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Rosalind annuì. «Grazie, detective Ryan. Me lo ricorderò.» Ma il suo viso era chiuso, poco animato, ed ebbi la sensazione che, in qualche modo, dovevo averla delusa.

In ufficio, Cassie stava fotocopiando delle dichiarazioni. «Chi era?»

«Rosalind Devlin.»

«Ah» commentò. «Cosa ti ha detto?»

Per una strana ragione, non mi andava di fornirle i dettagli. «Niente di particolare. Solo che, nonostante quello che ne pensa Jonathan, Katy era interessata ai ragazzi. Rosalind non conosce i nomi e quindi dovremo parlare di nuovo con le amiche di Katy e vedere se ci possono dire di più. Ha anche detto che Katy diceva bugie. In realtà, la maggior parte dei bambini lo fa.»

«Nient'altro?»

«Non molto.»

Cassie si girò dalla fotocopiatrice con un foglio in mano e mi lanciò una lunga occhiata che non riuscii a decifrare. Poi mi disse: «Almeno con te parla. Cerca di restare in contatto, potrebbe aprirsi di più con il tempo».

«Le ho chiesto se c'era qualcosa che non andava in casa» proseguii, in tono un po' colpevole. «Ha risposto di no, ma non le credo.»

«Mmm» mormorò Cassie, e si rimise a fare fotocopie.

Quando però parlammo di nuovo con Christina, Marianne e Beth, nessuna di loro cambiò versione: Katy non aveva avuto ragazzi e nessuna cotta in particolare. «La prendevamo in giro, a volte» disse Beth, «ma non sul serio, sa? Scherzavamo.» Era una bambina dall'aria allegra, con i capelli rossi, che stava già iniziando a sviluppare le prime curve e, quando le si riempirono gli occhi di lacrime, ne parve sconcertata, come se piangere fosse ancora una cosa sconosciuta. Cercò nella manica del golf ed estrasse un fazzoletto malconcio.

«Potrebbe non avercelo detto, però» intervenne Marianne. Era la più silenziosa del gruppo, una graziosa e pallida bambina che si perdeva nei suoi eccentrici abiti da preadolescente. «Katy è… era molto riservata su certe cose. Come la prima volta che ha fatto l'audizione per la scuola di danza. Non l'abbiamo saputo fino a quando non fu accettata, ve lo ricordate?»

«Be', ca… spiterina, non è la stessa cosa» disse Christina, ma anche lei aveva pianto e gran parte dell'autorità che poteva avere la sua voce era smorzata dal naso tappato. «Non possiamo non avere notato che avesse un ragazzo.»

Gli agenti di supporto avrebbero interrogato nuovamente tutti i ragazzi del quartiere e i compagni di classe di Katy, ovviamente, tanto per essere sicuri. Intuivo però che, in qualche modo, era esattamente quello che mi ero aspettato. Quel caso era come il gioco delle tre carte e mi faceva andare fuori di testa: sapevo che il premio era lì da qualche parte, proprio sotto i miei occhi, ma il gioco era truccato e il tipo che manovrava le carte troppo veloce per me; ogni volta che ne giravo una, certo che fosse quella giusta, constatavo con amarezza che era quella sbagliata.

Sophie mi chiamò mentre ce ne stavamo andando da Knocknaree per dirmi che erano arrivati i risultati degli esami di laboratorio. Era in strada anche lei perché sentivo che la voce andava e veniva con il sobbalzare del cellulare e sentivo anche il picchiettare veloce e deciso delle sue scarpe.

«Ho i risultati sulla piccola Devlin» disse. «Il laboratorio ha un arretrato di sei settimane, e sai come sono, ma ho fatto in modo che dessero la precedenza a questo caso. Ho quasi dovuto andare a letto con il responsabile per convincerlo.»

Sentii aumentare il battito cardiaco. «Che Dio ti benedica, Sophie» le dissi. «Ti siamo di nuovo debitori.» Cassie, alla guida, mi lanciò un'occhiata. «I risultati» le bisbigliai.

«L'esame tossicologico è negativo. Non era drogata, né ubriaca, e non prendeva nessuna medicina. Era coperta di tracce, per la maggior parte esterne: terra, polline… le solite cose. Ma c'è una cosa positiva: tutto, compreso ciò che abbiamo rinvenuto sui vestiti e mischiato al sangue, è compatibile con la composizione del terreno intorno a Knocknaree. Quindi stiamo parlando di cose che non le si sono attaccate addosso nel luogo dove è stata lasciata. Dal laboratorio fanno sapere che c'è una pianta molto rara in quel bosco che non cresce in nessun altro posto qui vicino, e l'esperto si è tutto gasato per la faccenda. Dice che il polline non si sposta per più di un chilometro, un chilometro e mezzo, quindi è probabile che sia sempre stata a Knocknaree.»

«Questo combacia con quello che abbiamo» la incalzai. «Arriva alla parte positiva.»

Sophie sbuffò. «Era questa. Le impronte sono un vicolo cieco: metà corrispondono a quelle degli archeologi e le altre sono troppo poco chiare per esserci d'aiuto. Praticamente tutte le fibre sono compatibili con ciò che abbiamo prelevato in casa. Alcune non sono state identificate, ma niente di particolare. Un capello sulla maglietta corrisponde a quello dell'idiota che l'ha trovata, due, uno sui pantaloni e uno su una calza, a quelli della madre, che probabilmente è quella che si occupa del bucato, quindi questo non ci aiuta.»

«Niente DNA? O impronte digitali, o altro?»

«Ah!» fece Sophie. Stava mangiando qualcosa di croccante, popcorn o, più probabilmente, patatine: lei vive quasi solo di cibo spazzatura. «Alcuni parziali ematici, ma sono venuti via da un guanto di gomma, chi l'avrebbe mai detto, eh? Quindi nessun tessuto epiteliale. Niente sperma o saliva e niente sangue tranne quello della bambina.»

«Fantastico» commentai, con il morale a terra. Ci ero cascato di nuovo, avevo sperato e ora mi sentivo fregato, uno stupido.

«A eccezione di quella piccola vecchia macchia che aveva trovato Helen. Hanno preso il gruppo sanguigno: è A positivo. Quello della vittima è 0 negativo.»

Si bloccò per masticare un po' di patatine, mentre il mio stomaco eseguiva un complicato movimento. «Che c'è?» mi chiese, visto che non dicevo nulla. «È quello che volevi sentire, no? Come nel vecchio caso.»

«Sì» assentii. Sentivo che Cassie stava ascoltando. Le voltai le spalle. «È fantastico. Grazie, Sophie.»

«Abbiamo mandato i tamponi e quelle scarpe per un test del DNA» continuò Sophie, «ma fossi in te non ci conterei troppo. Scommetto che si è degradato, che è marcio. Chi è il genio che tiene prove ematiche in una cantina?»

Come per un tacito accordo, Cassie stava seguendo il vecchio caso mentre io mi concentravo sui Devlin. McCabe era morto diversi anni prima, di attacco cardiaco, così andò a trovare Kiernan. Era in pensione e viveva a Laytown, un piccolo paese di pendolari lungo la costa. Aveva superato i settanta, con un viso rubizzo e cordiale e il fisico di un giocatore di rugby fuori forma, ma portò Cassie a fare una lunga passeggiata sulla spiaggia deserta dove, tra grida di chiurli e gabbiani, le disse quello che ricordava del caso di Knocknaree. Sembrava felice, riferì Cassie quella sera, mentre lei accendeva il fuoco, io spalmavo senape su un pane tipo ciabatta e Sam versava il vino. Si era messo a lavorare il legno – c'era segatura sui suoi morbidi pantaloni consumati – e la moglie gli aveva avvolto una sciarpa intorno al collo e lo aveva baciato su una guancia quando era uscito.

Ricordava il caso, però: ne ricordava ogni singolo dettaglio. In tutta la breve e disorganizzata storia dell'Irlanda come nazione, erano scomparsi, e non erano mai stati ritrovati, meno di una mezza dozzina di bambini, e Kiernan non era mai riuscito a dimenticare che due di loro erano stati affidati alle sue mani. La ricerca era stata massiccia (Cassie ci disse che lo aveva sentito un po' sulla difensiva, come se quella fosse stata una conversazione che gli era frullata molte volte nella testa), erano stati impiegati cani, elicotteri, sommozzatori; poliziotti e volontari avevano passato al setaccio migliaia di ettari di bosco e collina e campi in ogni direzione, iniziando all'alba di ogni mattina per settimane e continuando fino al tramonto di quella tarda estate. Avevano seguito piste a Belfast, a Kerry e anche a Birmingham, e per tutto il tempo Kiernan aveva avvertito la fastidiosa e insistente sensazione che stavano andando nella direzione sbagliata, che la risposta era sempre rimasta davanti a loro.