«Cristo.»
«E i giornalisti?» chiese Cassie all'improvviso.
Sam scosse la testa. «I giornalisti, cosa?»
«Hai detto che c'erano articoli sull'autostrada già nel 1994. Devono esserci dei giornalisti che hanno seguito la storia e dovrebbero avere un'idea di chi ha comprato il terreno, anche se non possono pubblicarlo. Siamo in Irlanda, non c'è niente di segreto. Ci sono solo cose di cui la gente non parla.»
«Cassie» disse Sam, illuminato in volto, «sei fantastica. Ti sei guadagnata una birra.»
«Invece di offrirmi una birra, non è che leggeresti i rapporti porta-a-porta al posto mio? O'Gorman struttura le frasi come George Bush. Il più delle volte non capisco di cosa parli.»
«Senti, Sam» dissi io, «se viene fuori qualcosa, saremo noi due a offrirti birra per un bel po'.» Sam si spostò verso la sua parte del tavolo e mentre passava assestò una pacca sulla spalla di Cassie. Si mise a esaminare una cartella di ritagli di giornale come un segugio alle prese con un odore nuovo, mentre io e Cassie tornavamo ai nostri rapporti.
Lasciammo la mappa attaccata al muro. Mi dava sui nervi, per motivi che neanche io riuscivo a comprendere. Penso che fosse per la sua perfezione, per i dettagli accuratamente rappresentati: foglioline arricciate nel bosco, piccole pietre bitorzolute sul muro del torrione. Forse nel mio subconscio pensavo che un giorno l'avrei guardata e vi avrei visto due faccine che ridevano e che si nascondevano fra gli alberi tratteggiati a china. In una delle macchie gialle, Cassie aggiunse la figura di un operatore immobiliare elegantemente vestito, con corna e piccole zanne acuminate. Disegna come un bambino di otto anni, ma mi spaventavo ogni volta che vedevo con la coda dell'occhio quella dannata cosa che mi guardava.
Per la prima volta cominciai a fare un tentativo serio di ricordare veramente cos'era successo in quel bosco. Mi affacciavo esitante sul limitare dei miei ricordi, a malapena ammettendo con me stesso quello che stavo facendo, come un bambino che si stacca una crosta ma ha paura di guardare. Facevo lunghe passeggiate – soprattutto nelle prime ore del mattino, quando non stavo da Cassie e non mi riusciva di dormire – vagabondando per ore in città come in trance, ascoltando i rumori della mia mente e ritrovandomi a fissare, stordito e sbattendo le palpebre, la trasandata insegna al neon di uno sconosciuto centro commerciale, o gli eleganti frontoni di qualche casa georgiana nella parte più chic di Dun Laoghaire, senza avere idea di come ci fossi arrivato.
Però funzionò, almeno fino a un certo punto. Libera, la mente rilasciava fiumi di immagini come diapositive che scorrevano a velocità doppia, e gradatamente imparai il trucco di allungarmi, mentre mi volavano accanto, per trattenerle e osservarle dispiegarsi tra le mie mani. I nostri genitori che ci portavano in città per comprare i vestiti per la prima comunione; Peter e io, eleganti nei nostri abiti scuri, piegati a metà da crudeli risate quando Jamie, dopo una lunga battaglia a bassa voce con sua madre, era uscita dal camerino delle donne con una bomboniera addosso e uno sguardo di ribrezzo sul viso; Mick il Matto, lo svitato locale, che indossava cappotti e guanti senza dita tutto l'anno e sussurrava fra sé e sé interminabili sequele di amare imprecazioni; Peter che ci diceva che Mick era pazzo perché da giovane aveva fatto delle cose sporche con una ragazza e lei stava per avere un bambino, così si era impiccata nel bosco e le era diventata la faccia nera. Un giorno Mick aveva iniziato a urlare fuori dal negozio di Lowry. I poliziotti lo avevano portato via con la loro auto e noi non lo avevamo più visto. Il mio banco a scuola, un vecchio e nodoso pezzo di legno con un obsoleto buco in alto per l'inchiostro, lucido per l'usura e coperto da anni di disegnini: una mazza da hurling, un cuore con delle iniziali scarabocchiate sopra, "Des Pearse è stato qui, 12/10/67". Niente di speciale, lo so, niente che ci aiutasse con il caso. Si trattava di immagini a malapena degne di essere menzionate. Ma ero abituato a dare per scontato che i primi dodici anni della mia vita fossero svaniti per sempre e il minimo ricordo aveva quindi un che di magico e potente, era un frammento della stele di Rosetta con un unico, intrigante carattere.
A volte riuscivo a ricordare qualcosa che, se non era utile, poteva essere considerato rilevante. Megadeth e Sandra, seduti sotto un albero… Avevamo capito, piano piano, un po' con la sensazione di ricevere un insulto, che non eravamo gli unici a reclamare il bosco come territorio che ci apparteneva per gestirci le nostre faccende. C'era una radura, in mezzo al bosco, non lontano dal vecchio castello: le prime campanule primaverili, spade di rami flessibili che lasciavano lunghe scie rosse sulle braccia, un folto cespuglio che a fine estate era pieno di more. A volte, quando non avevamo nient'altro da fare, andavamo a spiare i motociclisti. Ricordai un episodio, ma con l'impressione che facesse parte di qualcosa di abituale, di qualcosa che avevamo già fatto.
Una calda giornata d'estate, il sole sul collo e un sapore di Fanta ancora in bocca. La ragazza di nome Sandra era sdraiata nella radura dove l'erba era appiattita, Megadeth era quasi sopra di lei. Aveva la camicetta giù dalle spalle così che si vedevano le bretelle del reggiseno nero di pizzo. Aveva le mani fra i capelli di Megadeth e si baciavano con le bocche aperte. «Bleah, ti prendi i germi così» mi sussurrò all'orecchio Jamie.
Mi schiacciai ancora di più a terra, con l'erba che mi lasciava i segni sulla pancia dove la maglietta si era arrotolata. Respiravamo con la bocca per fare meno rumore.
Peter imitò il suono di un lungo bacio, ma piano, perché loro non sentissero. Per soffocare le nostre risate a crepapelle, ci mettemmo la mano sulla bocca, intimandoci l'un l'altro di stare zitti. Occhiali da Sole e la ragazza alta con i cinque orecchini erano dall'altra parte della radura. Anthrax restava quasi sempre al limitare del bosco, a scalciare il muro, a fumare e a lanciare sassi contro le lattine di birra. Peter prese un sassolino e, ridendo, lo fece rotolare nell'erba fino a pochi centimetri dalla spalla di Sandra. Megadeth, che respirava rumorosamente, non sollevò nemmeno lo sguardo. Rimanemmo con i visi schiacciati nell'erba fino a quando non ci passò la crisi di ridarella.
Poi Sandra girò la testa e guardò diritto verso di me, tra gli steli d'erba lunga e la cicoria. Megadeth la stava baciando sul collo e lei non si muoveva. Da qualche parte, accanto alla mia mano, una cavalletta saltellava nell'erba. Sostenni quello sguardo, con il cuore che batteva lento e pesante contro il terreno.
«Andiamo» mi sussurrò Peter con un tono d'urgenza nella voce. «Andiamo, Adam.» Mi sentii tirare per le caviglie e, dopo qualche contorsione, graffiandomi le gambe contro gli arbusti, ritornai sotto l'ombra degli alberi. Sandra mi stava ancora guardando.
Mi balzarono alla mente altri ricordi, alcuni tuttora difficili da affrontare. Ricordai, ad esempio, che scendevo le scale della nostra casa senza toccarle. Ricordo anche ora, in ogni dettaglio: la trama piena di nervature della carta da parati con i suoi bouquet di rose sbiadite, il modo in cui la luce del sole entrava dalla porta del bagno, scendeva giù per le scale, faceva brillare il pulviscolo e risaltare il marrone scuro della vernice della ringhiera; ricordo i movimenti abili e abituali della mia mano con cui mi spingevo sulla balaustra per librarmi serenamente al piano di sotto, i piedi che nuotavano a qualche centimetro dalla moquette.
Ricordai noi tre che trovavamo un giardino segreto, da qualche parte nel cuore del bosco, dietro un muro nascosto o una via d'accesso. Alberi da frutta inselvatichiti, meli, ciliegi, peri. Fontane di marmo in rovina, rivoli d'acqua che scorrevano ancora in percorsi nella pietra ricoperti di muschio. Grandi statue a ogni angolo, in alto coperte di edera, in basso soffocate dalle erbacce, braccia e teste mozzate sparse nell'erba lunga e nel cerfoglio selvatico. La luce grigia dell'alba, il rumore dei nostri passi, la rugiada sulle gambe nude, la mano di Jamie, piccola e rosea, sulle pieghe di un abito di pietra, il suo viso rivolto verso l'alto per guardare in quegli occhi vuoti. Il silenzio infinito. Ero consapevole del fatto che se quel giardino fosse esistito sarebbe stato trovato dagli archeologi che avevano condotto le prime esplorazioni, le statue ora sarebbero al Museo nazionale e Mark avrebbe fatto del suo meglio per descrivercele. Ma il problema era che io, quel giardino, me lo ricordavo ugualmente.