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«Tu eri un piccolo tesoro» mi disse mia madre, inaspettatamente. «Il bambino più affettuoso del mondo. Quando tornavi a casa da scuola o dai giochi, mi davi sempre un abbraccio grande grande e un bacio. Lo facevi anche da più grandicello e mi chiedevi: "Ti sono mancato, mamma?". E mi portavi sempre qualcosa: un sassolino dalla forma strana, un fiore… Li conservo ancora quasi tutti.»

«Io?» Ora ero felice di non aver portato Cassie. Immaginavo la luce maliziosa che si sarebbe accesa nei suoi occhi se fosse stata lì a sentire.

«Sì, tu. Per questo ero così preoccupata quando non riuscivamo a trovarti, quel giorno.» All'improvviso, mi strinse un braccio, quasi con violenza. Anche dopo tutti quegli anni, sentivo la tensione nella sua voce. «Ero in preda al panico. Tutti dicevano: "Saranno sicuramente solo scappati di casa, i bambini lo fanno, li troveremo subito", ma io rispondevo: "No. Non Adam". Eri un bambino dolce, buono. Sapevo che non ci avresti mai fatto una cosa del genere.»

Nel sentire pronunciare quel nome dalla sua voce ebbi un brivido, fulmineo, primordiale. «Penso che tu stia esagerando» obiettai. «Non ricordo di essere stato un bambino particolarmente angelico.»

Mia madre sorrise e guardò fuori dalla finestra della cucina. Quello sguardo perduto sul suo volto e il fatto che ricordasse cose che io non riuscivo a ricordare mi innervosirono. «Ah, non angelico. Premuroso. Stavi crescendo in fretta quell'anno. Avevi fatto in modo che Peter e Jamie la smettessero di tormentare quel povero bambino… come si chiamava? Quello con gli occhiali e con quella madre terribile che metteva a posto i fiori in chiesa…»

«Willy Little? Non fui io, fu Peter. Io sarei stato felice di tormentarlo fino alla fine dei tempi.»

«No, fosti tu» mi contraddisse con sicurezza mia madre. «Voi tre avevate fatto qualcosa che lo aveva fatto piangere e la cosa ti aveva scosso così tanto che decidesti che dovevate lasciarlo stare, quel povero bambino. Eri preoccupato che Peter e Jamie non avrebbero capito. Non te lo ricordi?»

«No» risposi, ed era proprio questo che mi dava più fastidio di tutta quella disagevole conversazione. Avrei dovuto preferire la sua versione della vicenda visto che, dopotutto, mi dipingeva in una luce migliore, ma non era così. Era ovviamente possibile che fosse stata lei, nel suo subconscio, a farmi diventare un eroe, o che vi avessi contribuito mentendole all'epoca. Nelle ultime settimane però ero arrivato a considerare i miei ricordi come piccoli tesori da scoprire e da tener cari, e mi sconvolgeva profondamente pensare che potessero brillare come oro falso, che fossero ingannevoli e molto lontani da ciò che sembravano. «Se non ci sono altri piatti da lavare, forse dovrei andare a parlare un po' con papà.»

«Gli farà piacere. Vai pure, posso finire io qui. Portati un paio di Guinness. Sono nel frigo.»

«Grazie per il pranzo» le dissi. «È stato squisito.»

«Adam» cominciò all'improvviso mia madre, quando feci per uscire dalla cucina, e un'altra pugnalata, rapida e insidiosa, mi colpì al costato e… Oh, Dio, come avrei voluto essere quel bambino dolce per un altro momento, come avrei voluto girarmi e affondare il viso nel suo caldo petto, e raccontarle fra i singhiozzi cosa avevano significato per me quelle ultime settimane. Pensai alla faccia che avrebbe fatto e mi morsi un labbro per trattenere un'insana risata.

«Volevo solo dirti» riprese timidamente, strizzando lo strofinaccio che aveva in mano, «che abbiamo fatto del nostro meglio per te, dopo. A volte mi assale il timore che abbiamo sbagliato tutto… ma avevamo paura che chiunque… sai… chiunque fosse tornato indietro e… stavamo solo cercando di fare del nostro meglio per te.»

«Lo so mamma» la rassicurai, «va tutto bene.» E con la sensazione di averla scampata per un pelo, mi rifugiai in salotto a guardare Colombo con mio padre.

«Come va il lavoro?» mi chiese, durante una pausa pubblicitaria. Frugò di fianco al cuscino per trovare il telecomando e abbassò il volume.

«Bene» gli risposi. Sullo schermo, un bambino sul water conversava animatamente con un cartone animato verde e con le zanne, immerso in una scia di miasmi.

«Sei un bravo ragazzo» disse mio padre, fissando la TV come se ne fosse incantato. Bevve un sorso dalla sua lattina di Guinness. «Sei sempre stato un bravo ragazzo.»

«Grazie.» Evidentemente, i miei se le erano dette prima quelle cose, in preparazione di quel pomeriggio, ma non riuscivo a capire cosa potessero implicare.

«E il lavoro ti va bene.»

«Sì, bene.»

«Ottimo, allora» concluse mio padre, e alzò di nuovo il volume.

Tornai al mio appartamento verso le otto. Andai in cucina e mi preparai un panino con il prosciutto, aggiungendovi un po' del formaggio a basso contenuto di grassi di Heather: avevo dimenticato di fare la spesa. La Guinness mi aveva lasciato gonfio e a disagio. Non sono un bevitore di birra, ma mio padre si preoccupa se bevo altro: per lui i superalcolici sono segno di alcolismo, o di incipiente omosessualità. Avevo la strana idea che mangiare qualcosa avrebbe assorbito la birra e mi avrebbe fatto stare meglio. Heather era in salotto. I suoi pomeriggi di domenica erano dedicati a una cosa che lei chiamava "Tempo per Me" e che comprendeva la visione di DVD di Sex and the City, un'ampia gamma di attrezzi misteriosi e un gran trambusto fra il bagno e il salotto con una luce di risoluta determinazione negli occhi.

Mi arrivò un SMS di Cassie: "Mi dai un passaggio in tribunale domani? Vestito buono + Golf Cart + tempo schifoso = look orrendo".

«Oh, merda» imprecai a voce alta. Il caso Kavanagh, un'anziana donna massacrata a Limerick durante una rapina, un anno prima. Cassie e io dovevamo testimoniare al mattino presto il giorno dopo. L'avvocato era venuto ad avvisarci, ce lo eravamo ricordati a vicenda venerdì eppure ero riuscito a dimenticarmene lo stesso.

«Cosa c'è?» trillò Heather, entusiasta, accorrendo dal salotto alla prospettiva di una conversazione. Misi via il suo formaggio e richiusi il frigo, pur sapendo che non sarebbe servito a molto: Heather sa al millesimo quanto le avanza di qualunque cosa. Una volta mi aveva tenuto il broncio fino a quando non le avevo comprato un nuovo panetto di costoso sapone organico perché ero rientrato ubriaco e mi ero lavato le mani con il suo. «Stai bene?» Era in vestaglia, con quella che sembrava una pellicola per alimenti intorno alla testa e un misto di profumi chimico-floreali addosso che faceva venire il mal di testa.

«Sì, bene» le dissi. Premetti RISPONDI e iniziai a scrivere a Cassie: "Perché, di solito, invece? Ci vediamo verso le 8.30". «Avevo solo dimenticato che domani devo andare in tribunale.»

«Aaahh» fece Heather, sbarrando gli occhi. Si era dipinte le unghie color rosa pallido e le sventolava per asciugarle. «Potrei aiutarti a prepararti. Chessò, rivedere gli appunti con te, o roba del genere.»

«No, grazie.» In realtà non li avevo neanche, gli appunti, erano da qualche parte in ufficio. Mi chiesi se dovessi andare a prenderli, poi mi dissi che probabilmente avevo ancora troppo alcol in circolo.

«Oh… Okay, va bene.» Heather si soffiò sulle unghie e guardò il mio sandwich. «Oh, sei andato a fare la spesa? Tocca a te andare a comprare la candeggina per il bagno, sai?»

«Ci vado domani» le assicurai prendendo telefono e sandwich e dirigendomi in camera mia.

«Oh, be', immagino che possa aspettare fino a domani. Quello è il mio formaggio?»

Riuscii a liberarmi di Heather, anche se con difficoltà, e a mangiarmi il sandwich, che, ovviamente, non eliminò gli effetti della Guinness. Poi, seguendo la stessa logica, mi versai una vodka e tonic e mi sdraiai sul letto per ripassare mentalmente il caso Kavanagh.

Non riuscivo a concentrarmi. Particolari secondari mi rimbalzavano nella testa, vividi e inutili: la luce rossa tremolante della statua del Sacro Cuore nel salotto buio dell'aggredita, le frangette lunghe e rade dei due giovanissimi assassini, il terribile foro con il sangue rappreso nella testa della vittima, la carta da parati a fiori macchiata di umidità del B &B dove io e Cassie ci eravamo fermati. Ma nessun fatto importante: come avevamo rintracciato i colpevoli o se avessero confessato, o cosa avessero rubato, o perfino i loro nomi ("Shane Waters" mi rimbalzò in testa e io mi ci aggrappai con una fuggevole sensazione di trionfo, fino a quando non capii di cosa si trattava). Mi alzai e camminai per la stanza, misi la faccia fuori dalla finestra per respirare un po' di aria pulita, ma più cercavo di concentrarmi, meno riuscivo a ricordare. Dopo un po' non fui nemmeno più sicuro se il nome della vittima fosse Philomena o Fionnuala, quando appena un paio d'ore prima non avrei avuto bisogno nemmeno di pensarci (Philomena Mary Bridget).