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«Fantastico» fu l'allegro commento di Sam. «Mi piace questo gioco.»

All'ora di chiusura, Cassie e io tornammo al suo appartamento. Sam era andato a casa, era venerdì e non dovevamo alzarci presto il mattino dopo. Non sembrava esserci ragione per non restare ancora alzati a bere, a cambiare musica di tanto in tanto e lasciare che il fuoco lentamente si riducesse a un invisibile bagliore.

«Sai» disse pigramente Cassie mentre pescava dal suo bicchiere un pezzo di ghiaccio da masticare, «quello che abbiamo dimenticato è che i bambini pensano in modo diverso.»

«A cosa ti stai riferendo?» Stavamo parlando di Shakespeare, di qualcosa che aveva a che fare con le fate in Sogno di una notte di mezza estate, e la mia mente era rimasta lì. Immaginando che stesse per tirare fuori una qualche analogia da tarda notte fra il modo di pensare dei bambini e quella della gente adulta nel XVI secolo, mi stavo già apprestando alla risposta.

«Ci stiamo chiedendo come ha fatto a portarla sul luogo del delitto… no, smettila e ascolta.» Le stavo spingendo la gamba con il piede, lamentandomi: «Zitta, sono fuori servizio, non ti sento…». Ero confuso per la vodka, l'ora tarda e avevo deciso che quel caso frustrante, ingarbugliato e intrattabile mi aveva stancato. Volevo parlare ancora un po' di Shakespeare o magari giocare a carte. «Quando avevo undici anni un tipo provò a molestarmi.»

Smisi di scalciare e sollevai la testa per guardarla. «Cosa?» chiesi, forse con troppa sollecitudine. Eccola, finalmente, pensai, la stanza segreta di Cassie, e stavo per esserci invitato.

Mi guardò, divertita. «No, non mi fece nulla. Non fu niente di che.»

«Ah» dissi, scioccamente e appena un po' seccato. «Allora cosa accadde?»

«A scuola da me c'era la mania delle biglie: tutti giocavano a biglie, sempre, durante il pranzo, dopo la scuola. Si portavano in giro in un sacchetto di plastica e più ne avevi meglio era. Così un giorno che ero rimasta in punizione dopo la scuola…»

«Tu? Sono strabiliato» dissi. Mi girai su un fianco e recuperai il bicchiere. Non ero certo di dove sarebbe andata a parare con quella storia.

«Vaffanculo, solo perché tu eri il Signorino Perfettino. Comunque, stavo andando via, e uno del personale, non un insegnante… un custode o forse un bidello o roba del genere, uscì da un piccolo capanno e mi chiese: "Vuoi delle biglie? Io ne ho alcune bellissime, se vieni qui te ne regalo un po'". Era un vecchio, avrà avuto sessant'anni, con i capelli bianchi e dei baffi enormi. Così mi affacciai alla porta del capanno e dopo un po' entrai.»

«Dio, Cass. Che scemetta» la sgridai benevolmente. Bevvi un altro sorso, appoggiai il bicchiere e le presi i piedi sulle mie gambe per massaggiarglieli.

«No, te l'ho detto, non accadde niente. Mi venne dietro e mi mise le mani sotto le braccia, come se volesse sollevarmi, solo che poi cominciò a trafficare con i bottoni della mia camicetta. Gli chiesi: "Cosa sta facendo?" e lui: "Le biglie le tengo sullo scaffale là in alto. Ti tiro su così riesci a prenderle". Sapevo che c'era qualcosa di sbagliato, anche se non avevo idea di cosa fosse. Mi liberai e dissi: "Non le voglio, le biglie" e filai a casa di corsa.»

«Sei stata fortunata» commentai. Aveva i piedi magri e arcuati, riuscivo a sentirne i tendini anche attraverso i calzettoni morbidi che portava in casa, le piccole ossa che si muovevano sotto le mie dita. Me la immaginai a undici anni, tutta ginocchia e unghie mangiucchiate e occhi marroni seri seri.

«Sì, è vero. Dio solo sa cosa sarebbe potuto accadere.»

«Lo dicesti a qualcuno?» chiesi, ma solo perché volevo sapere di più di quella storia, essere il depositario di una qualche rivelazione, di un qualche terribile e vergognoso segreto.

«No. Mi sembrava troppo sgradevole, e comunque non sapevo neanche cosa raccontare. È questo il punto: non avevo proprio pensato che potesse avere a che fare col sesso. Sapevo del sesso, le mie amiche e io ne parlavamo in continuazione, sapevo che c'era qualcosa di sbagliato, sapevo che lui aveva cercato di sbottonarmi la camicetta, ma non feci mai due più due. Anni dopo, sui diciott'anni, qualcosa me lo ricordò perché vidi dei bambini giocare a biglie, o roba del genere. E all'improvviso capii: quell'uomo aveva cercato di molestarmi!»

«So esattamente cosa intendi» dissi. Era vero: avevo avuto la stessa sensazione archimedea a posteriori, non molto tempo prima, ma non ricordavo quando o forse era troppo difficile filtrare la cosa attraverso la vodka.

«I bambini non collegano le cose come fanno gli adulti» riprese Cassie. «Dammi i piedi che te li massaggio io.»

«Io non lo farei. Non senti le ondate di puzza dai calzini?»

«Dio, sei disgustoso. Non li cambi mai?»

«Solo quando rimangono attaccati al muro. Secondo la migliore tradizione degli scapoloni.»

«Non è una tradizione. È un'evoluzione al contrario.»

«Accomodati allora» le dissi, scoprendomi i piedi e allungandoli verso di lei.

«No. Trovati una ragazza.»

«Cosa? Cosa stai blaterando adesso?»

«Alle fidanzate non frega se hai le calze che puzzano di gorgonzola. Alle amiche sì.» Ciononostante, si diede una scrollatine alle mani in modo veloce e professionale e mi prese il piede. «Inoltre, romperesti anche un po' meno le palle se avessi una vita un po' più movimentata.»

«Senti chi parla» dissi, rendendomi conto mentre lo dicevo che non avevo idea di quanto movimento ci fosse nella vita di Cassie. Sapevo che c'era stato un quasi fidanzato prima che la conoscessi, un avvocato di nome Aidan, ma era scomparso dalla scena più o meno quando lei era entrata alla Narcotici. È difficile che i rapporti sopravvivano ai lavori sotto copertura. Ovviamente, se avesse avuto un ragazzo da allora lo avrei saputo, e mi piace pensare che avrei saputo anche se fosse uscita con qualcuno, con tutto quello che la cosa implica, ma a parte questo non avevo nessun'altra idea. Avevo sempre pensato che fosse perché non c'era niente da sapere, ma all'improvviso non ne ero più così certo. Lanciai uno sguardo incoraggiante a Cassie, ma lei, con il più enigmatico dei suoi sorrisi, continuò a massaggiarmi il tallone.

«L'altra cosa» riprese, «è il motivo per cui entrai là dentro.» Cassie ha una mente che sembra uno svincolo stradale a quadrifoglio: gira in varie direzioni e poi, per un qualche escheriano tipo di rifiuto della dimensione, ripiomba vertiginosamente al punto centrale. «Non fu solo per le biglie. Col suo accento così stretto, delle Midland, penso, mi sembrò che avesse detto: "Vuoi delle meraviglie?". Insomma, sapevo che non era così, sapevo che aveva detto "biglie", ma una parte di me pensava che fosse uno di quei misteriosi vecchietti delle storie e che nel capanno avrei trovato scaffali e scaffali pieni di sfere magiche e pozioni e antiche pergamene e piccoli draghi chiusi in gabbie. Sapevo che era solo una baracca e che lui era solo un custode, ma nello stesso tempo pensavo anche che quella potesse essere la mia occasione per diventare uno di quei bambini che entrano nell'armadio e si ritrovano in un altro mondo, e non sopportavo l'idea di dover trascorrere il resto della vita con il dubbio di essermelo perso.»

Come faccio a spiegarvi com'era il rapporto fra me e Cassie? Dovrei portarvici, accompagnarvi per ogni sentiero della nostra segreta geografia condivisa. Il truismo ritiene impossibile una vera amicizia tra un uomo e una donna eterosessuali, impossibile che siano amici platonici. Noi invece sfidavamo l'impossibile, mettevamo giù i nostri cinque assi e scappavamo via facendoci beffe degli altri. Lei era la cugina con la quale trascorrevi l'estate, come nei libri, alla quale insegnavi a nuotare in un lago pieno di moscerini e le infilavi i girini nel costume, con la quale facevi le prove dei primi baci su una collina ricoperta di erica e con la quale ne ridevi anni dopo, con uno spinello clandestino in mano, nel solaio strapieno della nonna. Mi dipingeva le unghie color oro e mi sfidava a lasciarle così per andare al lavoro. Dicevo a Quigley che, secondo lei, lo stadio di Croke Park sarebbe diventato un centro commerciale, e la guardavo mentre cercava di decifrare i suoi farfuglii indignati. Tagliò la confezione del tappetino nuovo per il mouse e mi attaccò alla schiena la parte che diceva TOCCAMI – SENTI LA DIFFERENZA: me la tenni lì mezza giornata prima di accorgermene. Uscivamo dalla sua finestra e scendevamo per la scala antincendio fino al tetto aggettante del piano di sotto per starcene lì a bere cocktail improvvisati, a cantare canzoni di Tom Waits e a guardare le stelle che ruotavano sulle nostre teste.