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«Lo so» dissi, in quello che speravo fosse un tono conciliatorio. «Lo so. Capisco quanto sia difficile…»

«No, in realtà, detective Ryan, non lo sa.» Il ginocchio accavallato di Rosalind si muoveva con rabbia. «Nessuno può capire come ci si sente. Non so perché siamo venute qui. Jessica non riesce a dirle cosa ha visto e ovviamente lei non ritiene che sia importante. Possiamo anche andarcene.»

Non potevo perderle. «Rosalind» le dissi con tono pressante, sporgendomi sul tavolo, «sto prendendo tutta questa storia molto seriamente. E vi capisco. Davvero, vi capisco.»

Rosalind rise, amara, cercando la sua borsa sotto il tavolo. «Oh, ne sono certa. Mettilo giù, Jessica. Andiamo a casa.»

«Rosalind, io capisco. Quando avevo circa l'età di Jessica, due miei amici scomparvero. So cosa state passando.»

Sollevò la testa e mi guardò.

«So che non è come perdere una sorella…»

«No, infatti.»

«… ma so come è difficile per chi rimane. Mi impegnerò a fondo perché riceviate delle risposte, okay?»

Rosalind continuò a guardarmi per un altro lungo momento. Poi lasciò cadere la borsa e rise, di sollievo, fino a rimanere senza fiato. «Oh… oh, detective Ryan!» Senza rendersene conto si era allungata sul tavolo e mi aveva preso la mano. «Lo sapevo che c'era un motivo per cui pensavo che fosse la persona giusta per questo caso!»

Non l'avevo mai vista così e quella constatazione mi faceva star bene. «Spero che tu abbia ragione» le dissi.

Le strinsi la mano, doveva essere un gesto rassicurante, ma improvvisamente lei capì quello che aveva fatto e la ritirò, imbarazzata. «Oh, non intendevo…»

«Sai cosa?» proposi. «Possiamo parlare un po', tu e io, fino a quando Jessica non si sentirà pronta a dirmi quello che ha visto. Che ne dici?»

«Jessica? Cucciola?» Rosalind le toccò il braccio e lei ebbe un sussulto. Aveva gli occhi sbarrati. «Ti va di rimanere qui un po'?»

Jessica ci pensò, guardando Rosalind in faccia. Rosalind le sorrise. Alla fine annuì.

Andai a prendere due caffè, per me e Rosalind, e una 7-Up che Jessica tenne con entrambe le mani, rimanendo a fissare come ipnotizzata le bollicine che salivano verso l'alto nel bicchiere mentre io e Rosalind parlavamo.

Se devo essere sincero, non mi ero aspettato di godermi la conversazione con una teenager, ma Rosalind era una ragazza particolare. Lo shock iniziale per la morte di Katy si era dissolto e per la prima volta ebbi la possibilità di vedere com'era veramente: estroversa, vivace, frizzante, incredibilmente brillante. Mi chiesi dove fossero le ragazze così quando avevo diciott'anni. Era ingenua, ma lo sapeva; faceva battute su se stessa («… è venuto direttamente da me e mi ha detto: "Dammi i soldi!" e io ero così sorpresa che gli ho risposto: "Oh, non ho molti soldi, ma le va un po' di cioccolata?". E lui è rimasto così sorpreso che ha detto: "Grazie, cara", ha preso la cioccolata e se ne è andato…») con un tale entusiasmo e un'espressione così furba che – nonostante il contesto, la mia preoccupazione che tutta quell'ingenuità un giorno avrebbe potuta metterla in pericolo, Jessica che se ne stava lì e guardava le particelle invisibili come un gatto – risi di gusto.

«Cosa vuoi fare dopo la scuola?» le chiesi. Ero davvero curioso, non riuscivo a immaginare una ragazza così chiusa in un ufficio tutto il giorno.

Rosalind sorrise, ma un'ombra appena accennata di tristezza le attraversò il volto. «Mi piacerebbe studiare musica. Suono il violino da quando avevo nove anni e compongo un po'. Il mio insegnante dice che sono… be', dice che non dovrei avere problemi a entrare in una buona scuola. Ma…» Sospirò. «Costa molto e i miei… i miei genitori non sono proprio d'accordo. Vogliono che segua un corso di segretaria.»

Però avevano sempre sostenuto le ambizioni di Katy di entrare alla Royal Ballet School. A Violenza domestica m'erano capitati casi come quello, dove i genitori sceglievano il figlio prediletto o il capro espiatorio (Jonathan, infatti, aveva detto, il primo giorno: «Era la mia piccolina») e per gli altri fratelli e sorelle era come crescere in una famiglia diversa. Pochi di loro finivano bene.

«Troverai il modo» dissi. L'idea che facesse la segretaria era ridicola. Ma come ragionava Devlin? «Una borsa di studio o qualcosa del genere. A quanto pare sei brava.»

Abbassò la testa, con modestia. «Be', l'anno scorso l'Orchestra giovanile nazionale ha eseguito una sonata che ho scritto io.»

Ovviamente non le credetti. La bugia era chiara: un evento di quella portata, qualcuno l'avrebbe menzionato durante il porta-a-porta. Ma mi arrivò dritto al cuore, come nessuna sonata avrebbe mai potuto, perché la riconobbi come tale. "Questo è il mio fratello gemello, si chiama Peter, ha sette minuti più di me…" I bambini, e Rosalind era poco più di una bambina, non dicono bugie senza senso, a meno che la realtà non sia troppo pesante da sopportare.

Fui lì lì per lasciarmelo sfuggire. "Rosalind, so che c'è qualcosa che non va a casa, dimmi, lascia che ti aiuti…" Ma era troppo presto. Avrebbe eretto nuovamente tutte le sue difese, avrebbe distrutto quello che ero riuscito a fare. «Bene» dissi. «È proprio una gran bel risultato.»

Rise, un po' imbarazzata, e mi guardò da sotto in su.

«I suoi amici» mi chiese timidamente. «Quelli che sono spariti. Cosa è successo?»

«È una storia lunga» dissi. Mi ci ero ficcato da solo in quella situazione e non avevo idea di come uscirne. Gli occhi di Rosalind cominciavano a diventare sospettosi. Di certo non avrei iniziato a raccontare tutta la storia di Knocknaree, ma l'ultima cosa che volevo era perdere la sua fiducia dopo tutta quella fatica.

Fu Jessica, di tutte le persone, a salvarmi: si mosse un po' sulla poltrona, allungò un dito verso il braccio di Rosalind.

Rosalind sembrò non notarlo. «Jessica?» dissi.

«Oh, cosa c'è, cara?» Rosalind si sporse verso di lei. «Sei pronta a raccontare al detective Ryan di quell'uomo?»

Jessica annuì rigidamente. «Ho visto un uomo» disse, tenendo lo sguardo su Rosalind e non su di me. «Ha parlato a Katy.»

Il mio battito cardiaco cominciò ad aumentare. Se fossi stato religioso, avrei acceso candele a tutti i santi del calendario: finalmente una pista solida. «Brava, Jessica. Dove è stato?»

«Sulla strada. Quando stavamo tornando dal negozio.»

«Solo tu e Katy?»

«Sì. Possiamo andarci.»

«Non ho dubbi che sia così. Cosa ha detto?»

«Ha detto…» Jessica respirò profondamente. «Ha detto: "Sei una ballerina molto brava" e Katy ha risposto: "Grazie". Le piace quando le persone le dicono che è una brava ballerina.»

Guardò ansiosamente verso Rosalind. «Stai andando benissimo, cucciola» la incoraggiò la sorella, accarezzandole i capelli. «Continua.»

Jessica annuì. Rosalind toccò il bicchiere e, ubbidiente, Jessica bevve un sorso della 7-Up. «Poi» continuò, «poi ha detto: "E sei una ragazza molto carina" e Katy ha detto: "Grazie". Anche questo le piace. E poi lui ha detto… ha detto… ha detto… "Anche alla mia bambina piace ballare, ma si è rotta una gamba. Vuoi venire a vederla? Sarebbe molto contenta." E Katy ha detto: "Non ora. Dobbiamo andare a casa". Così siamo tornate a casa.»

"Sei una ragazza carina…" Di questi tempi, pochi uomini direbbero una cosa del genere a una dodicenne. «Sai chi era l'uomo?» le chiesi. «Lo avevi mai visto prima?»

Scosse la testa.

«Che aspetto aveva?»

Silenzio, un respiro. «Grande.»

«Grande come me? Alto?»

«Sì… ehm… sì. Ma anche grande così.» Allungò le braccia in fuori e il bicchiere barcollò pericolosamente.

«Un uomo grasso?»

Jessica rise e fu un suono tagliente, nervoso. «Sì.»

«Che cosa indossava?»

«Una… una tuta. Di colore blu scuro.» Guardò Rosalind la quale annuì, incoraggiante.

"Merda" pensai. Il cuore mi batteva all'impazzata. «Come aveva i capelli?»

«Niente… non ce li aveva.»