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«Mollare?» chiese O'Kelly, indignato. «Quando mi avete sentito parlare di mollare? Non stiamo mollando un bel niente. Stiamo ridimensionando e basta.»

Nessuno disse niente. O'Kelly si sporse in avanti e tamburellò con le dita sulla scrivania. «Ragazzi» riprese in tono più tranquillo, «questa è una semplice analisi costi-benefici. Avete già ottenuto tutto il possibile dagli agenti di supporto. Quante persone vi sono rimaste da interrogare?»

Silenzio.

«E quante telefonate sono arrivate oggi sulla linea delle informazioni alla polizia?»

«Cinque» rispose Cassie dopo un momento. «Finora.»

«Qualcuna utile?»

«Forse no.»

«Precisamente.» O'Kelly allargò le mani. «Ryan, lo hai detto anche tu che non è un caso che si risolve in un soffio. È proprio questo che vi sto dicendo: ci sono casi veloci e casi lenti, e questo richiederà del tempo. Nel frattempo però, ci sono stati altri tre omicidi, c'è una specie di guerra della droga su a nord, e ci sono persone che mi chiamano da ogni parte per sapere cosa sto facendo con tutti gli agenti di supporto di Dublino. Capite cosa voglio dire?»

Lo capivo fin troppo bene. Di O'Kelly si sarebbe potuto dire tutto, ma bisognava dargli credito di questo: un numero spaventosamente grande di sovrintendenti ci avrebbero tolto il caso, a me e a Cassie, fin dall'inizio. Fondamentalmente, l'Irlanda è ancora una piccola città, di solito si ha un'idea del colpevole quasi fin dall'inizio e la maggior parte del tempo e dello sforzo non viene dedicata alla sua identificazione, ma a costruire un caso che non faccia acqua. Nei primi giorni, quando era stato chiaro che l'Operazione Vestale avrebbe rappresentato un'eccezione di alto profilo, O'Kelly doveva aver provato la tentazione di rispedirci ai nostri delinquentelli delle code ai taxi e di passare il caso a Costello o a uno dei colleghi con più di trent'anni di esperienza. Non mi ritengo un ingenuo, ma quando non lo aveva fatto, avevo attribuito la cosa a una qualche forma di lealtà, di riluttanza a mollare… non verso di noi personalmente, ovviamente no, ma verso di noi come membri della sua squadra. Mi era piaciuto come pensiero. Così adesso mi chiedevo se non ci fosse stato dell'altro: se un suo sesto senso segnato dalle cicatrici di numerose battaglie non avesse saputo fin dall'inizio che quel caso era destinato al fallimento.

«Tenetene uno o due» concesse, magnanimo. «Per le telefonate dei cittadini, le scarpinate e roba del genere. Chi volete?»

«Sweeney e O'Gorman» dissi subito. Avevo imparato bene i nomi, ma in quel momento erano gli unici due che ricordavo.

«Andate a casa» ci salutò O'Kelly. «Riposatevi questo weekend. Bevetevi una birra o due, dormite un po'… Tu, Ryan, hai gli occhi che sembrano buchi nella neve fatti col piscio. Passate un po' di tempo con le vostre ragazze o con chi volete e tornate lunedì freschi e pimpanti.»

In corridoio non ci guardammo. Nessuno fece per tornare alla sala operativa. Cassie si appoggiò al muro e strisciò la punta della scarpa sulla moquette.

«Ha ragione, in un certo senso» disse infine Sam. «Ce la faremo anche da soli.»

«No, Sam» dissi. «Proprio no.»

«Cosa?» chiese Sam, confuso. «No cosa?» Distolsi lo sguardo.

«È l'idea in sé» spiegò Cassie. «Non dovremmo essere ostacolati in questo caso. Abbiamo il corpo, l'arma, abbiamo… dovremmo avere qualcuno, a questo punto.»

«Be'» intervenni, «io so cosa farò. Troverò il pub meno indecente qui vicino e mi sbronzerò di brutto. Venite con me?»

Andammo da Doyle: musica anni Ottanta troppo alta e pochissimi tavoli, impiegati e studenti ammassati al bancone del bar. Nessuno di noi aveva voglia di andare in un luogo frequentato da colleghi dove, inevitabilmente, tutti avrebbero voluto sapere come stava andando l'Operazione Vestale. Al terzo giro, mentre tornavo dal cesso, mi scontrai con una ragazza e il suo bicchiere si ribaltò, bagnando entrambi. Era colpa sua perché mi veniva incontro girata di spalle e intanto rideva per qualcosa che aveva detto un suo amico. Era davvero molto carina, il tipo minuto ed etereo che mi piace. Mi lanciò un'occhiata d'apprezzamento mentre ci scusavamo reciprocamente e controllavamo i danni, così le offrii un altro drink e cominciammo a chiacchierare.

Si chiamava Anna e frequentava un master di storia dell'arte. Aveva una cascata di capelli chiari che mi faceva pensare a spiagge calde, indossava una di quelle gonne bianche di cotone fluttuanti e aveva un virino che avrei potuto stringere tra le mani. Le dissi che ero un professore di letteratura di un'università in Inghilterra, non ricordo quale, venuto per fare ricerche su Bram Stoker. Lei succhiava dal bordo del bicchiere e rideva alle mie battute, mostrando piccoli denti bianchi e un'affascinante malocclusione dentale superiore.

Dietro di lei, Sam rideva a sopracciglia inarcate e Cassie faceva la mia imitazione del cucciolo con gli occhioni e la lingua penzoloni, ma non mi interessava. Era passato molto tempo dall'ultima volta che ero stato con una donna e desideravo ardentemente andare a casa con quella ragazza, ridere con lei magari in un appartamento di studenti con poster d'arte alle pareti, arrotolarmi quei capelli così appariscenti attorno alle dita e lasciare che la mente si perdesse nel nulla, giacere nel suo letto tutta la notte e il giorno seguente, tranquillo e al sicuro, senza pensare a nessuna delle nostre beghe investigative. Misi una mano sulla spalla di Anna per spostarla dalla traiettoria di un tipo che girava con quattro pinte piuttosto sbilanciate e contemporaneamente mostrai il dito medio a quei due invidiosi.

La gente ci spingeva sempre più vicini. Avevamo esaurito l'argomento dei nostri rispettivi studi – confesso che avrei voluto saperne un po' di più su Bram Stoker – e ci eravamo messi a parlare delle isole Aran (di lei e di alcune amiche, l'estate precedente; delle bellezze della natura; della gioia di poter scappare dalla vita urbana con tutta la sua superficialità; che, una volta, all'alba, era certa di aver visto il Tír na nÓg, il più popolare "altromondo" irlandese, all'orizzonte) e aveva cominciato a toccarmi il polso per enfatizzare i suoi punti di vista, quando uno dei suoi amici si staccò dal suo chiassoso gruppo e venne a piazzarsi dietro di lei.

«Tutto bene, Anna?» chiese, minaccioso, mettendole un braccio intorno alla vita e lanciandomi lo sguardo infuriato del toro.

Fuori dal campo visivo dell'animale, Anna rovesciò gli occhi al cielo con un sorrisino cospiratorio. «Va tutto bene, Cillian» rispose. Non penso fosse il suo ragazzo e, a ogni modo, non si comportava come una già impegnata, ma, evidentemente, lui non era dello stesso avviso. Era un tipo robusto, belloccio, e sicuramente stava bevendo da parecchio perché non vedeva l'ora di regolare la faccenda fuori.

Per un momento ci pensai davvero. "Hai sentito cosa ha detto la signorina, amico, tornatene dai tuoi compari…" Guardai verso Sam e Cassie: avevano smesso di osservarmi e stavano conversando fitto fitto, le teste vicine per sentire meglio in quel bailamme, e Sam stava illustrando qualcosa sul tavolo con il dito. All'improvviso, mi sentii mortalmente stanco di me stesso, del mio alter ego professionale e, di conseguenza, di Anna e di qualunque gioco stesse giocando con me e con quel Cillian. «Devo tornare dalla mia ragazza» le dissi, «scusami ancora per averti rovesciato il bicchiere» e mi allontanai dalla O di sorpresa che si era formata sulla sua bocca e dalla bellicosa espressione di Cillian.

Passai brevemente il braccio attorno alle spalle di Cassie mentre mi sedevo e lei mi lanciò uno sguardo sospettoso. «Ti è andata male?» chiese Sam.

«No» rispose Cassie al posto mio. «Scommetto che ha cambiato idea e le ha detto che ha la ragazza. Ed ecco il motivo per cui adesso è così sdolcinato. La prossima volta che lo fai, Ryan, baciò Sam così a lungo da stenderlo e lascio che i compari della tua amichetta te le suonino per averla presa in giro così.»