i tuoi genitori a dirtelo» risposi.

«Ho diciotto anni, sa. Non ha bisogno del loro permesso per parlare con me.»

«Non importa.»

Rosalind si morse il labbro inferiore. «L'ho chiesto. Lui… loro… loro mi hanno detto di stare zitta.»

Qualcosa mi sfrecciò dentro: rabbia, allarme, pietà, non ne sono certo. «Rosalind» cominciai, con molto tatto, «a casa è tutto a posto?»

Sollevò di scatto la testa, la bocca dischiusa a formare una piccola O. «Sì» rispose con voce bassa e incerta. «Certamente.»

«Ne sei sicura?»

«Lei è molto gentile» disse con voce tremante. «È così buono con me. È… è tutto a posto.»

«Ti sentiresti più a tuo agio a parlarne con la mia collega?»

«No» si affrettò a replicare, con quello che mi parve un tono di disapprovazione nella voce. «Volevo parlare con lei perché…» Si rigirò la tazza in grembo. «Mi pareva che a lei interessasse, detective Ryan. Di Katy intendo. Alla sua collega no, ma lei… lei è diverso.»

«Ma certo che interessa anche a lei» le spiegai. Avrei voluto metterle un braccio intorno alle spalle per rassicurarla, o una mano sulle sue, o qualcosa del genere, ma non sono mai stato un granché in quelle cose.

«Oh, lo so, lo so. Ma la sua collega…» Mi fece un sorrisino di autocritica. «Credo che mi spaventi un po'. È così aggressiva.»

«La mia collega?» chiesi, sorpreso. «Il detective Maddox?» Cassie è sempre stata quella con la reputazione della più brava con le famiglie. Sono io quello che si irrigidisce e che non sa cosa dire. Cassie sembra sapere sempre qual è la cosa giusta da dire e il modo più gentile per farlo. Alcune famiglie le mandano ancora biglietti di Natale pieni di gratitudine.

Rosalind fece con le mani un piccolo gesto d'impotenza. «Oh, detective Ryan, non intendevo in senso cattivo. Essere aggressivi è una cosa positiva, specialmente nel vostro lavoro, no? E io probabilmente sono troppo sensibile. È stato il modo con cui si è rivolta ai miei genitori: so che doveva fare tutte quelle domande, ma è stato il modo in cui le ha fatte, così freddo… Jessica era veramente turbata. E la sua collega mi sorrideva come se fosse tutto… la morte di Katy non è stato un gioco, detective Ryan.»

«Per niente» le dissi. Stavo ripercorrendo mentalmente il momento di quel terribile incontro nel soggiorno dei Devlin per cercare di capire cosa diavolo avesse fatto Cassie per sconvolgere così la ragazza. L'unica cosa che mi venne in mente fu che Cassie aveva rivolto un sorriso incoraggiante a Rosalind quando l'aveva fatta sedere sul divano; a posteriori, immagino che potesse essere stato un po' inappropriato, ma non abbastanza da causare quel tipo di reazione. Lo shock e il dolore spesso fanno reagire le persone in modo strano e illogico, eppure, tanto nervosismo non faceva che rafforzare il mio sospetto che in quella casa ci fosse qualcosa che non andava. «Mi dispiace se abbiamo dato l'impressione…»